Alessandro Battilocchio

Il voto irlandese ha gelato le aspettative di coloro che, come me, auspicavano una rapida fase di approvazione del testo di Lisbona che servisse per un complessivo salto di qualità nell'azione dell'Unione europea. Dopo lo stop franco-olandese di due anni fa, arriva dunque una nuova battuta d'arresto per il progetto europeo. E' piuttosto particolare, quasi un paradosso, rilevare che stavolta la bocciatura arriva da uno Stato che ha beneficiato, in maniera enorme, della sua appartenenza all'UE: grazie anche agli oltre 60 miliardi di euro di fondi erogati dal momento dell'adesione, l'Irlanda si è trasformata in pochi anni da nazione rurale addormentata, nella ‘Tigre celtica’ odierna. Eppure, il voto contrario degli Irlandesi - con uno scarto di soli 100 mila voti - rischia di mettere in ginocchio le istituzioni, visto che la totalità delle 27 ratifiche era il presupposto per l'entrata in vigore della nuova cornice normativa e politica. Il Governo italiano, in maniera piuttosto maldestra, ha commentato il referendum irlandese proponendo una gamma articolata di reazioni che vanno dalla preoccupazione del premier e del Ministro degli Esteri, passando per i boccali colmi di birra del Ministro Calderoli e della Lega, per arrivare alle parole piuttosto retoriche del Ministro Ronchi, che guarda caso a Bruxelles siede proprio nello stesso gruppo dei leghisti. Non sarà oggettivamente semplice stavolta riprendere il cammino: Lisbona rappresenta già un tentativo di compromesso raggiunto con il massimo impegno delle diplomazie e con l'ausilio di qualche alchimia tecnica. Ora, a pochi mesi dalle elezioni europee e ad un anno dalla scadenza del mandato del Presidente Barroso, non vedo all'orizzonte agili ipotesi risolutive, a meno che non si prediligano clamorose forzature. A luglio la Francia assumerà la presidenza di turno semestrale e vedremo quali saranno gli intendimenti del Presidente Sarkozy, che avrà la questione on top of the agenda. Io credo che non si possa non tener conto del pronunciamento popolare: soluzioni affrettate che prescindano dal voto dei cittadini di Dublino sarebbero terribilmente miopi ed arroganti. Va pertanto portata avanti una riflessione complessiva sulle ragioni del dissenso: un dibattito che individui strategie che consentano di migliorare l'efficienza e l'efficacia dell'azione comunitaria. Inoltre il Consiglio europeo farebbe bene a discutere su come ristabilire un contatto con l'opinione pubblica sulle grandi politiche. È chiaro che il voto irlandese conferma la difficoltà delle classi dirigenti nazionali, pure generalmente favorevoli all'Europa, a mantenere su questa linea il consenso dell'opinione pubblica interna. Ma allo stesso tempo il percorso europeo, impostato dalle generazioni precedenti, non può continuare ad essere ostaggio di chi non lo vuole: per garantire coesione, si è scelta in questi decenni la strada di stare sempre e comunque al passo del partner più lento. Ed in questo contesto la velocità non è condizionata da questioni socio-economiche, ma da resistenze politiche di fondo che si legano al passato. E'necessario passare al contrattacco attraverso un ‘Piano B’ che preveda una Europa a due velocità, con la possibilità per coloro che sono convinti di proseguire il percorso della maggiore integrazione e cooperazione attraverso una graduale e progressiva cessione di competenze. Per gli altri Stati euroscettici si dovrà procedere ad un coinvolgimento attraverso meccanismi di cooperazione rafforzata. La crisi che l'Europa sta vivendo va superata attraverso decisioni forti e scelte impegnative, che diano nuovo slancio ad un sogno che ha mezzo secolo di vita ma che ha una gran voglia di proiettarsi nel futuro.




(articolo tratto dal quotidiano 'Avanti!' del 18 giugno 2008) 
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