Vittorio LussanaRimasi sconvolto, quando Andrea Ranisi perse la vita: lo consideravo un ragazzo indistruttibile. A 30 anni dalla sua scomparsa, ricordo che, per la prima volta, mi resi conto di cosa significasse morire a soli 23 anni, come accaduto a lui. Un ragazzo normale, come tanti, immerso in un contesto prevedibile, del quale non si vergognava affatto. La notte in cui se ne andò, stavo dormendo completamente nudo, immerso nel tiepido ottobre romano. Ma qualcuno, o qualcosa, mi svegliò. E subito compresi cos'era accaduto. Non c'era nessuno nella mia stanza, né faceva freddo. Eppure, qualcuno era venuto a parlarmi nella notte. E ancora oggi, resto assolutamente convinto che fosse lui. Era passato a darmi un ultimo saluto, a dirmi che doveva andare via, probabilmente scavalcando la mia finestra, com'era solito fare ogni volta. In quell'epoca della mia vita, avevo trascorso più di 5 anni a metabolizzare la morte di mio padre. Utilizzai tutto, pur di dimenticare il dramma che avevo vissuto sin dall'infanzia, passata a combattere un 'demone' come quello dell'alcolismo: viaggi in moto, ragazze e ragazzine, 'sbronze' e divertimenti. Ma tutto si chiuse nella notte in cui dovetti salutare, per l'ultima volta, Andrea Ranisi: l'amico che mi era stato vicino negli anni più difficili della mia vita. Fu esattamente questa la frase che dissi piangendo, da solo nell'oscurità: "No, Andrea: tu sei l'amico della mia giovinezza. Non puoi andartene così". Già poco senso aveva avuto la morte di mio padre. Ma ancora meno l'aveva quella del mio migliore amico. Il ragazzo più sfortunato del nostro gruppo, che tuttavia era il vero 'collante' tra tutti noi. Se qualcuno stava attraversando un momento difficile, poiché deluso da un amore giovanile, oppure per gravi problemi familiari, per lui diventava prioritario che noi tutti ci occupassimo di chi, in quel momento, era in difficoltà, impedendogli di mettersi nei guai. Non sapeva giocare a calcio ed era negato per ogni attività sportiva. Eppure, l'arma dei Carabinieri non aveva tentennato un solo secondo nell'arruolarlo tra i suoi effettivi. Scoprii dopo, quando venni aggregato alla Legione Carabinieri di Bologna, il perché. La 'benemerita' cerca sempre ragazzi così: non eccezionali per le loro qualità individuali, ma estremamente preziosi nel lavoro di squadra o di gruppo. Io, allora, avevo già ben chiaro in mente cosa volessi fare nella vita. E cioè, esattamente quel che sto facendo oggi: un privilegio non di poco conto, soprattutto di questi tempi. Andrea, invece, no: si era iscritto a Scienze politiche insieme al sottoscritto, ma non aveva potuto sostenere alcun esame. La sopravvivenza era il suo problema principale, la sua esigenza primaria. Così cominciò il periodo in cui si era messo a fare il 'Pony Express': un'occupazione giovanile che andava di moda, negli anni '80. E tutto quel che guadagnava, serviva per riuscire sempre a offrire una birra a un amico, per mettere benzina e visitare una città dell'Italia centrale, per recarsi al 'Motor show' di Bologna o al Salone internazionale dell'automobile di Torino. Perché erano i motori, la sua vera passione: le motociclette di grossa cilindrata e le autovetture di tutti i tipi, di cui conosceva tutto. Una sera toccò a lui essere assistito, in seguito a una ubriacatura giovanile. E lungo la strada di ritorno verso casa cominciò a prendere a calci tutte le automobili che giudicava inguardabili, oltre che inacquistabili. Ce l'aveva 'a morte', in particolare, con le Austin 'Allegro': un tipo di vetturetta talmente 'brutta' che persino la 'Bianchina' del ragionier Ugo Fantozzi, messa a confronto, faceva un 'figurone', sia per le prestazioni, sia per l'eleganza della linea. Un ragazzo simpaticissimo. Un amico indimenticabile, legato agli anni più belli della mia gioventù. Anni che, quella volta, non mi vennero rubati. Soprattutto, grazie a lui: un oscuro giovane Carabiniere, che si chiamava Andrea Ranisi.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Flavio di carlo - Alvito - Mail - sabato 6 ottobre 2018 17.14
Grande ragazzo grande amico e grande tutta la famiglia pero i francesi li odiavano sul serio
Massimo - Roma - Mail - sabato 6 ottobre 2018 16.45
Ciao,
Ho conosciuto Andrea, nel 79-80, nei lunghi periodi delle vacanze estive, ricordo ancora oggi le risate e la propensione naturale ad inguaiarsi negli scherzi più divertenti. Sempre a divertirsi, è stato quello il periodo più bello della spensierata adolescenza. Si fumava di nascosto, le ripetizioni, le prese in giro, gli scontri con i rozzi alvitani... l’odiatissima bmw 2000ti con gli interni in pecora... l’honda 400, e i macelli con le ragazze. Amico mio


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