Vittorio LussanaRicapitoliamo quanto accaduto in questi ultimi anni e proviamo a fare alcune ‘ipotesi di scuola’. Nel settembre 2008 esplose la prima crisi finanziaria globale causata da un’enorme ‘bolla’ speculativa del mercato immobiliare americano: quella dei cosiddetti titoli ‘subprime’. Quella deflagrazione determinò un’improvvisa fuga di capitali dai depositi delle banche americane, dopo lunghi e assai cupi giorni di crollo delle borse mondiali e il fallimento della Lehman Brothers. A quel punto, i responsabili delle principali banche statunitensi decisero di vendere le azioni dei rispettivi istituti di credito al Governo americano. In tal modo, queste banche furono letteralmente salvate dal fallimento, ristabilendo sui mercati borsistici una nuova oligarchia di ‘mercanti’ di danaro. Tale circuito di emergenza, dopo il salvataggio americano ricominciò i propri affari come se nulla fosse accaduto. A questo punto sorge la prima questione, che sarebbe interessante porre a qualche economista di ‘rango’: non sarebbe stato meglio facilitare il fallimento dell’intero cartello bancario che aveva generato quella devastazione apocalittica, anziché salvarlo e dotarlo nuovamente di poteri economici grazie ai quali esso ha potuto continuare a prosperare, mentre una larga parte del mondo economico globalizzato subisce ancora oggi le ricadute deflattive di certe disastrose strategie finanziarie? Per quale motivo si è deciso di aiutare degli operatori che avrebbero meritato di essere posti fuori dai mercati? A seguito del ‘tracollo’ del 2008 è stato inoltre messo a punto un nuovo sistema di regole, che sui giornali viene generalmente definito ‘Basilea 3’. Quest’accordo internazionale aveva - e ha - due obiettivi fondamentali: 1) innalzare il rapporto minimo tra il capitale delle banche e i loro attivi, espressi dai capitali ceduti in prestito; 2) individuare quelle banche di importanza basilare per l’intero mercato finanziario mondiale, al fine di monitorarle e tenerle sotto controllo. Queste nuove regole di ‘Basilea 3’, tuttavia, non hanno previsto - o hanno voluto far finta di non vedere… - quel che un qualsiasi economista di formazione marxista - o anche un ‘keynesiano di sinistra’ come il sottoscritto… - avrebbe potuto suggerire immediatamente: andare a regolamentare e a tassare pesantemente anche quel circuito bancario ‘nascosto’ che gestisce almeno un terzo dei capitali in circolazione nel mondo. Tale circuito, infatti, include una serie di istituti che svolgono una serie di attività di investimento. Nello specifico, risultano specializzati nel raccogliere denaro mediante l’emissione di titoli a breve termine a bassi tassi d’interesse, al fine di prestarlo tramite l’acquisto di titoli a lungo termine e a interessi più elevati. Tale gruppo di società è proprio quello responsabile, sin dagli anni ’90, dell’enorme espansione dei mercati finanziari globalizzati, i quali, risultando regolati solo in parte, hanno creato una sorta di ‘doppia economia’ in grado di influenzare pesantemente la politica interna di numerosi Paesi, condizionando molte decisioni assunte all’interno dei singoli Stati integrati nell’assetto economico complessivo. Ciò, per esempio, è quanto accaduto in Italia nell’estate del 2011, in cui un fortissimo attacco speculativo, effettuato tramite la vendita di titoli del nostro debito pubblico da parte di alcuni istituti di intermediazione finanziaria, avrebbe dovuto segnalare, per lo meno agli occhi degli osservatori più avveduti, come certe organizzazioni possano arrivare al punto di sostituirsi, senza ostacolo alcuno, ai parlamenti nazionali. Giunti a questo punto della riflessione, la domanda sorge spontanea: per quale ‘diamine’ di motivo interi Stati nazionali e strutture sovranazionali quali l’Unione europea, la Bce e lo stesso Fondo monetario internazionale, dopo un ‘pandemonio’ planetario del genere dovrebbero continuare a correre il rischio di subire fortissimi condizionamenti causati da debiti creati da una precisa ‘casta’ interna al capitalismo finanziario internazionale? Interi Stati dell’Ue continuano a essere ‘fomentati’ dai mass media nel chiedere l’uscita dall’Eurozona, mentre invece dovrebbero semplicemente essere messi al corrente del fatto che la crisi del debito pubblico, in Europa, è tutt’oggi un rischio reale, dato che gli accordi di ‘Basilea 3’ non sono riusciti a mutare un aspetto fondamentale dei meccanismi finanziari internazionali. Il debito pubblico di Paesi come l’Italia, purtroppo, continuerà a crescere. Soprattutto, se si insisterà nel tentativo di ottenere una maggiore flessibilità dei parametri di Maastricht, con la speranza, a nostro modo di vedere alquanto velleitaria, di rilanciare la domanda aggregata di beni e servizi. Ma anche in presenza di una ‘buona’ ripresa economica, prevista per il quadriennio 2014-2018, il debito pubblico italiano si manterrà in una condizione di perenne pericolo per la nostra crescente posizione debitoria verso l’estero. Non sarebbe, a questo punto, più corretto studiare un modo per cancellare, almeno in parte, questo asfissiante debito pubblico? Data l’esistenza di una potentissima oligarchia del capitalismo finanziario internazionale, in grado di minacciare seriamente la stabilità economica e sociale dell’intero mondo occidentale, perché non introdurre nuovi meccanismi di controllo capaci di impedire che determinate agenzie di rating e certi operatori sui mercati finanziari continuino, attraverso le loro speculazioni, a destabilizzare le economie di interi Paesi e l’intero sistema capitalistico preso nel suo complesso? Insomma, l’ipotesi di una parziale, ma significativa, cancellazione del debito pubblico di molti Paesi rappresenta un’ipotesi econometrica così peregrina? A noi parrebbe di no. Ai tempi del clamoroso ‘default’ della Grecia, per esempio, fu decisa la svalutazione dei titoli di debito dei Paesi più indebitati. Una mossa del genere, infatti, evita che i Paesi interessati perdano la possibilità di accedere a nuovo credito. E allorquando ciò accade, l’intero complesso dei mercati finanziari internazionali, già nel medio periodo, finisce con l’autoregolarsi attraverso un ridimensionamento ‘indotto’ dell’intero sistema capitalistico internazionale. In tal modo, si potrebbe cominciare a predisporre un concreto piano di riforme per mezzo delle quali assicurare, in primo luogo, una stabilizzazione dell’economia mondiale senza che nessuno debba correre il rischio di ritrovarsi ‘schiavizzato’ dalle speculazioni finanziarie; in secondo luogo, sempre attraverso alcune riforme mirate e ben ‘pensate’, si potrebbe addirittura sottrarre alle banche il potere di ‘creare denaro’, affidando tale funzione a un organismo pubblico indipendente e sorvegliato. Ciò fornirebbe la possibilità di trattare ogni banca come un’azienda qualsiasi, togliendo all’oligarchia degli speculatori ogni possibilità di azione. L’idea di una parziale cancellazione del debito, in luogo dell’ulteriore indebitamento che si finirà con l’ottenere implorando una flessibilizzazione dei parametri di Maastricht, potrebbe evitare ogni rischio di esposizione rispetto agli effetti di nuovi ‘crack’ monetari. Invece, un debito regolarmente in aumento come quello italiano, che proprio in questi ultimi giorni ha subito una nuova impennata al 132,6%, costringe il nostro Paese al pagamento di tassi di interesse sempre più alti, che sottraggono risorse fondamentali alla ricostruzione di un sistema socioeconomico ‘interno’ più stabile ed equo.





Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it
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Roberto - Roma - Mail - mercoledi 30 aprile 2014 1.7
La cancellazione del debito pubblico non si realizzerà mai, anche se ammetto che, per lo meno, è un'idea che segnala un ripensamento, da parte sua, su una condizione a dir poco insostenibile. La vera causa della nostra condizione di assoluta immobilità. Finalmente, lo ha capito anche lei. Se si fosse rubato un pò meno, forse oggi non staremmo messi così. Viviamo in un paese di gente senza scrupoli. E molti nostri giovani lo hanno capito..
Marina - Urbino - Mail - domenica 27 aprile 2014 22.4
Grazie per questi suoi articoli sempre interessanti e a loro modo illuminanti!
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - domenica 27 aprile 2014 5.13
Non mi pare una strada percorribile perché i tedeschi non hanno alcuna intenzione di pagare i nostri debiti. Secondo me, potremmo uscirne, prima che sia troppo tardi, incentivando l'investimento del capitale privato(2400 mld.) in un titolo di debito a lunga scadenza che preveda dei corrispettivi onorifici e fiscali (rinviati di qualche anno) che serva a ricomprare il debito estero. Contemporaneamente si potrebbe risparmiare sugli interessi con il metodo finlandese. Ma bisogna sbrigarsi perché più passa il tempo, più la situazione si aggrava(come nel caso della Grecia).


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