Dario CecconiOffese, insulti, derisione per l'aspetto fisico, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni, vere e proprie aggressioni fisiche. Il 'bullismo' consiste in una serie di comportamenti aggressivi, fisici e psicologici, nei confronti di soggetti che non sono in grado di difendersi. Il fenomeno si basa, principalmente, su tre presupposti: intenzionalità, persistenza nel tempo e asimmetria nella relazione. I ruoli sono ben definiti: da una parte ci sono i 'bulli', dall'altra le vittime. Secondo uno studio pubblicato sul 'Journal of Educational Psychology', il bullismo può accompagnare tutto il percorso scolastico di un bambino: dall'asilo al liceo. In alcuni casi, si manifesta in rete attraverso atteggiamenti aggressivi che vengono messi in atto sui social network, dove il 'bullo' può mantenere l'anonimato. Due ragazzi su tre dichiarano di aver avuto esperienza diretta o indiretta di 'bullisimo', o 'cyberbullismo'. Proprio per questo, a maggio 2017 è stata approvata la legge sul 'cyberbullismo' i cui 'pilastri' sono una stretta sul web e il coinvolgimento delle scuole nel contrasto delle molestie on line. Ma cosa induce un giovane a comportarsi da 'bullo'? E, di contro, come si diventa vittime? In entrambi i casi incide l'autostima. Il bullo mostra un'alta opinione di sé, combinata a narcisismo e manìe di supremazia. Talvolta, non si sente realmente così e usa l'aggressività per emergere nel gruppo. In genere, ha una bassa tolleranza alle frustrazioni. La vittima, invece, si nasconde in casa, rifiuta i contatti, mangia di tutto, diventa anoressica o si fa male del da sola. Nei casi più estremi, si arriva fino al suicido. Diversi studi hanno dimostrato che, nel passaggio dall'adolescenza all'età adulta, le vittime di bullismo possono presentare disturbi quali agorafobia, ansia, attacchi di panico e depressione. Il ruolo educativo di insegnanti e genitori può fare la differenza. Le terapie per recuperare 'bulli' e 'bullizzati', secondo psicologi e psicoterapeuti di fama nazionale e internazionale stanno nel far comprendere come gestire le emozioni. Rari i casi in cui s'interviene a livello farmacologico: la relazione umana è il punto di partenza. Prima uno 'screening' del pediatra, poi 6/12 mesi di percorso psicologico, quindi attività che insegnino ai giovani a stare insieme parlando. La differenza di percorso terapeutico tra chi è un 'bullo' e chi è una vittima sta in quello che si deve imparare a gestire. Nel caso di chi commette violenza è necessario capire come incanalare la rabbia e apprendere il rispetto degli altri. Per chi è stato preso di mira dalla violenza altrui, il compito è superare l'infinito senso di colpa, difficile da esprimere a parole.


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