Francesco D’Agostino è il Presidente del Comitato Nazionale di bioetica, il principale organo consultivo del governo in materia di ricerca scientifica.

Presidente D'Agostino, la legge sulla procreazione medicalmente assistita, oltre ad impedire la ricerca sulle cellule staminali embrionali, non rischia di escludere l'Italia dalla comunità scientifica internazionale?
“Non è vero che quella legge esclude l’Italia dalla comunità scientifica: è vero che la legge pone dei limiti alla ricerca, ma solo sugli embrioni. Lascia, invece, completamente aperti gli spazi alla ricerca sulle cellule staminali non embrionali. Uno dei migliori genetisti italiani, il Prof. Angelo Vescovi, ha espresso un’osservazione molto arguta al riguardo. Lui ha affermato che, adesso, in tutto il mondo si scatena la ricerca sugli embrioni. Paradossalmente, i ricercatori italiani, che sono obbligati invece a fare ricerca solo su cellule staminali non embrionali, faranno ricerca in ambiti scientifici che negli altri Paesi vengono trascurati. Quindi, potrebbe anche darsi che noi italiani ci si ritrovi in un settore di ricerca tutto nostro, che può dare grandi risultati e che, in altri Paesi, viene trascurato".

Dunque, non è vero che danneggia la ricerca scientifica?
"Non è detto che questa legge danneggi la ricerca. Maliziosamente, qualcuno potrebbe anche dire che la nostra ricerca è talmente arretrata, rispetto a quella inglese e americana, che sicuramente nel campo delle cellule staminali embrionali arriveremo sempre ultimi e che sarebbe invece opportuno che noi ci dedicassimo ad ambiti che altri scienziati trascurano. Questa è un’osservazione che vale per quello che vale. Ma almeno, ci mette tranquilli che non ci dobbiamo strappare i capelli dicendo che la ricerca italiana viene strangolata, perché non è vero. Essa viene, da questa legge, diversamente orientata. Una seconda osservazione, riguardo a questa domanda, è che essa rivela un pensiero implicito: parte da un presupposto non esplicitato, e cioè che il dibattito sulla fecondazione artificiale sia fondamentalmente un confronto tra cattolici e laici. Io non credo che ciò sia vero, perché la maggioranza che ha approvato la legge è stata una maggioranza trasversale, che ha veicolato voti di destra e di sinistra. Ed è una maggioranza all’interno della quale ci sono cattolici, ma sicuramente anche laici. Questo può esser vero per l’Italia, ma anche per altri Paesi: per esempio, ‘il Foglio’ di Giuliano Ferrara, recentemente ha dato notizia dell’ultimo libro di Jacques Prestar, il primo medico francese che ha effettuato fecondazioni artificiali, il quale è un laico che si è pentito ed è divenuto un grande avversario della manipolazione embrionale. Io sono piuttosto contrario a portare avanti quella che per me è un’autentica leggenda metropolitana, e cioè che su questo tema i cattolici stiano da una parte e i laici da un’altra, poiché questa è un’affermazione che andrebbe dimostrata. Ma, chi la fa non la può dimostrare, perché io sto portando nomi di laici che sono contro gli eccessi della procreazione assistita. E potrei anche portare i nomi di cattolici libertari: infatti, come esistono cattolici favorevoli a divorzio ed aborto, esistono anche cattolici che non vorrebbero nessun limite o che vorrebbero minimizzare i limiti alla fecondazione artificiale. E non solo in Italia, ma anche fuori. Per esempio è notorio che il centro dei Gesuiti di Barcellona ‘Borgia’ sia molto libertario o che a Lovanio, presso l’Università cattolica, si pratichi la fecondazione artificiale contro le direttive del magistero della Chiesa. Quindi, si possono anche portare esempi di cattolici libertari e di laici che, invece, non lo sono affatto. Purtroppo, in Italia, e in ciò critico soprattutto i radicali che tendono ad estremizzare il dibattito, c’è quest’impostazione, profondamente sbagliata, che probabilmente facilita ma involgarisce il confronto. Per cui, su certi temi, la dialettica diviene quella tra laici e cattolici. Ciò favorisce polemiche laiciste contro i cattolici, nel senso di dire che questi tenderebbero a violare la laicità dello Stato e si intromettono in cose che non li riguardano. Io sono convintissimo che la Chiesa debba restare fuori da questi dibattiti, ma sono ancora più convinto che il dibattito sulla fecondazione artificiale debba essere un confronto razionale, nel quale debbono essere utilizzati usati argomenti razionali, dunque laici. E che non c’è alcun bisogno, nel dibattito sulla bioetica in generale e nella fecondazione artificiale in particolare, di usare argomenti di tipo spiritualistico, religioso o dogmatico. E credo, in questa nostra conversazione, di darverne una prova concreta, poiché non sto citando la Bibbia, la religione o il Papa. E nemmeno una sia pur vaga spiritualità: sto usando semplicemente argomenti che riguardano la difesa del vivente umano ed il ‘no’ alla manipolazione. Non si tratta di tematiche strettamente cattoliche, men che mai puramente religiose. Dunque, per tornare alla domanda, questa legge, bella o brutta che sia, nasce da una maggioranza trasversale, ed è una legge molto chiara, esplicita, che contiene dei divieti bioetici molto chiari”.

Può darci una definizione sintetica del termine clonazione?
“Lo dico una volta per tutte: non ci sarà mai nessuno al mondo che riuscirà a dare una spiegazione univoca, perché è fisiologico che ciascuno cerchi sempre di tornare su quello che gli altri hanno già detto per migliorare, precisare, mettere meglio a fuoco. Comunque, il concetto di clonazione è uno dei più univoci che ci siano, sia nella scienza, sia nella bioetica. Siamo, cioè, tutti d’accordo nel definire clonazione la produzione di un embrione, dotato del medesimo patrimonio genetico di quello di una specie vivente a riproduzione sessuale, che non provenga da gameti di due individui di sesso diverso, ma dalla riproduzione del patrimonio genetico del gamete di un solo progenitore. Detto sinteticamente, il concetto scientifico di clonazione è questo. Ora, il primo punto da mettere in chiaro è che per le specie come quella umana non può esistere una clonazione naturale, perché per natura noi ci riproduciamo in modo sessuato. Invece, in alcune forme di vita vegetale o animale esistono riproduzioni anche per clonazione. Peraltro, nel mondo vegetale ci sono anche forme di riproduzione sessuale, poiché esistono alcune piante sessualmente bimorfiche, cioè di sesso maschile e femminile. In ogni caso, la clonazione è una tecnica di manipolazione, una modalità di riproduzione assolutamente artificiale che non imita sotto nessun aspetto la riproduzione naturale, come invece fa la procreazione assistita, la quale è sicuramente una procreazione artificiale che, tuttavia, cerca di riprodurre i meccanismi che avvengono nel corpo della donna trasportandoli, per esempio, nella fivet. Dunque, la clonazione è una forma di riproduzione assolutamente artificiale. Contro di essa si usano alcuni argomenti che si riassumono tutti fondamentalmente in uno solo: no alla manipolazione del vivente umano. Questo è l’argomento fondamentale che io credo possa stare particolarmente a cuore a tutti coloro che, per la loro visione del mondo, ritengono che il vivente, in generale, vada rispettato. Per esempio, gli ambientalisti sono convinti che il mondo vegetale e animale vada rigorosamente rispettato e protetto dalla capacità manipolatoria dell’uomo. Quando gli animalisti condannano la sperimentazione sugli animali in quanto forma di violenza, o quando condannano la produzione di organismi vegetali geneticamente modificati, partono dall’idea che il vivente vada sempre e comunque tutelato. In questo orizzonte, si può dunque collocare anche l’opinione di coloro che affermano che anche il vivente umano deve essere rispettato contro ogni forma di manipolazione. E’ chiaro che la clonazione può diventare una manipolazione immensa, quando ha come finalità quella di far nascere un bambino clonato: su questo non c’è alcun dubbio e, in tal senso, parliamo di clonazione riproduttiva, intorno alla quale i dissensi sono amplissimi. Tuttavia, anche la clonazione cosiddetta terapeutica, cioè quella che ha come finalità la creazione in laboratorio di un embrione clonato per fini di ricerca, è comunque una manipolazione non diversa da quella che gli ambientalisti condannano quando ha per oggetto gli animali da laboratorio. Quindi, coloro che sono contrari alla clonazione terapeutica, lo sono in quanto convinti che non porterebbe a nuovi risultati. E’ molto probabile che la ricerca scientifica, attraverso la clonazione terapeutica possa portare a risultati interessanti, ma il prezzo da pagare è una manipolazione del vivente umano che molti ritengono non etica. Attenzione, però: questa posizione non ha niente a che vedere con dei presupposti religiosi. Io non sto usando alcun argomento religioso, per esporre questo argomento, e ciò è ulteriormente dimostrato dal fatto che contro il nulla osta dato dall’Inghilterra alla cosiddetta clonazione terapeutica, in Italia si sono schierati Rita Levi Montalcini, che oltre ad essere laica è anche ebrea, quindi lontanissima dalla visione cattolica del mondo, e Giovanni Berlinguer, che come sappiamo tutti è un illustre maestro della bioetica laica, oltre che un politico che milita da sempre in un partito dichiaratamente laico…”.

Per quanto la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali umane apra uno scenario affascinante, qualcuno avverte che ad avere accesso ai centri di ricerca in grado di effettuare queste complesse tecniche di trapianto potranno essere solo pochi, fortunati, pazienti. Un rischio reale secondo lei?
“Intanto, va ricordato che le cellule staminali possono essere ottenute non solo da embrioni, ma anche dal cordone ombelicale. E sono comunque presenti in soggetti adulti. Quindi, quando si parla di ricerca sulle cellule staminali bisogna ricordare che ci sono diverse modalità per fare questa ricerca, non soltanto quella sugli embrioni. Qualcuno arriva anche a ipotizzare che le staminali prelevate dagli adulti sarebbero molto più utili, per fini terapeutici, di quelle embrionali, perché se io sono malato, ho bisogno di una determinata terapia e questa viene attivata prelevando una cellula staminale già presente nel mio organismo modificandola “ad hoc”, io sono certo che queste cellule sono compatibili con il mio organismo, proprio in quanto prelevate dal mio corpo. Se invece si utilizzano cellule staminali embrionali, c’è sempre il rischio che queste, non provenendo dal mio organismo ma da un embrione creato in provetta, non siano compatibili e che l’organismo le rigetti. E’ dunque molto importante ricordare che la ricerca, a parte quella sulle cellule embrionali, è del tutto allo stato iniziale, e che siamo ancora lontanissimi da qualunque protocollo consolidato di terapia. Usando cellule staminali, però, le prospettive di ricerca sono più articolate e non si riducono a quelle embrionali. Detto questo, è chiaro che se domani si arriverà a terapie geniche da cellule staminali, è molto probabile, come sempre è avvenuto nel mondo della medicina, che tali terapie saranno messe a disposizione di tutti: non vedo perché si debba immaginare che possano essere fruibili soltanto da pochi eletti, poiché non riesco proprio ad immaginare che si possa correre un simile rischio. E’ chiaro che ci sono sempre stati, e sempre ci saranno, problemi di annotazione delle risorse in medicina. E' come per il caso dei trapianti: ci sono le liste di attesa, ma non per questo qualcuno pensa che i trapianti, oggi, possano favorire soltanto gli abbienti o i non abbienti. Non sono sicuramente questi i rischi prevedibili od ipotizzabili”.

Veniamo al dibattito etico - religioso sulla legittimità di creare embrioni per soli scopi “utilitaristici” e alla questione dello statuto dell’embrione: è già un essere umano ‘a pieno titolo’, secondo lei?
“Intanto ribadisco che non è detto che la ricerca sulle cellule staminali debba basarsi solo sugli embrioni clonati. In Inghilterra si sta aprendo questa strada, ma io penso sia un percorso incredibilmente difficile, perché siamo lontanissimi dall’avere un protocollo per la produzione di embrioni clonati. In realtà, è ancora tutto da scoprire: la famosa pecora “Dolly” è nata dopo duecentosettanta esperimenti falliti. Quindi si è trattato di un’esperienza di frontiera e qualcuno dice sia stato anche frutto del caso. Prima di ottenere embrioni clonati per la ricerca in modo fluido, standardizzato, passerà ancora un sacco di tempo. E’ un discorso ancora aperto, comunque, e coloro che dicono di no alla ricerca su embrioni clonati, sicuramente possono muovere le proprie obiezioni per ragioni etico religiose simili a quelle del magistero della chiesa cattolica. Tuttavia, ci possono essere, come ho già detto, persone come Rita Levi Montalcini e Giovanni Berlinguer che dicono no alla clonazione a fini di ricerca non perché ritengano che gli embrioni abbiano un particolare statuto sacrale od ontologico, ma perché ritengono di dover porre dei limiti, dei ‘paletti’, alla manipolazione del vivente umano. E questo, ripeto, è un argomento più che laico, che andrebbe seriamente preso in considerazione dai fautori di queste sperimentazioni in quanto, a mio avviso, ciò rappresenta il punto debole di chi è favorevole. Se si è favorevoli alla sperimentazione sugli embrioni umani, per coerenza e a maggior ragione bisogna essere favorevoli alla sperimentazione sugli animali e a qualunque sperimentazione genetica nel mondo vegetale. A questo punto, non si vede perché ci debba essere una proibizione nei confronti degli ‘ogm’: in Italia non si possono produrre organismi geneticamente modificati di tipo vegetale, è proibito farlo. Ma, allora, perché un contadino non può coltivare organismi geneticamente modificati, mentre un medico può creare in laboratorio un embrione umano clonato? Secondo me non c’è coerenza tra queste posizioni. E non si tratta di un discorso metafisico o religioso, bensì di manipolazione, ovvero dei limiti della manipolazione del vivente. E’ chiaro, a mio avviso, che il vivente può essere manipolato, ma l’unica giustificazione adeguata per manipolare il vivente è quella terapeutica. Cioè, se io mi accorgo che c’è una malattia delle piante che sta distruggendo una specie vegetale e c’è una terapia genica per salvarle, allora ritengo giustificato l’intervento genetico, cioè la terapia, che per me ha sempre una giustificazione. E’ la manipolazione, che non ha immediata e specifica finalità terapeutica, a non averla”.

Ma è possibile liberare la ricerca sulle cellule staminali embrionali da remore bioetiche e, contemporaneamente, assicurare che la clonazione terapeutica venga praticata in modo responsabile?
“Dobbiamo evitare espressioni che sembrano rassicuranti ma non vogliono dire nulla. Cosa può significare fare ricerca scientifica in modo responsabile? Il caso di cui stiamo parlando è molto semplice: o diciamo agli scienziati che possono produrre in laboratorio embrioni umani clonati, oppure che il vivente umano va rispettato, a meno che l’intervento degli studiosi non sia a beneficio della stessa vita umana. La recentissima legge italiana sulla fecondazione artificiale proibisce ogni intervento sugli embrioni, purché non sia un intervento terapeutico. Quindi, io ritengo che poiché esistono alternative alla ricerca sulle cellule staminali che non creano problemi morali, dunque si tratta di utilizzare cellule staminali del cordone ombelicale, oppure cellule staminali adulte prese da soggetti adulti. Non si vede perché gli scienziati non debbano orientare i loro sforzi verso una ricerca che non crea problemi etici e debbono, invece, insistere su una ricerca che di questioni etiche ne pone, come quella sugli embrioni. In realtà, sappiamo perché gli scienziati prediligono gli embrioni: perché è una ricerca più semplice e più economica. Però crea problemi etici. Allora, la grande domanda che ci dobbiamo porre è: perché non impegnarsi su una strada più complessa e più costosa ma sicuramente più etica e scegliere, invece, la scorciatoia più economica ma eticamente più ambigua? E’ un po’ la stessa sfida che gli animalisti fanno agli scienziati quando dicono che non si deve fare ricerca sugli animali. E’ vero che la ricerca sugli animali costa molto poco, perché se si fanno sperimentazioni sui topi, questi non costano niente. Per una sperimentazione farmacologia, infatti, questo genere di ricerche risulta molto conveniente. Però crea il problema etico del maltrattamento degli animali. Ecco dunque che sorge l’esigenza di scegliere un’altra via: sperimentare in maniera diversa, per esempio sui tessuti, che è metodologia più costosa e complicata ma che non crea problemi morali. E questa per me è una richiesta importante, niente affatto banale”.

Perché la cosiddetta ‘via italiana alla clonazione terapeutica’ ipotizzata dal noto rapporto della Commissione Dulbecco non è mai stata applicata?
“Da quanto è a mia conoscenza, la cosiddetta ‘via italiana’ era un’ipotesi di protocollo sperimentale che, però, nessun scienziato ha posto in essere. Sorge quindi legittimamente il dubbio che gli scienziati non lo abbiano ritenuto credibile. E’ stato come quando qualcuno dice: “Non sarebbe meglio se le macchine funzionassero ad acqua, piuttosto che a benzina”? Certo, sarebbe meglio. Ma se poi nessun ingegnere riesce a progettare un motore ad acqua, continuare ad insistere rappresenta soltanto una perdita di tempo. La Commissione Dulbecco propose questo protocollo. Ma il dato di fatto è che gli scienziati non lo applicano, probabilmente perché non è operativo, concreto, credibile. E’ solo una speranza, un’ipotesi, perché se si fosse trattato di un protocollo operativo, prima o poi qualche scienziato avrebbe posto in evidenza, con orgoglio, l’applicabilità della via suggerita. Questa domanda andrebbe dunque rivolta agli scienziati, non a me. Tuttavia, ho il forte sospetto che le cose stiano come ho appena detto adesso, e non credo che quell’ipotesi sia stata bloccata da forme di ingerenza politica. Gli scienziati italiani possono fare qualunque ricerca che non sia formalmente proibita dalla legge o dal ministero. E nessuno ha mai proibito l’applicabilità del protocollo Dulbecco. Quindi, perché dovrei pensare che abbiano avuto delle difficoltà? Può darsi ch’io sia poco informato in tal senso, ma in Italia c’è la ricerca pubblica e quella privata: soltanto la legge penale può proibire ad uno scienziato ‘privato’ di effettuare le sue sperimentazioni. Ad esempio, la nuova legge sulla procreazione assistita proibisce la sperimentazione sull’embrione. Ed infatti, si tratta di una norma che proibisce, che vuole sanzionare. Il protocollo Dulbecco, invece, era solo un’ipotesi che, oltretutto, era di mediazione, non pestava i piedi a nessuno: perché dover credere che gli scienziati, pur volendolo applicare, non abbiano potuto farlo? Chi glielo impediva? Un complotto per sabotare quel rapporto è al di là di ogni credibilità, secondo me. In Italia, per proibire una ricerca ce ne vuole… E’ addirittura la Costituzione che garantisce la libertà della scienza. Si può proibire una ricerca soltanto con una legge dello Stato e, oltretutto, questa legge deve anche essere molto accurata, perché deve difendere dei valori umani fondamentali, altrimenti si potrebbe addirittura affermare che è incostituzionale. Quando, ad esempio, il ministro Degan proibì la fecondazione in vitro, quella proibizione potè riguardare soltanto gli ospedali pubblici perché lui, come ministro della Sanità, aveva potere amministrativo sugli ospedali e i centri di ricerca pubblici, e non poteva proibire la stessa cosa ai centri privati. Infatti, l’Italia è stata il famoso far west della procreazione assistita, situazione che è durata fino all’approvazione della nuova legge. Ma la cosa si giustificava, perché, appunto, la circolare Degan valeva solo per i centri pubblici, mentre nei centri privati si poteva fare ciò che si voleva, anche fecondare artificialmente donne di 64 anni. Adesso che c’è la legge, nel bene o nel male abbiamo una norma che è uguale per tutti. Quindi, affermare che gli scienziati italiani abbiano subito dei limiti alla loro autonomia di ricerca, lo si può dichiarare solo a partire dall’approvazione e dall’entrata in vigore della legge sulla fecondazione medicalmente assistita. Sino a quel giorno, gli scienziati potevano fare tutto ciò che volevano, nel rispetto della legge vigente, che non aveva mai parlato di embrioni, men che mai di quelli generati in provetta”.
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