Dario CecconiUn'isola corallina del Pacifico meridionale è il regno dei rifiuti plastici. Lo ha scoperto la ricercatrice Jennifer Lavers, dell'Istituto per gli studi marini e antartici dell'Università della Tasmania (Australia), che ha riscontrato in Henderson Island la presenza di quasi 38 milioni di rifiuti di plastica. L'isola è disabitata, priva di sorgenti d'acqua e grande appena 38 chilometri quadrati. Si trova alla destra delle isole Fiji e alla sinistra dell'isola di Pasqua, a circa 5 mila chilometri dal più vicino centro abitato, che conta appena 40 residenti stanziali. E' stata considerata a lungo un 'paradiso naturale', tanto da essere tutelata dall'Unesco, che l'ha definita: "Uno dei migliori esempi di atollo corallino, rimasto intatto grazie alla quasi totale assenza di attività umana". Nonostante nessuno viva sull'isola, il livello crescente d'inquinamento degli oceani ha fatto sì che non sia più pulita. L'immondizia, infatti, da qualche anno a questa parte ha invaso le sue spiagge, dopo esser stata spostata per migliaia di chilometri dalle correnti oceaniche, generate soprattutto dal 'vortice' del Pacifico meridionale: una sorta di grande nastro trasportatore naturale dei rifiuti generati dall'attività umana. E' stato stimato che sulle coste di Henderson arrivino ogni giorno più di 3 mila frammenti di plastica. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica 'Pnas', il gruppo dei ricercatori guidato da Jennifer Lavers scrive che sull'isola di Henderson si sono ormai accumulati almeno 38 milioni di pezzi di plastica di piccole e medie dimensioni, a un ritmo veramente allarmante. I rifiuti che arrivano sulle coste sono di ogni tipo: reti da pesca rotte, galleggianti, teli di plastica e bottiglie. Due terzi dei rifiuti non sono visibili, perché ricoperti da uno strato di 10 centimetri di sabbia, trasportata e ammassata dalle maree. I ricercatori spiegano che il livello d'inquinamento non può essere valutato semplicemente osservando le coste dell'isola, dato che molto materiale inquinante ha dimensioni inferiori ai 2 millimetri e, con il tempo, ha contaminato le spiagge in profondità. Jennifer Lavers ha iniziato lo studio dell'isola di Henderson nel 2015, insieme al collega Alexander Bond. Nei loro primi tre mesi di lavoro hanno misurato la densità per metro quadrato dei rifiuti e hanno raccolto oltre 55 mila campioni. In un centinaio di casi, i pezzi più grandi e meglio conservati hanno permesso di risalire al loro Paese di origine. Di conseguenza, è stato possibile 'mappare' il percorso di migliaia di chilometri nell'oceano fatto prima di arrivare sull'isola. L'equipe di Jennifer Lavers, in seguito, è riuscita a stimare che lungo le coste si siano ormai ammassate 18 tonnellate di rifiuti di plastica: un record se si considera l'esigua superficie dell'isola. Si riuscirà mai a trovare una soluzione per restituire a questo meraviglioso territorio tutto il suo splendore naturale?

L'isola di Moby Dick
L'isola di Henderson è conosciuta anche per il naufragio della baleniera Essex: una delle fonti d'ispirazione di Herman Melville quando scrisse 'Moby Dick'. Dopo l'affondamento della nave e dopo aver vagato su tre scialuppe alla deriva nell'oceano per un mese, parte dei 20 membri dell'equipaggio raggiunsero l'isola il 20 dicembre 1820. I marinai trovarono una piccola fonte di acqua potabile e uccelli e granchi con cui nutrirsi, dopo settimane di stenti e digiuno. In una settimana finirono buona parte delle risorse che offriva l'isola e tutti, tranne tre di loro, decisero di riprendere il mare e di fare rotta verso il Sudamerica con le loro scialuppe. In otto furono salvati il 23 febbraio 1821 a oltre tre mesi dal naufragio dell'Essex. Per sopravvivere avevano estratto a sorte chi dovesse morire per consentire agli altri di cibarsene. I tre rimasti sull'isola di Henderson furono salvati, quasi un anno dopo, il naufragio dalla nave britannica 'Surry'.

Danni per la catena alimentare
Secondo un recente rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Pnua), le plastiche, in particolare i sacchetti e le bottiglie, sono gli scarti marini più diffusi al mondo: in molti mari regionali costituiscono oltre l'85% dei rifiuti. Gli avanzi di plastica si accumulano negli ambienti terrestri e marini di tutto il mondo. Si decompongono lentamente in piccoli pezzi tossici, che possono essere consumati dagli esseri viventi, a tutti i livelli della catena alimentare. A molti animali, compresi i mammiferi marini, gli uccelli, i pesci e le tartarughe, succede di scambiare le plastiche per alimenti. Le tartarughe di mare, in particolare, confondono i sacchetti galleggianti con le meduse, uno dei loro cibi preferiti. Uno studio nella regione del Mare del Nord, durato cinque anni, ha rivelato che più del 90% di questi rettili contiene nel proprio stomaco della plastica. Ogni anno gli esseri umani usano centinaia di miliardi di sacchetti (100 miliardi solo negli Stati Uniti, secondo il 'World Watch Institute'). Se ne ricicla soltanto una piccola percentuale, mentre la maggior parte non serve che per pochi istanti (il più delle volte solo per il breve tragitto dal negozio a casa). In natura, invece, sopravvivono per migliaia d'anni. Accumulati ad altri rifiuti, possono formare vere e proprie distese di sporcizia. Proprio come nel caso di Henderson Island.


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