
In un momento politico di continue 
convulsioni, potrà forse apparire stravagante che noi ci si dichiari favorevoli alla nascita di un 
Partito unico del centrodestra italiano, capeggiato dall'attuale leader della Lega: 
Matteo Salvini. Un'operazione che, probabilmente, comporterà il cambiamento del nome di tale formazione politica e che, tuttavia, s'inquadra in un processo di 
stabilizzazione del 
ceto conservatore italiano, destinato a 
ridisegnare il 'quadro' degli schieramenti politici complessivi. Certamente, con l'attuale 
ministro degli Affari Interni siamo divisi da una diversa visione sul tema 
dell'immigrazione, che riteniamo talmente spinoso e di dimensioni tali che, di certo, non potrà essere risolto attraverso 
facili slogan o reiterate prese di posizione dalla natura totalmente 
ideologica. Tuttavia, molte idee dei leghisti, soprattutto in campo economico 
- euroscetticismo a parte - ci convincono assai più degli 
immobilismi del 
Movimento 5 Stelle. In particolar modo, nel merito di alcune questioni fondamentali, come il 
Tav e il gasdotto asiatico del 
Tap. Inoltre, riteniamo che la 
Lega, in tutti questi anni, abbia incarnato assai meglio di 
Forza Italia il mondo della 
cultura popolare del nord d'Italia, che non sempre si era riusciti a rappresentare adeguatamente nei lunghi decenni della 
prima Repubblica. In ciò, l'amico 
Pier Luigi Bersani è stato colui che si è avvicinato più di altri nel comprendere come il 
'triangolo del nord-est', quello cioè composto dalle città di 
Bologna, Milano e 
Trieste, rappresenti un territorio in cui vige coerentemente, più che nel resto del Paese, una 
sana etica del lavoro (come recita, peraltro, 
l'articolo 1 della nostra 
Costituzione). Siamo favorevoli, insomma, alla formazione di un 
Partito unico del 
centrodestra. Anche perché, detto francamente, si tratta di un elettorato composto da una 
'gens' dalla quale provengo personalmente. Un popolo spesso considerato 
'testone', provinciale e 
limitato, ma che 
amo immensamente, poiché in esso scorre il mio stesso 
sangue. La 
Lega, probabilmente, era la 
risposta 'corretta' sin dall'inizio degli 
anni '90 del secolo scorso, pur coi suoi 
provincialismi e 
conservatorismi un po' datati. Ovviamente, non si tratta di 
un'adesione o di una sorta di 
riallineamento, da parte nostra: la 
linea editoriale della presente testata rimane quella di un gruppo di 
professionisti e di 
osservatori che si considerano 
distinti e 
distanti da ogni tipo di 
contaminazione, a cominciare da quelle 
formalistico-religiose. Tuttavia, quel che ci ha sempre deluso nel 
centrodestra 'tradizionale' era la scarsa propensione 
all'analisi sociale, che ha finito con l'allontanare la politica dal cuore della gente. Inoltre, la lunga fase di 
'dominio coloniale berlusconiano' costringeva i ceti produttivi del Paese a indossare la 
'camicia di forza' di un Partito padronale, 
Forza Italia, che alla fine ha denunciato tutti i limiti di fondo di un 
aziendalismo gerarchico privo di dibattito interno, in cui la stessa militanza risultava - e risulta ancora oggi - totalmente 
'svuotata' da una 
leadership inamovibile. La 
Lega, invece, anche quella di 
Matteo Salvini, ha sempre dimostrato un 
prezioso 'plusvalore' di partecipazione attiva ai fatti e agli accadimenti della 
'cosa pubblica': un merito che, oggi, riconosciamo come 
punto d'onore fondamentale del movimento politico fondato da 
Umberto Bossi e 
Gianfranco Miglio. Uno studioso, quest'ultimo, che mi onoro di aver frequentato a lungo, negli ultimi anni della sua vita, attraverso una serie di lunghe e dibattute 
telefonate serali - o addirittura notturne - grazie alle quali mi permetteva di raggiungerlo presso la sua residenza privata in provincia di 
Como. Il 
professor Miglio era la vera anima intellettuale della 
Lega: uno studioso preparatissimo, che ha anch'egli contribuito alla formazione professionale del sottoscritto, soprattutto nei primissimi anni di percorso giornalistico. Insomma, 
l'evoluzione del movimento leghista merita, a nostro parere, un definitivo 
coronamento, in quanto forza di Governo capace d'incarnare al meglio i valori più profondi della cultura popolare italiana. Soprattutto, se essa saprà affrancarsi da alcune 
posizioni di retroguardia. Siamo onestamente interessati a osservare il percorso di una forza politica che contiene, in sè, il germe di una secolare vicenda di 
lavoro, dolore e 
sofferenza, che è riuscita a liberare intere generazioni dalle strozzature di uno sviluppo economico e industriale pagato a carissimo prezzo. Quando penso alla 
Lega - si cerchi di comprendere bene quanto sto scrivendo - sento nel cuore che si tratta del generoso tentativo della 
'mia' gente di mettere almeno un poco d'ordine in questo travagliatissimo e sfortunato Paese. 
E' gente mia, che appartiene a me. E che merita, oggi, un 
rispetto e un 
riconoscimento politico pieno, a prescindere dalle idee e dalle convinzioni di ognuno di noi. Un ciclo della nostra Storia si è concluso. Ed è giunto ora il momento di aprirne un altro completamente diverso, basato su un confronto dialettico che potrà anche apparire 
aspro, nelle sue 
distinte posizioni di principio, ma che non faccia mai venir meno il 
rispetto reciproco e un 
sincero sentimento di solidarietà tra tutti gli italiani, di qualsiasi provenienza politica, culturale o sociale essi siano. La 
Lega non è affatto 
"il Partito dell'odio": il giovane 
Martina sbaglia, quando afferma cose di questo genere. Si tratta, invece, di 
un popolo orgoglioso e cocciuto, che ha sempre saputo, in fondo al proprio cuore, di essere il 
figlio più fedele all'interno della 
'casa del padre'. Anche se il vero erede rimane il 
'figliol prodigo'. Ovvero, quello da perdonare in quanto 
'eretico'.