Giuseppe LorinAl Festival del cinema di Cannes, tenutosi in questi giorni nella nota località balnerare della Costa azzurra francese, l'attore Tom Cruise ha presentato un remake di ‘Top Gun’, la pellicola d’avventura che aprì gli anni ’80 del secolo scorso, generando una fase di riflusso e di disimpegno rispetto all'epoca della contestazione (1968-1977). Il remake  ha ricevuto premi e ovazioni, svelando la grande nostalgia di quella generazione di ‘boomers’ – gli attuali 50enni – che ebbero la fortuna di vivere un ciclo di benessere e di opulenza. Indubbiamente, quel decennio – e anche buona parte di quello successivo – fu un periodo di grandi trasformazioni, spesso contraddittorie, cariche però di grande speranza, soprattutto sul fronte della distensione internazionale. Furono quelli gli anni in cui ci si illuse che l’umanità potesse lasciarsi alle spalle ogni pericolo di autodistruzione nucleare. E i fatti di Chernobyl del 1986 sembrarono confermare definitivamente tali convinzioni, che in verità erano semplici desideri. Una speranza che proprio questo periodo di guerra tra Russia e Ucraina ha ‘sgonfiato’ nello stesso modo in cui uno ‘spillo’ buca, all’improvviso, un palloncino. E anche la pandemia, con il suo confuso e caotico dibattito sui vaccini, ha dimostrato come in quegli anni si sia cercato di fare un balzo in avanti senza accorgerci della zavorra di contraddizioni rimaste irrisolte, poiché inaffrontate. Ecco perché non condividiamo totalmente l’attuale nostalgia circolante in molti ambienti. E’ vero che gli anni ’80 sdoganarono definitivamente il cinema horror, per esempio. Ma i suoi principali capolavori – ‘L’esorcista’ di William Friedkin e ‘Profondo rosso’ di Dario Argento – in realtà possiedono solide radici nel decennio precedente. E anche la fantascienza pagava un pesante tributo ai tanto disprezzati anni ’70 con 'Star Wars' di George Lucas del 1977 e ‘Incontri ravvicinati del terzo tipo’ di Steven Spielberg (1978). Ciò che avvenne in seguito, in realtà fu il rilancio del ‘machismo reaganiano’ più edonista, mescolato con la tematica, assolutamente vera, del reducismo dei militari americani di ritorno dal Vietnam - ‘Rambo’ di Ted Kotcheff - o del proletario che si riscatta a sorpresa sul ring, (‘Rocky’ di John G. Avildsen). Anche queste due pellicole si trascinavano alcuni contenuti provenienti dagli anni '70. Mentre il decennio successivo fu quello caratterizzato dai prodotti ‘replicanti’ (Rocky II, III e IV e Rambo 2 e 3). In sostanza, gli anni ’80 del secolo scorso non furono così originali come si crede. Essi suggerivano, semplicemente, un mutualismo ambiguo, scarsamente innovativo. In realtà, la cultura ‘yuppie’ e il consumismo di massa s’imposero come falso risvolto di modernità, falsando molti contenuti a fini biecamente commerciali, senza riuscire a produrne di nuovi. Il ‘machismo’ e il salutismo da palestra confinarono il femminismo tra le varie forme di estremismo: solo la comunità Lgbtq+ cominciò a uscire allo scoperto dalla propria condizione 'ghettizzata', probabilmente a causa dell'Aids. Insomma, il consumismo compulsivo confezionava prodotti in serie, ispirando quella ‘serialità’ che noi oggi consideriamo un contenuto autentico: non a caso cominciarono a diffondersi, in televisione, le varie serie televisive come ‘Il tenente Colombo’ e ‘Star Trek, o alcuni ‘polpettoni’ quali ‘Dallas’ e ‘Dinasty’. Per non parlare del successivo avvento delle telenovelas argentine o delle ‘soap’ come ‘Beautiful’. Il mercato si stava impossessando di ogni spazio con i suoi ‘modelli imposti’, soprattutto nei riguardi dei più giovani, vero ‘target’ di riferimento di molte produzioni. Anche in campo musicale, la cultura ‘pop’ divenne imperante: resistettero solamente i ‘Pink Floyd’, rispetto al ‘nuovo’ che avanzava inesorabilmente, conducendo il mondo occidentale verso la superficialità. Una narrazione che ricalcava sempre la stessa idea estetica dei corpi perfetti, dei superuomini, di calciatori e atleti che entrarono a far parte dello ‘star system’, pur sbagliando drammaticamente i congiuntivi. Siamo di fronte a un ‘effetto-nostalgia’ legato al fatto, più che altro, che essere giovani negli anni ’80 del secolo scorso era decisamente meglio: c’era maggior fantasia e meno stress. E soprattutto, non c’era quell’isolamento omologativo che il mondo digitale ha imposto a tutti come miraggio della globalizzazione planetaria. Negli anni ’80 c’erano i nerds, i 'secchioni', i 'paninari', i 'metallari', i new romantic impazziti per i Duran Duran; i fissati col cinema horror; i 'punk' e i 'dark'. Le giovani generazioni di oggi, invece, non possiedono minimamente quest’idea ‘gruppuscolare’: sono totalmente immersi nell’individualismo, come se fossero, tutti quanti, dei ‘figli unici’. Erano identità superficiali, quelle degli anni ’80? Forse, sì. Ma il successivo paradiso della libertà individuale, omologando tutti quanti, ha finito con l’uccidere se stesso, poiché ha reso il singolo individuo assai meno imprevedibile. Perché anche in una chiave filosofica ‘liberale’ è dal ‘gruppo’ che può emergere un leader: tentare il percorso contrario conduce solamente verso una società di lobotomizzati. E di mediocri.





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