Rita ChessaGiurdignano di Puglia (Le) è nota per la presenza di numerosi megaliti e qui, sotto uno dei menhir dell’età del bronzo (XVI secolo a. C.) vi è una grotta bizantina dell'VIII-X secolo d. C. con raffigurati San Paolo, San Pietro e la Madonna. A rendere questa cripta ancora più interessante è la rappresentazione, accanto al santo, di una ragnatela e di un’aracnide, palese riferimento al 'tarantismo': una complessa intersezione tra superstizione, medicina popolare, religione e musica. Siamo venuti a conoscenza dei dolen e dei menhir del luogo grazie ad Alberto Signore: un poeta presidente dell’associazione ‘Amici dei menhir’ di Lequile (Le), che abbiamo avuto modo di conoscere grazie a un’edizione del progetto ‘Culturanze’ del 2013, a cura di Patrizia Ferrarese e Sandro Tasco. D'altro canto, anche ne ‘La Terra del rimorso’ di Ernesto De Martino viene presentata una ricerca approfondita sul 'tarantismo' del Salento. Il termine deriva dal morso della tarantola: un ragno molto comune nelle campagne pugliesi, che secondo la tradizione provocava una condizione patologica con sintomi come dolore acuto, convulsioni e sudorazione. Chi ne veniva colpito, generalmente donne che venivano indicate come "tarantate", entrava in uno stato di agitazione psicomotoria, che poteva durare giorni. Una sindrome di tipo isterico-convulsiva, che la tradizione popolare attribuisce in modo poetico al morso di un ragno curabile con la magia di una danza rituale: una sorta di esorcismo musicale e coreutico. Effettivamente, non sono mancati rari casi di ‘latrodectismo’, ossia 'tarantati' effettivamente punti dal ragno o altri animali velenosi. La credenza popolare sosteneva che solo danzando in modo incessante al ritmo della musica si poteva reagire, espellendo il veleno del ragno. La musica, intensa e ritmica, di fatto, stimolava la sudorazione e l'iperattività fisica, ritenute necessarie per guarire dal morso. E molte 'tarantate' si recavano in pellegrinaggio proprio presso la Cappella di San Paolo a Galatina (Le), ritenuto il santo protettore contro i morsi velenosi. Qui, tra preghiere e riti che combinavano elementi pagani e cristiani, cercavano la guarigione. Un altro esempio di sincretismo tra mito e credenza popolare, lo troviamo presso i ‘Massi della vecchia’ a Giuggianello, sempre in provincia di Lecce, secondo Aristotele lanciati da Ercole contro i Titani, che furono così scaraventati in mare. Secondo la leggenda, una vecchia strega interrogava, come la Sfinge, gli avventori con indovinelli a cui dovevano rispondere correttamente, altrimenti la pena era di essere trasformati in pietra (il riferimento alla Gorgone Medusa è palese). La vecchia strega tesseva i fili del destino non solo come le moire e le parche, ma era Aracne in persona (e aracnide, in un certo senso, poiché invitava a fare attenzione ai ragni tra i sassi). Tornando alla piccola grotta di Giurdignano, dove le credenze popolari si intrecciano alla religione e alla Storia primitiva, oltre a San Paolo e alla ragnatela con il ragno, ai due lati compaiono la Madonna (riconoscibile da alcuni resti di colore celeste, che suggeriscono una posizione non eretta) e San Pietro. Negli Atti degli Apostoli, proprio San Paolo riesce a guarire miracolosamente dal morso di una vipera. Inoltre, secondo una leggenda, egli venne ospitato insieme a San Pietro nel Salento, da una famiglia stanziale in quella che oggi è Galatina. La famiglia fu talmente gentile che San Paolo donò loro e alla discendenza l’immunità dal morso della tarantola. Per questo motivo, il santo è considerato il protettore delle 'tarantate' e fu edificata una cappella in suo onore, poi sconsacrata sia per le perplessità che inducevano i corpi in preda alle convulsioni, sia per la presenza di un pozzo in cui i fedeli andavano a bere acqua (inquinata) che reputavano miracolosa. Durante il rito di liberazione della 'taranta', la donna si dimena sul pavimento, accompagnata da musiche che potevano durare anche giorni. Ciò si configura come una vera e propria 'performance', dove corpi di donne sfogano in senso fisico, tramite il ballo e gli attacchi nevrotici, l’appartenenza alla cultura patriarcale, in un rimando dionisiaco alle baccanti e alle danze ascetiche. Al netto di possibili simulazioni, secondo la versione medica le 'tarantate' erano affette da una sindrome convulsiva che colpiva, generalmente, le contadine. Sintomi di disturbi somatoformi e di conversione di chi si trovava costretto a lavorare i campi, dove le donne erano relegate a un ruolo subalterno e vivevano vere e proprie crisi di coscienza. Se la psichiatria moderna indirizza, in questi casi, verso una terapia farmacologica, combinata a quella psicologico-comportamentale, nella tradizione la cura consisteva nel rituale musicale, che poteva avvenire pubblicamente o nelle case private. Il ritmo reiterato del tamburello, il suono del violino e della fisarmonica, lo stato di 'trance' delle 'tarantate' non può non far pensare ai rituali sciamanici delle antiche tribù. A tal proposito, a Porto Badisco, nelle vicinanze di Otranto, nella 'grotta dei cervi', in cui sono raffigurate numerose pitture parietali, uno dei simboli divenuti poi famosi è proprio la rappresentazione di una sciamana. In un documentario di Gian Franco Mingozzi, realizzato con la consulenza dell’antropologo Ernesto De Martino, il 'tarantismo' ha origine nel Medioevo, dalla contaminazione dei riti orgiastici pagani. Infatti, De Martino considera riduttiva la versione che lo indicava come semplice malattia psichiatrica: nel suo testo 'La terra del rimorso', il fenomeno è classificato come un vero e proprio istituto culturale, dotato di autonomia simbolica. Se la presenza delle pitture bizantine dedicate a San Paolo, alla ragnatela e al ragno con San Pietro è coerente con le narrazioni religiose legate alla tradizione, ciò supporta anche storicamente anche la convinzione ecclesiastica che li ha voluti festeggiati insieme nel giorno del 29 giugno. Particolare è la rappresentazione della Madonna sulla parete laterale: una novità nell’iconografia cattolica, che vede generalmente, in altre opere, la Madonna posta sopra o al centro dei due santi, riconoscibile dal massiccio utilizzo del celeste da sempre associato alla madre di Gesù. La domanda che ora ci si potrebbe porre è la seguente: i monaci basiliani che l’hanno dipinta potrebbero averla raffigurata, più o meno consapevolmente, come una 'tarantata'? Se così fosse, la teoria la porrebbe tra le opere (già di per sé unica al mondo, stando al di sotto di un menhir dell’età del bronzo) che fondono la storia delle donne del territorio con la narrazione sacra. Lo fece anche Caravaggio, quando scelse come modella per la sua ‘Morte della Vergine’ (1604-1606) una prostituta trovata morta nel Tevere. Numerose sono le ricerche di pertinenza antropologica ed etnografica sulla rappresentazione simbolica del corpo femminile, spesso associato al ragno. In 'La vergine e il ragno: etnografia della possessione europea' di Giovanni Pizza (Rivista Abruzzese, 2012), si fa esplicito riferimento anche a racconti popolari campani che associano il ragno all’isteria e all’utero (tale organo, colpito da una eccessiva mobilità, fuoriesce dal pube di una giovane vergine dormiente e viene percepito sottoforma di ragno, ndr), proponendo altre analogie con i fenomeni di possessione e sciamanesimo. Inoltre, Pizza cita alcune rappresentazioni culturali europee. E in un passaggio leggiamo: “La Vergine Maria si trasforma in un ragno secondo uno schema, che nel folclore europeo, è stato discutibilmente definito: la versione cristiana del mito greco di Arachne”. La piccola grotta di Giurdignano, con la sua edicola e il menhir, è un prezioso gioiello d’arte che merita di essere visitato da chi approda in queste terre magiche. E andrebbe riscoperto, protetto e rivalutalo da chi tutela il patrimonio artistico del Salento.





Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio