Antonella Priori

Di recente, il quotidiano francese Le Monde ha ospitato sulle proprie pagine una sorta di dibattito virtuale sul futuro dell’economia italiana (disponibile in versione pdf anche sul sito del Ministero del Tesoro) in cui si confrontano Francesco Daveri, Ordinario di Economia all’Università di Parma, e Giovanni Ajassa, responsabile dell’Ufficio Studi BNL. I due esprimono opinioni diametralmente opposte circa la possibilità di crescita del nostro Paese. Secondo Daveri, un ritorno ai tassi di crescita degli anni ’80 “non si avrà nei prossimi 5 anni”. Il tasso di crescita del Pil supera di poco l’1% (l’1,2 secondo le ultime stime di dicembre); per portarlo almeno al 2,5% a partire dal 2009, bisognerebbe scegliere tra due opzioni, entrambe però di improbabile realizzazione. Una guarda all’esempio spagnolo, “accelerare la creazione di posti di lavoro portando a termine la riforma del mercato del lavoro”, strategia impraticabile per Berlusconi e di difficile realizzazione per Veltroni, nonostante la maggiore benevolenza dei sindacati nei confronti di quest’ultimo. L’altra opzione guarda invece al “modello finlandese di sostegno alla produttività”, ma richiederebbe anni e non mesi per essere realizzata. Si tratta di rivedere radicalmente il sistema formativo e lasciare che il mercato e la concorrenza giochino liberamente di modo che le aziende più performanti possano ottenere i maggiori benefici e investire. Ma per rendere socialmente sostenibile questa liberalizzazione dovremmo anche mettere in opera -e finanziare- strumenti di sicurezza per le fasce più deboli. “Poco denaro è stato messo a disposizione, in passato, per il raggiungimento di questo obiettivo”. La Commissione Europea fissa la propria previsione di crescita dell’Italia allo 0,7% per il 2008, comprensibile se si pensa che “la crescita dell’Italia è stata inferiore rispetto a quella di tutti gli altri Stati membri a partire dal 1995 e questa previsione così negativa si spiega attraverso la combinazione di due importanti fattori: l’attesa di una crescita minima della Germania -che rappresenta il maggiore mercato di sbocco delle esportazioni italiane- e il pessimismo dei consumatori e delle imprese in Italia”. Alla domanda se questa previsione possa essere considerata il frutto delle riforme del governo uscente, Daveri risponde che le azioni del governo Prodi hanno favorito le imprese ma non il cittadino medio. E spiega che “sono state diminuite le imposte sui profitti delle società e sul costo del lavoro ed è stato in parte ridotto il peso della burocrazia che gravava sulle piccole imprese” ma, pressato dalla Sinistra radicale, il governo si è imbarcato in una larga redistribuzione fiscale rendendo, alla fine, scontente molte più persone di quante non siano contente. Citando il ‘pacchetto Bersani’, Daveri afferma che il tentativo di realizzare la liberalizzazione di beni e servizi è stato osteggiato dalla resistenza di gruppi d’interesse. Così, “il cittadino medio non ha raccolto benefici sostanziali da questo tentativo, ad eccezione della diminuzione del prezzo dei farmaci”. Al ‘pacchetto Treu’, Daverio attribuisce invece la crescita dell’occupazione a partire dal 1998, e alla crescita eccezionale della Germania lo scorso anno l’incremento “passeggero” del settore export. Infine, sull’influenza che una cattiva amministrazione può comportare per la crescita del Paese, Daveri replica che “l’Italia paga il tributo di un settore pubblico inefficiente” se paragonato al resto d’Europa. Una competizione così forte richiede nuove competenze e la presenza di servizi pubblici e privati efficienti. Questa inefficienza “diventa l’handicap maggiore per il potenziale di crescita”. Più ottimista Giovanni Ajassa, che crede nella “capacità di ritornare a medio termine ad una crescita del 2-2,5% accompagnata da una inflazione più contenuta che negli anni’80". Necessari per il successo sono “il dinamismo delle aziende industriali e la solvibilità finanziaria delle imprese” che contribuiranno alla ripresa dell’economia insieme ad un ulteriore, necessario ingrediente: “un salto della produttività”. Grazie a questa ricetta si potrà tradurre la crescita dell’occupazione in un aumento dei ricavi per le imprese. Critico nei confronti delle passate gestioni politiche, ammette che l’aspettativa della Commissione Europea di una crescita così bassa per l’Italia è dovuta sia a questioni statistiche (bassa crescita nel 2007) sia alla contrazione dei consumi dovuta alla mancanza di denaro disponibile e di fiducia nella gestione della cosa pubblica. Quanto all’influenza del governo Prodi, ribatte che negli ultimi quindici anni si è tentato di intraprendere la strada delle riforme strutturali, ma mai abbastanza velocemente rispetto a quanto l’economia e la società ne avessero bisogno. “Il governo uscente non ha fatto eccezione”. Individua nella semplificazione e nella riduzione delle imposte per le imprese dei buoni risultati, ma “sono state mancate le occasioni di intendere una liberalizzazione più ampia, in particolare nei servizi locali, necessaria invece per migliorare l’efficienza e la produttività e per controllare e contrastare le pressioni inflazionistiche”. Secondo Ajassa, i dati positivi che riguardano l’occupazione e l’export non sono passeggeri, ma sostanziali. “Grazie ad un vasto processo di ristrutturazione del settore industriale incentrato sull’innovazione e sull’internazionalizzazione, le esportazioni sono cresciute dello 0,5% nel 2007” e, aggiunge, “le vendite alla Russia e alla Cina e ai Paesi esportatori di petrolio hanno più che compensato la caduta delle esportazioni verso gli Stati Uniti”. Per rendere la ripresa più duratura sul lungo termine, è necessario, secondo Ajassa, aumentare la produttività per migliorare la competitività dei prezzi delle merci esportate. E, a favore di una crescita generale del Paese, individua nel sistema educativo (“più selettivo”), in una minore burocrazia e in un sistema giudiziario più efficiente i punti cardini verso cui tendere. Guarda, infine, con favore l’attuale scenario politico con cui l’Italia si presenta alle prossime elezioni. “Durante i 60 anni di storia repubblicana, l’Italia ha conosciuto in successione 56 governi che non sono durati -in media- più di tredici mesi ciascuno. L’evoluzione, nel ’94, da un sistema proporzionale verso un sistema elettorale maggioritario, non è riuscita ad apportare una vera soluzione all’instabilità politica, che rimane l’ostacolo maggiore alle riforme, ad una amministrazione efficiente ed alla crescita economica. Ma sembra che qualcosa stia cambiando”.Ajasse intravede nel raggruppamento dei partiti politici “un passo verso la semplificazione dell’architettura parlamentare” e, soprattutto, verso la soluzione del problema dell’instabilità politica che affligge il nostro Paese.




(tratto dal sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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