Vittorio LussanaLa sacrosanta distinzione tra etica della convinzione ed etica del successo discende da un'antica utopìa: quella dell'avvento di un'umanità altera, rigenerata, perfetta. Chi vuole ottenere successo, in generale cerca un punto d'incontro con i gusti e le tendenze delle masse, mentre chi segue seriamente una convinzione profonda mira a obiettivi più lontani e distanti, sollevando il 'collo' della razionalità al di sopra della 'foresta', come le giraffe. La tendenza, o lo strumento, di un'etica della convinzione è dunque l'estetica: la teorizzazione 'fotografica' di un 'sogno espressionista', o qualcosa del genere. Chi, invece, ragiona secondo un'etica del successo appare maggiormente realista, analizza alcune movenze di fondo della società e le asseconda, più raramente le modifica, mutuandone la forma al fine di 'differenziarle', rigenerandole. Ora, sotto il profilo filosofico, il problema che si pone è il seguente: chi tende a compiacere le masse con 'belle parole' non solo compie un'opera di corruzione, ma trascina verso il basso l'intera società, proponendo modelli e riti sempre più falsi, o quanto meno ambigui, alla collettività. Ma assuefarsi alla menzogna, alle ipocrisie, alle vuote ritualità può nascondere finalità atterrenti, come dimostrato dal fondamentalismo islamico o, più in generale, dall'integralismo religioso. Per tali motivi, lo 'spunto' che proponiamo in questo primo numero del 2017 di 'Periodico italiano magazine' non è affatto casuale: l'estetica non è estranea all'etica, bensì ne è parte integrante e indissolubile. Sotto il profilo sostanziale, possedere una convinzione differenzia molto il singolo individuo dalla massa, rendendolo rappresentante di una 'crisi della crisi'. Quest'ultimo è un concetto molto presente tra le coscienze più avvertite del mondo intellettuale, poiché ci si è accorti che l'innovazione tecnologica in atto 'scavalca' le vecchie 'figure di crisi', sgombrando il campo da questioni e problemi al fine di esautorarli. Si tratta di una modificazione 'spiazzante', di un'imprevista tendenza utopistica della globalizzazione, la quale sta generando una realtà a due facce, totalmente contrastanti tra loro: da una parte, quella dell'avanguardia tecnologica; dall'altra, quella assai più fosca della scomparsa di numerose specializzazioni e mansioni. L'avvento dell'epoca digitale ha già causato il declino di alcune professioni, come per esempio quella del fotografo. Anche in questo caso, non si è trattato della scomparsa degli aspetti di 'abilità' o di virtuosismo artistico, teorico ed estetico, di tale professione, bensì del suo 'mercato' nei suoi aspetti più strutturalmente artigianali, consumistici, commerciali. L'avvento di una nuova tecnologia è riuscita, insomma, a 'scavalcare' il prodotto stesso, rimpiazzandolo con un altro a basso costo. Di qui, sorge una constatazione: lo sviluppo tecnologico non persegue affatto l'incremento delle opportunità o la nascita di nuovi mercati, bensì quello della marginalità dell'occupazione lavorativa. In sostanza, il progresso vorrebbe liberare l'uomo dalla schiavitù del lavoro, ma dopo aver individuato tale obiettivo di prospettiva, dimentica di dover dare una nuova 'forma', una modalità, un 'come', ai distinti 'passaggi intermedi' del processo produttivo. Ecco spiegato perché torna assai comoda la 'chiave' interpretativa della vecchia cultura socialista del '900, che non è affatto un 'cane morto': al contrario, essa è la sola tradizione in grado di avvertire l'umanità dei pericoli di 'antitesi negative' che possono derivare da uno sviluppo disordinato o 'malgovernato'. Parafrasando Pasolini: uno sviluppo distante intere galassie dal vero progresso. Fu esattamente questa l'intuizione di Fritz Lang allorquando immaginò una grigia realtà industriale: un'ispirazione che lo condusse a dar vita al geniale film 'Metropolis'. La 'crisi della crisi' sostanzialmente salta a più pari ogni mediazione, eliminando, anche e soprattutto sul versante 'aziendalista', ogni possibilità di un nuovo 'contratto sociale'. In pratica, la 'crisi della crisi' è la 'vera crisi', poiché in essa non vi è alcuna alternativa, nessuna possibilità di organizzare una risposta efficiente. E ciò rende necessarie, se non addirittura urgenti, nuove 'sintesi' di compromesso. Ovvero, una nuova 'etica del successo', in grado di organizzare una risposta ai radicalismi più irrazionali e astratti. La convinzione che lo sviluppo tecnologico porti a radiose 'albe' di progresso rischia di diventare un obiettivo rimandato 'ad libitum', poiché ciò che rende maggiormente umana ogni etica è proprio la sua capacità di far riferimento a categorie reali, non certo di andare a generare l'apocalisse della noia e della disoccupazione di massa. L'umanità ha dunque bisogno anche di un'etica 'altra': quella del successo. La quale, se utilizzata correttamente, ha il pregio di determinare un limite nei confronti di ciò che può condurci, pur in buona fede, verso ulteriori 'disastri'. Proprio l'etica del successo è ciò che andrebbe rianalizzata e mutuata in quanto metodologia, poiché ha il merito di 'fissare' materialmente ogni tendenza, rendendola più vicina alle aspettative e ai bisogni delle masse. La 'nuova Metropolis' della tecnologia rischia di trasformarsi in un processo già compiuto, nel quale nulla di diverso può accadere sotto la coltre della propria 'inumanità'. Lo sviluppo, se assunto come unica 'stella polare' di orientamento, può assumere connotati eccessivi, enfatici, persino angoscianti. Ma sotto il profilo dell'organizzazione di una 'risposta politica', in certi casi è sempre buona cosa moderare il processo, facendolo passare attraverso formulazioni di 'sintesi' meno vaghe, più precise e definite, comprensibili e utili per tutti. Diventando successo.

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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
Editoriale tratto dalla rivista 'Periodico italiano magazine' n. 24 - gennaio 2017)


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Roberto - Roma - Mail - martedi 17 gennaio 2017 22.49
Caro direttore, in Italia, se andasse di moda andare in giro con uno scolapasta in testa, la cosa verrebbe considerata un successo anche quando piove...
Cristina - Milano - Mail - martedi 17 gennaio 2017 19.42
Kant: etica ed estetica...
Renzo - Volterra (Italia) - Mail - martedi 17 gennaio 2017 19.41
E' un preciso atteggiamento politico quello di cogliere le cosiddette "onde di consenso. Una forma di astuzia usata a piene mani dalla politica che in questo caso la fa da MAESTRA alla società. Per questa ragione si va a puttane anche con la scuola oltre che con la società. E con l'ondeggiare dei personaggi a tutto scapito della ricerca. La ricerca non ammette consenso almeno nel tempo stesso del vivere. Mentre si cerca non c'è successo ma semmai rotture di balle a tutti e perfino a se stessi. quando si cerca non si pensa alle vetrine , a spendere in vetrina semmai si tenta di spiegarsi... incontrando mille ostacoli veri... E' chiaro che se vuoi voti o vuoi fama ti conviene prendere le occasione sviluppando un opportunismo con tecniche ad audiens... che sebbene ti da al presente qualche cosa, nel momento della carne viva.... però asciuga tutto il futuro.
Sergio - Bergamo - Mail - martedi 17 gennaio 2017 19.30
Ho letto e ho, nei miei limiti, colto la critica condivisbile. Ma faccio fatica a capire dove sta la soluzione nel darsi il successo come obiettivo.. A meno di entrare nel merito di quale successo e in relazione a cosa.


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