Vittorio Lussana

Aida Satta Flores è un nuovo fenomeno musicale in forte ascesa, un’artista che con il suo nuovo disco, in uscita il prossimo 25 agosto e intitolato ‘Aida Banda Flores’, è riuscita a coniugare in maniera assai feconda tradizione e innovazione, sonorità popolari e bandistiche con atmosfere da vero concerto ‘pop’. Un incrocio a prima vista stranissimo, che tuttavia sta mietendo consensi soprattutto tra le generazioni più giovani, impegnate a rifuggire con tutte le proprie forze da ciò che si lega automaticamente al mondo delle discoteche: sonorità irrealistiche, divertimento ‘forzato’ ed assai poco genuino, volgarità gratuite, pericolosissime stimolazioni artificiali tramite droghe eccitanti. Andiamo dunque a conoscere meglio questa nostra nuova amica.

Aida Satta Flores, è in uscita il tuo nuovo lavoro artistico che, da più parti, viene annunciato come la novità musicale italiana dell’anno: di cosa si tratta? Ce ne vuoi parlare?
“Novità musicale italiana dell’anno mi sembra esagerato. Comunque, a dire il vero, una grossa novità c’è, in questo disco o, per lo meno, una ‘novità’ su tutte: si tratta di un disco ‘live’ costituito da brani inediti, registrati durante concerti in cui ho cercato di coniugare la mia musica d’autore con le sonorità bandistiche. Di solito, i dischi dal vivo non sono altro che registrazioni, più o meno fedeli, di concerti in cui i nostri cantautori ripropongono le loro canzoni e i loro successi con nuovi vestiti musicali ed in cui, ogni tanto, viene inserita una canzone inedita. Nel mio caso, invece, si tratta di un ‘live’ di canzoni tutte inedite, eccetto tre cover. Ho infatti voluto presentare al pubblico dei miei concerti canzoni completamente nuove, restituendo agli ascoltatori l’energia e l’immediatezza dei brani non registrati in studio. In tempi come questi, in cui conta più l’apparire che l’essere, mi è sembrato un modo per riappropriarsi della libertà della canzone d’autore che, per sua natura, deve essere ‘im-mediata’, ovvero non mediata da venditori o commercianti di ‘saponette’. Insomma, si tratta di un disco artigianale: è come entrare in una bottega in cui sei capitata per caso, ma nella quale ti trovi bene (almeno spero…), anche senza consigli per gli acquisti…”.
 
Mi spieghi il gioco di parole che hai utilizzato per il titolo?
Aida Banda Flores è il titolo dei concerti e del cofanetto CD + DVD edito dalla EMI su etichetta Latlantide. Venne pubblicato per la prima volta da me stessa solamente per la Sicilia, per venderlo ai concerti o regalarlo agli amici. Di mano in mano arrivò all’orecchio di Claudio Baglioni, il quale decise di invitarmi al suo ‘O’Scià’, unendo la mia voce a quella di tanti altri artisti al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sul dramma dei clandestini di Lampedusa. In seguito, mi capitò la gioia di vedermi arrivare un disegno dedicatomi da Sergio Staino e, alla fine, una giovane etichetta indipendente, Latlantide, decise di stamparlo e pubblicarlo, insieme al DVD, su molti ‘store’ virtuali. Infine, dal prossimo 25 agosto, il mio disco verrà finalmente distribuito nei negozi veri. Sono riuscita a mantenere un costo accessibile: 16 euro per il CD + il DVD con ampio libretto. E tale spesa varrà, senza costi aggiuntivi di spedizione, anche per chi intendesse ordinare il cofanetto a info@latlantide.it”.
 
Quali sono i brani scelti per le tre cover che hai voluto inserire?
“Nel disco ci sono queste tre canzoni che amo definire delle ‘appropriazioni debite’, poiché si prestavano assai bene alle sonorità bandistiche. Si tratta di “Don Raffaè” di Fabrizio De Andrè, de “L’abbigliamento d’un fuochista” di Francesco De Gregori per sola fisarmonica e banda e di “Sulla rotta di Cristoforo Colombo”, di Lucio Dalla ed Edoardo De Angelis. Oltre alle bande itineranti, che venivano a trovarci per suonare con noi, c’è il brano ‘Il ballo della vita’, che involontariamente è diventato il filo conduttore dei nostri concerti, suonato da la Banda “G. Verdi” di Mezzojuso, diretta dal Maestro Salvatore Di Grigoli. I musicisti della mia band, tutti siciliani, sono gli stessi da anni. L’idea di coniugare la mia musica d’autore alle sonorità bandistiche nacque nel 2004, quando decisi di battermi contro una assai discutibile mentalità diffusa secondo la quale, se un’orchestra suona male, sembra una banda, mentre se una banda suona bene, sembra un’orchestra. Ritengo, peraltro, che la Banda sia un bene culturale da salvaguardare: soprattutto in molti paesi del sud d’Italia, l’esistenza della Banda svolge un compito salvifico verso molti ragazzi, poiché riesce a ‘strapparli’ dal torpore, dai videogiochi, dall’assenza di prospettive di lavoro e dalla droga. ‘Arruolandoli’ nei complessi bandistici e insegnando loro ad impugnare uno strumento per molte ore al giorno, si limitano di molto i rischi che i nostri ragazzi diventino dei ‘banditi’…”.
 
Questo tuo lavoro ha anche vinto un premio prestigioso, mi pare…
“Sì: aver ricevuto il prestigioso riconoscimento del ‘Premio Lunezia Live 2008’, nella serata finale ad Aulla (MS), condotta da Fabrizio Frizzi lo scorso 26 luglio, ha aggiunto al mio estro, mai domato, la voglia di non smettere mai”.
 
Come sei arrivata negli ambienti musicali italiani?
“Vinsi il festival di Castrocaro nel 1985 con ‘Alkaid’ e di lì arrivai subito a Sanremo, nel 1986, con il brano ‘Croce del Sud’: mi spettava di diritto, avendo vinto Castrocaro. Ricordo ancora le parole d’un caro amico cantautore, Edoardo De Angelis, che fu anche il primo produttore artistico di De Gregori e Venditti (Theorius Campus), quando apprese della mia vittoria a Castrocaro: “Se ora vai a Sanremo, inizierà la tua fine”. Col senno di poi, devo dire che in parte aveva ragione: certe vetrine possono servire, ma possono anche ‘uccidere’ un certo tipo di artista. Tornai a Sanremo nel 1989, prodotta da Pino Longobardi e Gino Paoli, con i merletti musicali e gli arrangiamenti di un sensibile Beppe Vessicchio. Cantai ‘Certi uomini’ che, però, nella mia originale e primaria versione, s’intitolava ‘Oggi tira vento’. Per i meccanismi televisivi dell’epoca, in particolar modo per quelli di Sanremo, sembrava più incisivo un altro titolo: una decisione cervellotica, che mi ha sempre lasciato perplessa. L’ultimo Sanremo, quello del 1992, fu profetico già dal titolo della canzone che proposi, prodotta dai Nomadi e da un uomo straordinario, artista a 360 gradi, come Augusto Daolio: ‘Io scappo via’. Per fortuna, i Nomadi pubblicarono l’album al quale avevamo lavorato, ‘Il profumo dei limoni’, che vendette moltissimo. In quell’album, infatti, c’era anche un indimenticabile duetto con Augusto, ‘Un bersaglio al centro’, una ballata che avevo scritto per il mio fidanzato e che a lui piaceva moltissimo. Fu anche sigla televisiva, per due anni, di un programma di Raiuno: ‘Bella estate’. Augusto, a dire il vero, quando veniva a trovarmi in studio voleva cantarle tutte, da ‘Marinai’ a ‘Qui la mafia non c’è’. Quest’ultima se la cantò tutto da solo e chissà che, prima o poi, gli amici Nomadi non decideranno di pubblicarla: per me sarebbe un onore”.
 
Quali influenze ti hanno guidato verso la tua maturazione artistica?
“A volte mi sorprendo a chiedermi cosa pensano di noi i bambini, i fiori, gli alberi, la natura, gli animali, le pietre, il mondo che ci circonda, il portaborse d’un politico che resta chiuso per ore in auto ad aspettarlo o i barboni, i camerieri e noi stessi, quando non siamo sotto i riflettori. Perché tutti, ormai, siamo sotto qualche riflettore, sotto un giudizio non libero, formato dalle mode del momento. Mi parli di maturazione artistica e non so se sia esatto pensare che oggi io l’abbia raggiunta. Forse, quando iniziai a scrivere dopo i primissimi tentativi di poesie e canzoncine, una ragazzina con chitarra e diario e penna sul lettino della mia cameretta arancione: ecco, forse la mia maturità artistica, se vogliamo chiamarla così, avvenne allora, quando nessuno se ne accorse, nemmeno io. Un giorno riprenderò tutte quelle canzoni mai pubblicate e vorrò dar loro un ‘balcone’, una ‘terrazza’, per prendere aria e andare tra la gente. Il nuovo progetto musicale in compagnia delle bande è nato nel 2004, realizzato nel 2005 e lo presento solo oggi all’Italia: pensi ch’io non vada al passo con i tempi? Non sono una ‘ginnasta’ e, del resto, torniamo al discorso della canzone d’autore e delle canzoni mediate e/o ‘im-mediate’. Non ho mai scritto per piacere a qualcuno, ancor meno lo farei oggi. Ecco, forse, al di là dei successi, la mia vera maturazione artistica è questa e, detto francamente, forse l’ho sempre avuta, poiché tutto ci influenza, nel bene e nel male. I miei punti di riferimento sono stati, negli anni, il modo di usare le parole e il mondo artistico di De Gregori, di Fossati, di Battiato, di Conte. Ma spesso mi innamoro e provo stupore e meraviglia anche di fronte a qualche testo di alcuni di quelli che Paolo Talanca chiama i ‘cantautori novissimi’, come Niccolò Fabi, Cristicchi e Jovanotti (a proposito: Talanca ha citato anche me nel capitolo dedicato alla “Novissima eletta schiera di cantautori…”). Tra gli stranieri, ho molto amato Peter Gabriel e Sting, ma ho trovato del bello in tanti altri artisti, anche se spesso molti non fanno altro che riscrivere sempre la stessa canzone: dopotutto, che male c’è? Capita anche a me: è già stato tutto inventato… Il compito dell’artista è ormai solo quello di annusare e trascrivere sensazioni ed emozioni, private o collettive, sentite come urgenze o necessità. Ecco: quando io scrivo, lo faccio per un’urgenza, una necessità. Forse, la vera maturità artistica è proprio questa…”.
 
Esiste la sindrome del prodotto di ‘nicchia’?
“Sì, certo che esiste. Ma non scorderò mai le parole di Augusto Daolio, che mi diceva di non vergognarmi mai di certe semplicità. A pensarci bene, cosa si intende per ‘nicchia’? A me spiace che, a volte, molti artisti, ma soprattutto certi addetti ai lavori, classifichino i loro prodotti come di ‘nicchia’, quasi autocelebrandosi. Così facendo non si aiuta l’arte a circolare e ci ritroviamo costretti ad immergerci in ambienti che vogliono esclusivamente venderci, in una musica e in un mondo fabbricati a tavolino, con una certa prevedibile serialità. Alcuni anni fa ho conosciuto Angela, una signora che faceva le pulizie. Era veramente simpatica e, quando venne a lavorare da me, mi accorsi che dimostrava amore solo un certo tipo di musica, quella, diciamo così, ‘neomelodica’. Ebbene, la signora Angela - e come lei la maggior parte della gente - non ha mai sentito i dischi dei nostri cantautori cosiddetti di ‘nicchia’, non ha orecchie e capacità di ascolto abituati a certe sonorità. Eppure oggi, la signora Angela ama anche le mie canzoni, in particolare quelle con la banda (soprattutto il disco premiato al Lunezia, ‘Aida Banda Flores’). E provo gioia allo stato puro ogni qualvolta la sento canticchiare “ogni giorno teste rotolanti, qui non si finisce più” (‘Il ballo della vita’) con naturalezza, come se stesse cantando: “Trallallero, trallallà”…”.

Tu come ti consideri, musicalmente: adatta a tutti oppure per palati sofisticati?
“E’ chiaro che si prova gran gioia quando qualcuno si riconosce in quel che si scrive o si canta. Del resto, ho sempre pensato che le canzoni non siano di chi le scrive, ma di chi le fa proprie. Una canzone è come un quadro o una qualsiasi opera d’arte: vive sul sentire degli altri, oltre che nella percezione e nel sentire dell’artista che compone, dipinge, canta o suona afferrando quel che circola nell’aria. Se non si trova un ‘balcone’ alle opere artistiche, esse diventano pura espressione per se stessi, perdendo di valore”.
 
La creatività comincia ad aver valore solo quando circola tra la gente?
“In un certo senso: il vero problema non è da ricercarsi nell’artista, né nella gente, ma in quanti detengono il potere di far circolare le idee. Quindi, per rispondere alla tua domanda, io penso di essere adatta a tutti, ma per il momento conosciuta o scoperta solo dai cosiddetti ‘palati sofisticati’, da chi mi viene a cercare o mi scopre per caso ai miei concerti. Questo è il vero problema: la promozione e la pubblicità è troppa per qualcuno, troppo poca o assente per tanti altri, che sono la maggioranza. E il discorso potrebbe allungarsi al mondo delle major discografiche e delle piccole etichette, che faticano a fare circolare le opere dell’ingegno musicale italiano nelle radio o nelle televisioni, le quali sempre meno si occupano di musica”.

Ho notato che piaci ai giovani, anche se ‘peschi’ in un target maggiormente ‘acculturato’: non sarai già diventata un’artista per ‘eletti’?
“Magari! Laddove per ‘eletti’ intendiamo la stessa cosa, ovviamente. Una delle gratificazioni più grandi, ad esempio, è quando noto, ai miei concerti, che le piazze o i teatri all’aperto (Valle dei Templi di Agrigento, davanti la cattedrale di Noto) si vanno riempiendo di giovani che, forse, nemmeno mi conoscevano (ti ricordo che ho partecipato all’ultimo festival di Sanremo nel 1992). E chissà che musica immaginavano che facessi! Insomma, è capitato più volte che, coi telefonini accesi, abbiano invitato altri loro amici a venirmi a sentire: ti giuro che non c’è nulla di più eccitante del sentirsi amati da dei giovani che ti stanno ‘scegliendo’ senza che nessuno li abbia ‘plasmati’, subdolamente educati o invogliati con bombardamenti pubblicitari”.
 
Cosa pensi della musica italiana di questi ultimi anni?
“Penso che ci siano nuovi fermenti: dopo una guerra e dopo un torpore dei sentimenti e della bellezza, accade sempre qualcosa. Penso al dopoguerra, a chi sconvolse la tradizione come Modugno. E poi a Battisti e ai nostri migliori cantautori degli anni ‘70 del secolo scorso, che poi vennero ‘usati’ da una fetta giovanile politicizzata che li rimproverò di essersi venduti al sistema. Quegli artisti esistono ancora e il sistema, nella maggior parte dei casi, non li ha affatto ‘divorati’. “Per brevità chiamato artista”: per stessa ammissione di De Gregori fu una frase che lo colpì molto, al suo primo contratto discografico. E viene fuori solo oggi: ci sarà un senso in tutto questo? Io credo di sì. Dopo certi ‘appiattimenti’ dei gusti, spalmati a uso e consumo di certa tv ‘spettacolistica’, in cui chiunque solamente apparendo in televisione diventa famoso, sento in giro nuovi sani fermenti, sia tra i conosciuti, sia tra gli sconosciuti. Gli ‘eletti’ stanno tornando a farsi sentire e i ‘nuovi eletti’ troveranno terreno fertile…”.
 
Non credi che, nel nostro panorama musicale, ci siano molte novità che, tuttavia, non sempre riescono ad emergere per la propria carica innovativa o identitaria?
“Anche questo è un discorso lungo, antico come l’uomo: ogni innovazione ha bisogno di tempi propizi. Il vero allarme, a mio avviso, non è tanto nel fatto che le innovazioni o le musiche di maggiore abbraccio con le proprie radici e identità fatichino ad emergere: il vero allarme sociale è la continua perdita, ogni giorno, ad ogni nuovo programma televisivo, ad ogni nuovo mito pubblicitario, della vera bellezza e della poesia più autentica. Ho anche scritto una canzone dedicata a tale ‘latitanza’ della bellezza e della poesia, un brano ancora inedito che gode, tra l’altro, della straordinaria partecipazione ‘a cuore nudo’ di un magnifico uomo e attore: Leo Gullotta. Credo, tuttavia, che le ‘vie strette’ siano da sempre scelte da chi fa musica innovativa e ‘identitaria’, mentre le autostrade son sempre quelle dritte, in cui non c’è bisogno di grande concentrazione per trovare la direzione: basta seguire le indicazioni. Indicazioni che, oggi, nel nostro panorama musicale non mancano, benché siano sbiadite, non molto bene illuminate, poco riconoscibili”.
 
Non pensi che, tra le tendenze degli ultimi anni, sia stata ricercata una semplicità talmente commerciale da appiattirsi sulla banalità?
“Si, lo credo fermamente. Ho sempre letteralmente odiato la rima, presente in moltissime canzoni, tra “mai” e “sai”. Ma un tempo, quando sentivo queste rime, sapevo immediatamente di stare nuotando nelle acque del ‘pop’. Oggi, invece, anche nella musica più commerciale si ha l’abitudine di scrivere per allegorie, per ‘poeticherie’: si cerca di ‘meravigliare’, mentre la vera meraviglia è un’altra cosa. La semplicità non sempre è sinonimo di banalità, così come il sembrare impegnati non sempre è sintomo di vero impegno, di vera profondità nella ricerca della bellezza”.
 
Non è forse giunto il momento di rilanciare generi musicali più colti, maggiormente ricercati, ad esempio riconsiderando, anche in termini di più largo consumo, artisti del calibro di Eugenio Bennato?
“Eugenio è mio amico da lungo tempo. Ha anche scritto una prefazione al mio nuovo disco, ‘Aida Banda Flores’, che mi piace ricordare: “La musica di Aida, la sua voce, la sua poesia, ci sollevano dal grigiore della discografia italiana di oggi perché sono inafferrabili come lei, che gravita incessantemente tra il cielo delle fate e quello delle streghe”. I generi musicali più ‘colti’ non necessitano di un rilancio specifico: pensa che Eugenio ha creato l’enorme movimento della Taranta, Taranta Power, in tutto il mondo. Il largo consumo arriva dopo la conoscenza. Ma la conoscenza da sola non basta se non si instilla, giorno per giorno, una nuova sensibilità, una nuova propensione a capire e a sentire la bellezza. Insomma, inizierei dall’educazione dei sentimenti già a scuola, ma su questo rischiamo di scrivere un libro e non di fare una semplice intervista…”.
 
Alcune domande un po’ politiche: secondo te, la buona musica è quella cosiddetta di sinistra, mentre quella ripetitiva e di massa è di destra?
“Ti rispondo con una frase di Gaber: “Che cos’è la destra? E cos’è la sinistra”? Anzi, sottoscrivo per intero quel testo di Gaber. Certo, l’avvento delle ‘veline’ e delle ragazze ‘pon – pon’, delle ‘supertettone’, delle ‘superlabbrone’ e della televisione commerciale penso abbia qualche colpa. Ma la vera intelligenza non è né di destra, né di sinistra: è innata in tutti o in quasi tutti. Ogni bimbo ha l’intelligenza delle cose (dal latino “intelligere”): in alcuni si affina, in altri muore già ai primi passi, ma sempre per colpa degli adulti, dei grandi, dei modelli, degli usi e costumi o del tempo che abbiamo a disposizione. Chissà perché, ma mi vengono in mente ‘La disciplina della terra’ e ‘C’è tempo’ di Ivano Fossati…”.
 
Non si potrebbe fare una musica intelligente ma anche adatta a tutti?
"Esiste già qualche caso e non voglio fare nomi. Anche nel ‘pop’ più ‘pop’ ci sono delle bellissime canzoni, che quantomeno aprono la mente e il cuore”.
 
L’Italia è tra i Paesi fondatori dell’Unione europea e, di recente, ha ratificato all’unanimità il Trattato di Lisbona: la nostra musica leggera, confrontata con quella degli altri Paesi dell’Ue, in particolar modo con l’Inghilterra, ha forse il problema di non riuscire ad emergere dal proprio provincialismo e, allo stesso tempo, di dover rilanciare le nostre più feconde tradizioni mediterranee?
“Se ci pensi, l’Italia è conosciuta nel mondo per il bel canto, per gli spaghetti col pomodoro e per la pizza: tutte queste cose originarie del sud. La pizza, il pomodoro e la canzone melodica napoletana sono forse la cose più conosciute in assoluto in tutto il globo. Ma come mai la Francia è famosa per la sua tradizione degli ‘chanconierre’, mentre noi, eccetto Paolo Conte e pochi altri, non sappiamo esportare la nostra musica d’autore? Ci sono nomi illustri di cantanti italiani famosissimi all’estero, ma gravitanti sempre nel ‘pop’. E potremmo parlare anche del rock’n roll: tutti pensano venga dall’America, ma la Taranta non è, in nuce, musica rock”?
 
Chiudiamo con alcune domande private: sei fidanzata?
“Fidanzata da 21 anni con due figli meravigliosi, messi al mondo con due papà diversi. Stanno tutti con me: Joshua, il mio figlio più grande, ormai è andato a vivere da solo e si è pure laureato al Dams con una tesi molto speciale, ideando una rassegna d’arte contemporanea multimediale. 110 e lode + menzione speciale: orgoglio di mamma siciliana”.
 
Cosa pensi della famiglia?
“La mia famiglia è sempre stata forte e unita. Ed oggi, voglio metter su famiglia con il pubblico, con tutto il pubblico che riuscirò ad amare, riamata”.
 
Come dev’essere il compagno di un’artista che gira sempre per il mondo in concerto? Cosa deve sopportare? La noia? L’attesa? L’interscambio di amorosi sensi via internet?
“Dev’essere più o meno come il mio amore: diverso e comprensivo, fedele e fiducioso, stabile per sempre”.

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