Vittorio LussanaDopo aver letto l’analisi di Nino Lorusso sulle pagine della rivista mensile ‘Liberoreporter’ in merito alle accuse mosse dalla procura di Milano al presidente del Consiglio dei ministri e dopo aver registrato la sdegnata lettera di risposta al medesimo articolo dell’amica e collega Chiara Scattone, qualche riflessione aggiuntiva sul modo di approcciare tali questioni, che appartengono peculiarmente al mondo della politica giudiziaria, dev’essere sicuramente espressa. La tesi di Lorusso, infatti, da un lato appare eccessivamente difensiva, un porsi sulle ‘barricate’ che, a prescindere dai reati contestati e dalle arringhe declamatorie che quelle stesse contestazioni hanno a loro volta provocato, sembra non voler tenere conto di una questione dirimente, che ormai si pone con piena evidenza per l’attuale premier: quella di dimettersi dal proprio incarico per motivi di evidente opportunità istituzionale. Un presidente del Consiglio che avvalendosi del proprio ruolo istituzionale, consente il pagamento di compensi assai elevati ad alcune ragazze, le quali certamente non amano fare le commesse in un negozio di scarpe oppure mantenersi tramite dignitose occupazioni saltuarie o stagionali, mentre tanti operai disoccupati vivono grazie al misero sussidio della cassa integrazione - per non parlare dei numerosi giovani costretti a sopravvivere in una condizione di costante precarietà  - rimane un’obiezione nient’affatto di carattere morale, bensì politica, poiché risponde a modelli di comportamento talmente ‘classisti’ da giustificare persino la resurrezione di determinate figure sociologiche ‘di crisi’ di diretta discendenza marxista. L’arretratezza politica che deriva dal comportamento di Silvio Berlusconi e di tutto il Pdl è infatti tipico di una piccola borghesia ‘cialtrona’ che ama fare e disfare ciò che più le pare e piace, compiacendosi persino del proprio operato da ‘libertini’ di fine ‘800, comportamenti che meritano certamente di incontrare, prima o poi, uno stop. D’altra parte, risulta altresì verificabile come le polemiche provenienti dall’universo politico progressista siano di natura fortemente burocratica, una sorta di corporativo ‘soccorso rosso’ verso un organo, la magistratura, che di certo non può considerarsi dotato del dono dell’infallibilità, soprattutto in Italia. La tesi dell’inesistenza di una ‘doppia magistratura’, quella buona e quella cattiva, rappresenta una difesa astratta, moralistica, strumentale della magistratura stessa, che in effetti svolge un ruolo arduo, difficile, composto di lunghissime giornate di sconfortanti dibattimenti e articolate sentenze. Di processo in processo, il magistrato è tuttavia tenuto a rendersi conto della difficoltà del vivere umano, della complessità del proprio ruolo giudicante. Perché è vero esattamente il contrario: è proprio il dover giudicare ciò che sconfigge l’uomo, poiché lo pone nelle condizioni morali, prima ancora che culturali, di dover analizzare la vita e i comportamenti di un proprio simile. Un sano principio di equità giuridica, in particolar modo verso quegli esponenti politici che ricoprono alti incarichi istituzionali, richiederebbe, almeno, una soglia più alta di protezione e di riserbo delle indagini in corso. Fu proprio in base a questo ragionamento, ovvero intorno all’eventualità di dover giudicare l’operato di un qualsiasi parlamentare evitando che la vita politica del Paese venisse influenzata dal potere giudiziario prevaricando, anche involontariamente o per periodi temporanei, il principio della sovranità popolare, che in sede di Assemblea Costituente si giunse al varo dell’articolo 68 della nostra Costituzione, ovvero quello relativo alla cosiddetta ‘immunità parlamentare’. Se, infatti, l’ufficio pubblico di un membro del parlamento non risulta adeguatamente protetto, anche l’accusa più falsa può essere utilizzata come strumento politico, benché in buona fede. Se non si riesce nemmeno a mantenere un minimo di riserbo nel merito di una qualsiasi indagine, per forza di cose l’effetto conseguente diviene l’accusa, nei confronti della magistratura ordinaria, di fomentare un circuito mediatico-giudiziario volto a condizionare la vita politica dell’intera comunità. Uscire da questo genere di polemiche non può non tradursi nel consigliare a tutte le parti in causa atteggiamenti più sobri. Il che significa rammentare al presidente del Consiglio che scegliere un comportamento anziché un altro può ridurre, in realtà, la durata temporale del proprio ciclo politico, anziché dilatarlo. Scrivere semplicemente questo dovrebbe bastare per chiudere ogni genere di discussione, senza far troppe polemiche. In fondo, la fortuna abbandonò persino Napoleone Bonaparte, che possedeva gli ‘speroni’ d’oro: abbandonerà presto anche Berlusconi.




Presidente dell'associazione culturale 'Phoenix'
Direttore responsabile delle riviste Periodico italiano magazine e Confronto Italia
(articolo tratto dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)
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Antonio Moschitta - Foligno/Italia - Mail - venerdi 4 marzo 2011 15.59
Caro Cadorna, è Lei a non conoscere la storia. L'analisi cronologica mostra che è berlusconi ad essere sceso in politica per evitare grane giudiziarie, e non la magistrature ad avergli creato grane giudiziarie per stroncarne la carriera politica. E' acclarato che molti dei reati contestati e le relative indagini sono antecedenti alla "discesa in campo" del 1994. Il comunismo, morto prima ancora del crollo del muro di Berlino, non c'entra un bel nulla. Rifletta piuttosto sulla differenza tra il servire lo Stato (bellissimo l'articolo di Francesca Buffo), e il servirsi dello Stato. E già che ci siamo, potrebbe provare a entrare nel merito delle questioni invece che riciclare qualche slogan diversivo burlesconiano. E' o non è accettabile che un presidente del consiglio frequenti prostitute da strada di cui alcune minorenni e che queste abbiano il suo numero di telefono? Acclarato che quella della persecuzione giudiziaria è una frottola, è o non è accettabile che berlusconi cerchi di cambiare le leggi per non essere processato? Non è in sé una ammissione di colpevolezza? E soprattutto, è o non è accettabile che in tempi di crisi il governo e il parlamento siano costantemente occupati a rendere non processabile un probabile delinquente invece che ad occuparsi dei problemi della collettività?
ARBOR - MILANO - Mail - giovedi 3 marzo 2011 19.53
Rispondo al Sig.Cadorna,
il consenso popolare non "consente" di ergersi al di sopra della legge ed in una democrazia debbono sussistere degli organismi che vigilano e non permettono la "dittatura delle maggioranze".
Anche Mussolini, Hitler, Stalin e perfino Ceaucescu hanno goduto di un periodo in cui la stragrande maggioranza del Paese li approvava, ma non avendo nessun Organo di Controllo sono degenerati nella gestione del potere.
Il potere che offre la gestione della cosa pubblica non è libertà di agire come soggettivamente si ritiene sia giusto, o conveniente, ciò può essere fatto (sia pur rispettando le regole) da un imprenditore che rischia in proprio e non a nome e per conto dei Cittadini che rappresenta, ma non possiede. Il potere pubblico anzi obbliga a dei comportamenti etici che il normale cittadino può anche disattendere: ma non un primo ministro!
Carlo Cadorna - Frascati - Mail Web Site - mercoledi 2 marzo 2011 22.8
Non conosce la Storia. I comunisti (che esistono ancora in Italia) è dal 1917 che tentano di prendere il potere con metodi non democratici. Berlusconi, finchè ha il consenso, ha il dovere di combattere fino in fondo perchè non prevalgano extra elezioni.


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