Vittorio LussanaLa massiccia immigrazione che sta investendo il sud dell'Europa non è una questione che riteniamo secondaria o sottovalutabile. Il problema indubbiamente esiste. Anche e soprattutto sotto il profilo dei flussi in entrata, che si vorrebbero più qualificati, o gestiti secondo criteri di effettiva 'compatibilità integrativa' con il nostro tessuto socioeconomico. Quel che si contesta, invece, è un certo approccio populista e xenofobo che molti tendono a fornire della problematica, al fine di strumentalizzarla per fini politici, finendo col 'deviare' l'attenzione dell'opinione pubblica dal tema delle 'cause' di un fenomeno che ha ormai assunto dimensioni ragguardevoli. Cause che non sono dettate soltanto dalle guerre civili, dalle 'primavere arabe' o dagli scontri religiosi interni al mondo islamico, bensì possiedono contorni in cui evidenti sono le responsabilità delle grandi multinazionali, le quali hanno finito col distruggere i mercati interni di quasi tutti i Paesi in via di sviluppo. Una nota catena di 'fast-food', tanto per fare un esempio, ricava più del 40% del proprio fatturato in Europa, eludendo l'erario di Italia, Spagna e Francia per riuscire a dichiarare i suoi profitti in Paesi in cui la tassazione è più bassa. Ciò indebolisce i nostri mercati interni, costringendoci a trascinarci stancamente all'interno di una crisi che, in un quadro di controllo fiscale 'sovranazionale', potrebbe essere contenuta e superata molto rapidamente. Non stiamo affermando che i panini e le patatine fritte stiano distruggendo la nostra economia. Stiamo semplicemente proponendo un esempio di evasione fiscale che, se moltiplicato per l'insieme del sistema capitalistico 'globalizzato', determina una condizione complessiva di 'concentrazione' industriale tale, da inasprire le disuguaglianze in ogni angolo del mondo. Se questo ragionamento possiamo ritenerlo valido per Paesi tutto sommato sviluppati - anche se connotati da numerosi squilibri interni - come l'Italia o la Spagna, figuriamoci quale devastante depauperamento questo tipo di globalizzazione abbia potuto generare, nel giro di pochissimi decenni, nei Paesi in via di sviluppo. Eccoci, dunque, innanzi alla vera causa delle imponenti migrazioni di tipo economico: una vergognosa politica di 'ottimizzazione fiscale' attuata dalle grandi imprese multinazionali. L'Unione europea, da tali 'forme' di elusione fiscale subisce, ogni anno, un danno che si aggira attorno al miliardo di euro: immaginiamo cosa sia potuto accadere nei Paesi poveri, in cui questa stessa perdita supera, complessivamente, i 200 miliardi di dollari. Se i Paesi in via di sviluppo avessero la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita interne, il fenomeno dell'immigrazione per motivi economici non esisterebbe, o denoterebbe caratteristiche puramente fisiologiche. E affermiamo tale banalissima verità non sulla base di presupposti ideologici anarchici o 'protestatari' di sorta, bensì nell'ottica di una normalissima visione liberaldemocratica. Il tipo di globalizzazione che si è imposta in tutto il mondo, sin dagli ultimi decenni del XX secolo, è stata a 'senso unico'. Ed è questa la 'battaglia' che l'Unione europea dovrebbe decidersi a combattere, se vuol riuscire a riguadagnare consenso e fiducia in tutti i popoli che la compongono.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
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Roberto - Roma - Mail - domenica 14 giugno 2015 11.23
Questa volta sono totalmente d'accordo con lei e mi fa molto piacere leggere ogni tanto, delle analisi cosi lucide. Se si combatte la grande evasione fiscale, anzi la grande "elusione" fiscale, ogni Nazione avrebbe molti problemi in meno e il mondo intero sarebbe meno ingiusto.


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