Valentina SpagnoloNella letteratura occidentale c’è una lunga tradizione di noir al femminile: da Agatha Christie a Fred Vargas, da Mary Shelley a Matilde Serao. Donne autrici di capitoli unici nella storia del romanzo e della cultura europea, creatrici di personaggi alla ricerca della verità tra grovigli di delitti e crimini. Al suo debutto alla scrittura, l’attrice Martina Galletta ha preso le mosse proprio da questa tradizione con un omaggio conclamato alle ‘signore del giallo’, per dar vita a un nuovo noir di genere, ambientato tra le due guerre, che propone una lettura del ruolo femminile come racconto di emancipazione e di coraggio, condito con leggerezza e ironia. Abbiamo perciò deciso di incontrarla per approfondire insieme a lei questa sua creazione dedicata alle donne intitolata ‘La dimora degli dei’, pubblicata da Infinito Edizioni e uscito lo scorso 24 febbraio 2022.

Martina Galletta, cosa ti piace leggere di solito? Chi sono i tuoi modelli?

“Sono una lettrice vorace, avida, curiosa. Fin da bambina, anche grazie all’esempio della mia famiglia, i libri sono stati parte integrante della mia quotidianità. Inoltre, ho due peculiarità: rileggo sempre, anche decine di volte, i romanzi che ho amato. E quando incontro un autore che mi affascina, divoro tutta la sua produzione. Mi è capitato con Isabel Allende, con il mio adorato Haruki Murakami, con Patrick McGrath, Agota Kristof, Anton ?echov, Lev Tolstoj e, persino, con il Marchese De Sade. Anna Karenina mi sembra quasi di averla conosciuta; Dumas, ormai, lo considero quasi un parente, poiché rileggo ogni anno il Conte di Montecristo; e Agatha Christie la posso citare a memoria. Mi piace pensare che ognuna di queste grandi figure della letteratura mi abbia fatto l’onore di regalarmi un pezzetto di sé”.

Cosa ti ha spinto a scrivere una storia di delitti e misteri come ‘La dimora degli dei’?
“Mi affascinava il periodo tra le due guerre, con i suoi chiaroscuri, la tensione crescente, l’ombra del nazifascismo che iniziava a oscurare il futuro di molti. E ho sempre amato i noir, i thriller e i romanzi ‘gialli’. Pertanto, ho voluto cimentarmi con questi generi mescolandoli insieme e ispirandomi alla tradizione anglofona, piuttosto che a quella nostrana, rifacendomi alla Christie: un’autrice che trovo veramente geniale, non solo per l’approfondimento psicologico che regala ai suoi personaggi, ma anche per la capacità di giocare col lettore come un’illusionista, riuscendo immancabilmente a sbalordirlo fino all’ultima pagina. Ho provato a risolvere l’eterno dilemma dell’omicidio avvenuto nella proverbiale stanza chiusa dall’interno, per dimostrare, proprio come dice la Christie, che “l'impossibile non può essere accaduto, quindi l'impossibile deve essere possibile, nonostante le apparenze”.

Britta, la protagonista del tuo noir, è una giovane donna che vuole trovare la sua strada: cosa puoi raccontarci di lei?
“Britta ha scelto di venire al mondo indipendentemente dalla mia volontà. Ho la sensazione che esistesse già e che aspettasse solo che qualcuno le desse voce. Tanto è vero che l’ispirazione per tutto il romanzo è stata lei a suggerirmela. Mi sono sempre domandata come dovesse essere, per una giovane donna, vivere nel secolo scorso, cosa significasse avere pochissima autonomia, doversi adattare e sopravvivere in un mondo pensato a uso e consumo degli uomini. E allora ho provato a mettermi nei panni di questa ragazza che, come dico nel primo capitolo, “riuniva tre caratteristiche imperdonabili per la società, se a possederle era una donna: era intelligente, ricca e bella”. Inoltre, le ho dato la possibilità di cambiare il proprio destino: all’inizio del romanzo, Britta è diretta a Berlino, dove il suo matrimonio con Rudi, astro nascente del Partito nazionalsocialista, è l’evento più atteso del Reich. Ma Britta ha altri sogni, altre aspirazioni: vorrebbe studiare, viaggiare; legge Sartre, fa battute caustiche, si rifugia nel proprio mondo per sfuggire alla realtà. Ma una nevicata eccezionale e un incontro imprevisto la costringeranno ad affrontare tutti i suoi dubbi”.


C’è qualcosa in comune fra il tuo lavoro come attrice, quello di interpretare personaggi e quello di immaginarli e poi riversarli su carta come autrice?
“Credo sia lo stesso percorso creativo, nella sostanza, che però utilizza due linguaggi differenti. Il lavoro dell’attore consiste nel prestare se stessi, la propria voce, le proprie emozioni e il proprio corpo ai personaggi. Scrivere è esattamente la stessa cosa: un faticosissimo, esaltante, percorso maieutico autoindotto. E spesso, quando i personaggi prendono concretezza, si ha la sensazione di scrivere sotto dettatura. L’autore/attore diventa un medium, un mezzo, un ponte. E la vita altrui ti passa attraverso”.




La foto di apertura del presente servizio ci è stata gentilmente fornita dal fotografo Raffaello Balzo, che ringraziamo

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