Intervista all'attore teatino Alessandro Blasioli, autore di un monologo efficace e coinvolgente dedicato alla città di L'Aquila dopo il terremoto del 2009, che l'ha trasformata in un lugubre sepolcro a cielo aperto, carico di ricordi smarriti'Questa è casa mia' è uno spettacolo
tragicomico inquadrabile nella categoria del
teatro civile, presentato il 21 giugno appena trascorso presso il
Teatro comunale di Tor Bella Monaca. L'evento si è inserito nel più ampio cartellone del
Nops Festival (Nuove opportunità per la scena), giunto alla sua decima edizione. La manifestazione è stata ideata da
Nogu Teatro e si è tenuta dal
17 giugno scorso sino al
1° luglio 2018, tra
l'ex Mercato di Torre Spaccata e il
Teatro di Tor Bella Monaca. Lo spettacolo in questione, scritto, diretto e interpretato dall'attore teatino
Alessandro Blasioli con la supervisione artistica di
Giancarlo Fares, al termine della rassegna ha vinto il
'Premio del pubblico' in quanto monologo più seguito dalla cittadinanza. Siamo all'indomani del terribile terremoto che, nella notte tra il
5 e il
6 aprile 2009, ha colpito
L'Aquila. Più di
60 mila persone hanno perso la casa. La catastrofe naturale diviene un punto di rottura, che segnerà per sempre l'esistenza della popolazione aquilana e abruzzese. Un dramma che, nonostante gli aiuti e la solidarietà, è stato scarsamente compreso dalle istituzioni. La città viene subito blindata. Per gli abitanti, ciò implica la perdita, chissà per quanto tempo, di qualsiasi contatto diretto col paesaggio urbano della propria vita.
La casa è il luogo dell'anima. E la sua inaccessibilità determina la perdita di ogni riferimento, il senso più puro del vivere. Ed è proprio su tale aspetto, quello dello
'sradicamento', che lo spettacolo si concentra: sul lato umano della vicenda, indagato con toni al contempo leggeri e drammatici. Si enfatizza il senso d'impotenza di fronte alla tragedia e la difficoltà nel ritornare alle normali attività. Protagonisti dell'intenso monologo sono due amici:
Marco e
Paolo. Il primo è di
Chieti e vive di riflesso quanto accaduto alla famiglia di
Paolo, i
Solfanelli. Una famiglia che si ritrova costretta ad affrontare tutta la trafila di aiuti e di
assistenza 'post terremoto'. Ogni cosa, però, non fa altro che ricordare loro l'assenza e il senso della perdita. Con intelligente ironia viene raccontata la
'cattività' scontata presso un hotel di
Silvi Marina, dove le famiglie dei terremotati hanno vissuto quasi come dei reclusi. L'atmosfera vacanziera stride nettamente con il dramma che gli
'sfollati' stanno vivendo. Trasferiti, in seguito, presso la
tendopoli di Piazza d'Armi, la
famiglia Solfanelli approda alle case temporanee e, quindi, all'abitazione nella
'New town': un
'non luogo' desolato, senza servizio alcuno. Il desiderio di tornare in città spinge
Paolo a compiere incursioni notturne nella città militarizzata, per toccare e rivedere con i propri occhi la casa di famiglia. Altro aspetto rilevante dello spettacolo riguarda la precisa ricostruzione delle vicende legate allo scandalo del
business per la ricostruzione. Vi è quindi una denuncia precisa contro la
camorra, colpevole di aver costruito, negli
anni '70 del secolo scorso, case ed edifici con
materiali scadenti, che non hanno retto alla potenza del movimento tettonico.
Alessandro Blasioli porta in scena un'energica performance, dal ritmo vorticoso. Si muove agilmente nell'interpretazione dei tanti personaggi, ben accompagnato dal supporto musicale, che enfatizza i momenti
drammatici e quelli
'tragicomici'. Si fa un grande uso di espressioni dialettali, che inquadrano il
carattere 'strapaesista' del popolo abruzzese, creando empatia. Si ride molto, ma è un sorriso amaro. I canti tradizionali abruzzesi fanno da sfondo alla vicenda e diventano il
peso alienante di una storia bruscamente interrotta dal
terremoto. Pochi elementi di luce, sapientemente orchestrati, determinano la varie ambientazioni, rese in modo minimale. Estremamente efficace è l'affresco che si fa della città de
L'Aquila successivamente al cataclisma: un lugubre sepolcro a cielo aperto, carico di ricordi smarriti. Ecco, dunque, il resoconto di una nostra chiacchierata con questo appassionato monologhista teatino,
Alessandro Blasioli.Alessandro Blasioli, tu hai portato al Nops Festival lo spettacolo 'Questa è casa mia', un monologo sul genere 'teatro civile' che si occupa della questione di L'Aquila dopo il terremoto del 2009: perchè è importante parlare ancora di quel sisma, a distanza di 9 anni?"Perché nel 2016 si sono verificati altri terremoti. Non serve che vi racconti cosa è successo, in Italia, in questi ultimi anni. E abbiamo gli stessi problemi, se non peggiorati, riscontrati a L'Aquila".
Ci sono stati nuovi terremoti anche nella zona abruzzese?"La terra continua a tremare: è la dorsale dell'Italia centrale che, da qualche anno a questa parte, ha ripreso a tremare. Si tratta di scosse che si aggirano attorno al 3° grado della scala Richter. Tuttavia, sono scosse che lì si continuano a sentire e che fanno capire che la terra è in continuo movimento. Quello che dico sempre - e che ripeto anche qui - è che il vero problema non è 'se' ci sarà un nuovo terremoto, ma 'quando' esso si verificherà. Quindi, ricollegandomi alla domanda sul perché faccio 'teatro civile', L'Aquila, a 9 anni dal sisma, versa ancora in cattive condizioni: la città è stata 'smembrata' con queste 19 'new towns'; ci sono vari problemi sia per la ricostruzione, sia per la gente che 'succhia soldi' dalla ricostruzione stessa; infine, c'è ancora lo 'sciacallaggio'...".
Nello spettacolo, tu hai evidenziato il sistema di corruzione che si è venuto a creare a L'Aquila nella fase 'post terremoto', ma hai anche preso un poco in giro un certo provincialismo 'strapaese' dell'Abruzzo, le sue canzoncine popolari e il suo attaccamento alle tradizioni secolari: perché?"Senza pretendere di 'fare Storia', l'Abruzzo ha avuto la ferrovia intorno agli anni del fascismo. Quindi, stiamo parlando di un territorio in cui la modernizzazione tecnologica è arrivata molto tardi. Per lungo tempo, in Abruzzo non c'è stata alcuna industria: era una regione totalmente rurale. E ha vissuto a lungo in una sorta di isolamento, anche in virtù della sua particolare geografia, per le sue montagne e le sue vallate, collegate tra loro solo tramite sentieri impervi, i quali hanno separato ogni paese o località interna sia tra loro, sia rispetto al resto del mondo. Ciò ha fatto sì che le tradizioni, in Abruzzo, fossero molto forti: un po' come per l'isolazionismo della Sardegna, per intenderci. Tradizioni molto presenti anche oggi: per le feste del santo protettore o per le ritualità liturgiche si 'smuovono' le masse. E ovunque si sente 'Radio Ciao', che 'passa' di continuo tutti gli 'evergreen' abruzzesi. Dunque, mi è sembrato doveroso inserire un omaggio a questa emittente locale come piccola 'nota' d'ironia, per stemperare almeno un poco la situazione che questo spettacolo denuncia e descrive".
Il teatro funziona per veicolare 'messaggi' di questo genere?"Sì. L'unico problema è che il teatro funziona 'di meno', poiché le tecnologie avanzano e la gente è sempre più convinta che il teatro sia una cosa noiosa, o che il cinema possa sostituirlo. Spesso, le persone che pensano queste cose sono quelle che al teatro hanno dato pochissime possibilità e che, magari, hanno visto solamente qualche spettacolo che non è piaciuto. Tuttavia, io credo che la possibilità di guardare negli occhi una persona, di raccontargli un fatto e farla reagire per ottenere un'emozione, ascoltare la gente de L'Aquila che mi viene a vedere e alla fine mi dice: "Hai detto tutto e hai detto bene", vedere insomma la gente con le lacrime agli occhi perché divertita, ma indignata, per quello che ha ascoltato, mi fa capire che sì: il 'teatro civile' ha ancora una funzione precisa".
Ritieni che il teatro dovrebbe tornare verso la cultura popolare, senza eccedere negli intellettualismi?"Sì. Io credo che il teatro sia stato, per troppo tempo, fondamentalmente autoreferenziale: chi era un personaggio o si era affermato poteva andare avanti. Senza voler fare la storia del teatro, si è fatto per troppo tempo un teatro per i 'teatranti' e per l'attore, mentre io sto riscoprendo, invece - anche se un po' in ritardo - questo 'filone' nato negli anni '70, che è quello del dialogo e della parola con il pubblico, del 'teatro civile'. Una formula nella quale mi trovo bene, ci 'sguazzo' bene e mi piace. Credo che il teatro sia proprio questo: parlare di tematiche importanti e non solo di frivolezze, non solo divertissement".
Esiste, secondo te, una cultura del senso civico, in Italia, oppure un certo individualismo egoistico, qui da noi, alla fine trionfa sempre?"Io vedo una perdita di valori sempre più progressiva. A me personalmente non piace la situazione che si è venuta a creare in questo momento, in Italia. Non mi piace che chiudiamo i porti, perché da quegli stessi porti tanti cittadini abruzzesi e tanti aquilani sono partiti per andare in America, dove spesso hanno trovato altre 'barriere'. Mi dispiace, inoltre, vedere che siamo sempre più 'attaccati' alla televisione, oppure sempre al telefono a guardarci l'ombelico, con talmente tante informazioni che ormai si confondono tra loro. Viva la tecnologia, se serve a informare maggiormente i cittadini. Ma questo tipo di tecnologia, ci sta portando ad avere il mondo in un palmo di mano. Ma è un mondo che noi non guardiamo, bensì lo 'scorriamo' con un dito. Ed è per questo che, alla fine, emerge questa nostra superficialità: si sta perdendo il valore reale delle cose".
A un certo punto, anche tu, nel corso dello spettacolo, tradisci qualche emozione, come se avessi vissuto lo 'sradicamento' avvenuto dopo il terremoto: cosa vuol dire ritrovarsi, da un giorno all'altro, senza una casa, senza più le proprie cose, senza la consueta quotidianità, insomma con il mondo che ti è crollato addosso?"E' una bella domanda. E io non so se sono in grado di rispondere. Penso che non sia necessario descrivere come ti puoi sentire. Lo spettacolo è tratto da vicende vere, reali. Ed è partito tutto dallo "scoramento negli occhi dell'amico", tanto per utilizzare le stesse parole del monologo. Nell'estate del 2009 ero a Silvi Marina, per le consuete vacanze estive, in compagnia di questo amico d'infanzia aquilano. Ancora oggi, mi viene da piangere solo a pensarci: questo ragazzo di 16 anni, nel giro di 32 secondi non ha avuto più alcuna certezza, non ha più avuto parenti, non ha più avuto degli amici, non ha avuto più la scuola, non ha avuto più il punto di ritrovo per fumare una sigaretta con gli amici: non ha avuto più niente. Si volta verso i genitori e questi erano messi addirittura peggio di lui: senza un lavoro, senza un futuro, senza una casa. Io non lo so come ci si sente, in una situazione del genere. Tuttavia, ho il ricordo di questo amico che guardava il vuoto, divenuto improvvisamente assente, senza più avere un punto su cui concentrarsi per focalizzare qualcosa. E' stata un'estate molto 'pesante', difficile da vivere. Questo ragazzo, oggi, si è ripreso, per fortuna. Oggi, Antonio è normale. Ma io credo che la ferita sia rimasta e rimarrà per sempre. Lui, oggi, vive in un'altra città. E' sempre aquilano, però, in realtà, non lo è più, perché L'Aquila non c'è più. Questo terremoto del 2009, rispetto a tutti gli altri terremoti che esistono, è stato in grado, tramite la 'malagestione', di spazzare via una città che, storicamente, era sempre rimasta nello stesso punto, anche quando crollava su se stessa. Nel 1703, L'Aquila aveva già vissuto un terremoto, totalmente distruttivo. Ma i signori della città decisero di chiudere le porte, annunciando: "Cari cittadini, da qui si ricomincia: ricostruiamo tutto dalle nostre ceneri e dalle nostre macerie". L'Aquila, infatti, aveva questo suo aspetto 'settecentesco' proprio perché, dopo il 1703, era stata totalmente ricostruita da zero, dopo essersi ritrovata rasa al suolo. Noi, invece, nel 2009 siamo stati capaci di dire: "No, non ricostruiamo la Storia e la città con il suo centro storico, bensì creiamo 19 'L'Aquila 2', 'L'Aquila 3', 'L'Aquila 4' e così via". Agglomerati che sono, di fatto, dei 'quartieri dormitorio' come il Tuscolano, dove abito io, o 'satelliti' a sé stanti come Tor Bella Monaca, dove, per una 'malavisione futurista' della città, non sono state fatte piazze, non ci sono servizi, né luoghi di aggregazione: servono solo per andare a dormire alla sera, dopo una dura giornata di lavoro. Queste 19 'New town' hanno definitivamente ucciso una città".
Controllando i dati storici, la zona sismica più colpita, in passato, è stata spesso quella di Avezzano: come mai, secondo te, la 'placca' tettonica questa volta si è andata a staccare lì, nella zona dell'Aquila?"Anche qui facciamo scienza senza alcuna laurea: ci tengo a dirlo. Tuttavia, da quanto ho letto, studiato e appreso, le 'faglie' sono come degli elastici: nel momento in cui il terreno si muove da una parte, l'altra, prima o poi, la segue per conseguenza. Il terremoto di L'Aquila, in genere, è sempre stato seguito o ha preceduto un secondo evento sismico ad Avezzano. Nel 2009, si diceva che nel giro di 10 anni si sarebbe verificata una violenta scossa nel territorio di Avezzano. C'è anche da dire che, nel 2009, la paura si era ormai diffusa: c'era chi gridava al terremoto ogni '2 per 3'; chi cercava di far capire che il terremoto non si può in alcun modo prevedere. Tuttavia, si tratta di fenomeni 'elastici': dove il terreno si muove verso una parte, prima o poi lo segue anche l'altra. Quindi, senza fare i catastrofisti, è prevista un'altra forte scossa ad Avezzano, ma può anche darsi che, questa volta, essa si sia verificata ad Accumoli, quella del 2016. Può anche darsi che, questa volta, la 'faglia' coinvolta sia stata quella più a nord. In ogni caso, i terremoti non si possono prevedere: bisognerebbe fare, invece, prevenzione. E la prevenzione si fa adeguando le strutture già esistenti. E laddove le strutture esistenti non possono essere rigenerate, bisognerebbe capire cosa fare e se, eventualmente, abbatterle per ricostruirle 'ex novo'. Forse sto dicendo delle 'bestemmie', o delle 'blasfemìe'. Però, mi chiedo: perché in Giappone non ci sono mai tutti questi morti? Poche settimane fa, il Giappone è stato investito da un terremoto d'intensità 6.1 della scala Richter e ci sono stati solo 3 morti".
I giapponesi sono molto più organizzati di noi?"A parte il fatto che sono più organizzati, loro sono efficienti: tutti gli edifici sono costruiti secondo criteri antisismici seri, non come quelli 'nostri'. Quindi, basterebbero soldi, basterebbe un investimento, basterebbe pensarci e prevenire, anziché arrivare sempre due minuti dopo il cataclisma e domandarsi: "E adesso? Cosa facciamo"? Noi chiudiamo sempre la 'stalla' quando i 'buoi' son già fuggiti: questo è il nostro problema".
Tu chiedi, alla fine dello spettacolo, una legge antisisma: perché ritieni che il legislatore dovrebbe occuparsi di questa materia?"Perché attraverso una norma, attraverso una regolamentazione di quelle che sono le 'manovre' da effettuare nella fase 'post sisma', o in una situazione di emergenza, si eviterebbe di andare a 'tentoni' cercando di fare l'azione 'giusta' che l'elettorato vuole. L'elettorato chiede e il politico di turno promette, adoperandosi affinché accadano delle cose che possano prevedere anche dei 'magheggi', delle 'mazzette', strumentalizzando la disgrazia o il bisogno. Io lo racconto, nello spettacolo: nel 2009 - e questa è storia nota, di cui ci sono prove, intercettazioni e ci sono stati processi - anche da parte di 'Protezione civile Spa', ogni volta che si entrava in una situazione di emergenza (questo è sato documentato molto bene da Sabina Guzzanti in 'Drakulia') c'era solo un commissario straordinario che decideva tutto. Nel 2009, il commissario era Guido Bertolaso: ora, non sto dicendo che Guido Bertolaso sia l'unico responsabile di quanto accaduto, ma attorno a lui e in base alle decisioni da lui prese, ci sono stati tanti finanziamenti che sono 'puzzati'; ci sono stati dei 'progetti case' in cui, alcuni di questi, resistono belli 'in piedi', anche se sono dei 'quartieri-dormitorio' in mezzo al nulla, mentre in altri crollano i balconi, perché ci sono le infiltrazioni d'acqua in case e complessi antisismici, sostenibili ed eco-compatibili, che avrebbero dovuto rappresentare una sicurezza. Ancora oggi, molte persone vengono 'sgomberate' perché questi 'progetti case' in sicurezza non sono. Ci sono nuove scosse? Crollano anche questi nuovi 'progetti case'. Come si è potuto far pagare 130 mila euro per edifici e abitazioni da 80 metri quadrati, costati cioè 2 mila 700 euro a metro quadrato, che poi ti crollano addosso dopo 5 anni? Com'è possibile? C'è qualcosa che non va. Ci sono le infiltrazioni, ma ci sono anche le intercettazioni, le quali provano che c'è gente che 'mangia' sopra le disgrazie altrui. Allora, se tu legislatore regolamenti, se legiferi, se produci norme, quando si scopre che qualcuno specula sui morti, lo Stato gli può fare un 'mazzo tanto' - scusate il 'francesismo' -. Insomma, servono delle regole precise in cui, quando si verifica un evento sismico, si nomina questo e quest'altro, in cui il primo gestisce le ricostruzioni, mentre il secondo si occupa degli 'sfollati'. Questi ultimi, inoltre, non devono andare oggi nelle tende, domani nelle case, un mese dopo sulla costa, quello dopo ancora in montagna. Dev'esserci una normativa, insomma, in cui si decide cosa fare e come farlo, senza improvvisazioni, perché l'improvvisazione fa sì che tanti soldi vadano sprecati. Una legge che verifichi e controlli, per esempio, la raccolta dei fondi di solidarietà: "Mandate un sms a questo numero". Oppure: "Questo è il mio Iban per versare due euro in favore dei terremotati". Tutti versammo, allora, i nostri due euro, ma nessuno ha mai saputo niente di quei soldi: una truffa da migliaia di euro. Oppure ancora: "Siccome la situazione è fuori controllo, datemi i cibi, datemi i vestiti", eppoi le provviste se le mangiano altri e con i tuoi vestiti ci si vestono altri. Ovviamente, mi sto riferendo anche a forme di 'sciacallaggio' di basso livello. Ma ci sono anche quelli che, nella notte stessa del terremoto, si mettno a ridere al telefono con l'amico: "Evvai! Adesso, si ricostruisce. Io ho l'amico lì, che mi può far parlare al telefono con quell'altro..." e via dicendo. Insomma, ci sono gli 'inciuci'. E per evitare gli 'inciuci' ci vuole, per lo meno, una legge".
(intervista tratta dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 41 - luglio/agosto 2018)
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