Alessandro Lozzi

Settembre è “il mese dei ripensamenti”: così recita una bella e melanconica canzone di Guccini. L’invito sembra pensato per le forze politiche, dopo una estate tanto polemica quanto infeconda.  Il centrosinistra, in verità, la sua riflessione l’ha già iniziata. Il congresso del Pd, pur se con i controbilanciamenti e le ipocrisie di facciata, consegnerà all’Italia un Segretario non transitorio e una linea politica. Se vincerà Franceschini prevarrà il continuismo, una versione democristiana del caos veltroniano che interpreta i valori dei cattolici in politica come una sorta di protocomunismo. Se vincerà Bersani, pur se guidato da un ex comunista, il Pd si avvierà ad essere molto più simile ai partiti socialdemocratici del resto d’Europa e, probabilmente, un po’ più laico. In ogni caso, il centrodestra non godrà più della rendita di posizione dovuta al vantaggio di avere un avversario dimezzato. Ecco perché il ripensamento del centrodestra merita una riflessione suppletiva. Pur sapendo che non c’è niente di peggio dei consigli non richiesti, vogliamo dire la nostra in proposito. Fino ad oggi, il merito principale del governo Berlusconi è stato il pragmatismo. Dai rifiuti di Napoli alla vicenda Alitalia, dalla questione dell’immigrazione al terremoto in Abruzzo, il governo non è andato tanto per il sottile: ha mirato a risolvere i problemi e c’è riuscito. E Dio solo sa quanto ce n’era bisogno, dopo gli ideologismi dei vari Diliberto, le costose astrazioni dei Pecoraro Scanio, le farneticazioni dei Ferrero. Oggi, però, di solo pragmatismo si può morire. Se la Lega ogni giorno pone problemi al Governo che appaiono incomprensibili, se il clero punzecchia l’Esecutivo e il premier dimostrando di quanta ingratitudine è capace, se i politici meridionali paventano un partito del sud risultante da una scissione del PdL, tutto ciò avviene perché, col metro del pragmatismo, ciascuno si ritiene numericamente indispensabile e, quindi, si muove solo in ragione del proprio tornaconto, di quello che il Guicciardini chiamava “il particulare”.  Ora c’è bisogno di un colpo d’ali che ridefinisca e rilanci un’idea di società e di Stato capace di tenere insieme il Paese, che lo proietti nel futuro, che dia coraggio in questo momento di incertezza. Perché il tutto, in una nazione, è molto di più della somma aritmetica delle singole componenti. Si è aperto in questo torrido agosto un altro fronte polemico: il dibattito in ordine alle celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia. Il PdL faccia proprio l’insegnamento di Vico: “Sembravano traversie ed invece erano opportunità”. La prenda sul serio, il PdL, questa opportunità, la faccia sua. Il Risorgimento è l’unica vera rivoluzione che l’Italia abbia mai vissuto. E’ stato teoria e prassi di liberalismo puro, ciò che l’Italia, da allora in poi, ha solamente disperso. Ed è stato quasi esclusivamente merito di uomini del nord, quelli che piacciono alla Lega. Una grande attività di rielaborazione e aggiornameto dei  valori e dei principi risorgimentali, ad opera dei tanti intellettuali che in ordine sparso sono nell’area del centrodestra, seguita da una diffusione di massa che solo Berlusconi ha dimostrato di essere in grado di fare, questo sì che sarebbe un gran bell’esame di riparazione. Ed un gran bel tonico per il PdL.




 

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