L’On. Pino Sgobio è il Presidente del gruppo parlamentare del Partito dei comunisti italiani alla Camera dei Deputati.

On. Sgobio il partito dei comunisti italiani è da sempre una forza schiettamente proporzionalista: come la mettiamo con la questione di un elettorato italiano diviso quasi esattamente a metà? Siamo al fallimento definitivo del sistema maggioritario?
“Io non sono solito valutare un sistema elettorale dai risultati espressi dall’elettorato. In Italia, abbiamo sperimentato un sistema proporzionale che, per alcuni decenni, ha dato ottimi risultati difendendo la democrazia in momenti assolutamente difficili: ha responsabilizzato le forze politiche e ha fatto in modo che si trovassero convergenze fondamentali nei momenti più difficili che la nostra Repubblica ha dovuto superare. In questi ultimi anni, abbiamo invece sperimentato il sistema bipolare maggioritario: i risultati non sembrano tra i più soddisfacenti. Io rimango convinto che un sistema maggioritario dal quale venissero escluse le varie sfaccettature e le distinte sensibilità politiche e culturali del nostro Paese, non migliorerebbe gli standard di democrazia, così come, in un certo senso, non ha migliorato quelli di tenuta del governo. E’ pur vero che il governo Berlusconi è durato cinque anni e che, se si fosse votato con un sistema maggioritario puro, si sarebbe ottenuta una maggioranza in grado di sostenere qualunque esecutivo per un’intera legislatura, così come mi auguro che accada per il governo Prodi nonostante un risultato che ha visto una differenza elettorale piuttosto esigua. Ciò non toglie che, se vi è una comunione politica, se le alleanze funzionano, se nasce un dialogo leale all’interno delle coalizioni, il sistema elettorale diviene un elemento non determinante. Tuttavia, in linea di principio io opterei per un sistema proporzionale, per la semplice ragione che mi sembra sia il modello più democratico in quanto consente a tutte le sensibilità del Paese di partecipare alla competizione e di essere rappresentata sulla base della forza che realmente esse esprimono”.

Se si tornasse al proporzionale già domani mattina, lei non teme che la sinistra più radicale potrebbe venir marginalizzata da un eventuale accordo centrista che preveda il cosiddetto taglio delle ali?
“Anche in questo caso, il problema diviene politico e non eminentemente legato alla questione del sistema elettorale. Proviamo a capovolgere la questione: un sistema elettorale diverso, fotograficamente proporzionale, senza sbarramenti, potrebbe non marginalizzare la sinistra radicale ed anzi liberarla? Sotto questo aspetto, si può notare che la sinistra cosiddetta radicale potrebbe anche raggiungere maggiori possibilità. Inoltre, un accordo al ‘centro’ è sempre possibile, sia con l’uno, sia con l’altro sistema. E persino il modello mediante il quale abbiamo votato lo scorso 9 e 10 di aprile potrebbe consentirlo. Quindi, il problema, in realtà, è prettamente politico, legato cioè a come le forze politiche maggiori rispondono alle sollecitazioni, agli inviti e al comune sentire del proprio elettorato. Io non penso che i Ds risponderebbero positivamente, per esempio, ad un accordo centrista che escludesse la sinistra ‘radicale’ perché, detto onestamente, il partito dei comunisti italiani non si sente affatto ‘radicale’, bensì di sinistra e basta! Il problema sta dunque nelle scelte politiche che si compiono ed in come i vari partiti rispondono al proprio elettorato ed alle sue sensibilità”.

Indubbiamente, il comunismo italiano ha rappresentato un’esperienza distinta rispetto a come si è tradotto politicamente il socialismo scientifico nel resto del mondo. Tuttavia, non può apparire un’utopia quella di voler perseguire, oggi, una versione occidentalizzata o ‘democratizzata’ del marxismo?
“Ciò che è storicamente accaduto, è stato definito da qualcuno: “una rivoluzione contro Marx”, ovvero non una rivoluzione contro il capitale, ma contro il pensiero del filosofo di Treviri. Infatti, l’esperienza sovietica e quelle avutesi successivamente in oriente, in Cina, e nell’Europa orientale non possono essere definite di ‘socialismo scientifico’, poiché esso prevedeva ben altro. Quindi, l’esperienza che si è consumata è stata quella di un socialismo pragmatico, ovvero di quella sintesi che veniva definita marxismo - leninismo. Ma il marxismo continua ad avere un ruolo fondamentale in una società come la nostra. Fra l’altro, se mi consentite, il capitalismo è riuscito a superare molte contraddizioni solo negli ultimi decenni ed ha vinto la proprio battaglia contro il comunismo ‘realizzato’, anche tenendo conto di numerosi presupposti di analisi critica del marxismo…”.

Non rischiate di essere accusati di sofismo dialettico fine a se stesso?
“Una simile domanda io la rivolgerei a coloro i quali, nelle fabbriche, vengono licenziati o che molto spesso si infortunano, come accaduto di recente all’Ilva di Taranto; a coloro che sono costretti a vivere nelle ‘baraccopoli’ ancora oggi esistenti nelle periferie delle nostre città, siano essi immigrati o italiani; a milioni di disoccupati che vivono con cinquecento euro al mese. Dopo che avrete parlato con questi soggetti, sarete costretti a prendere atto se il comunismo, il socialismo, il marxismo o comunque una società diversa da questa sia solamente un’utopia o qualcosa da relegarsi al passato o se, invece, non rappresentino un qualcosa da proporsi per il futuro, al fine di migliorare le condizioni di vita di milioni di uomini. E il cristianesimo, allora, come dovremmo giudicarlo? Come una dottrina legata al passato? Anche le cose dette di recente da Papa Benedetto XVI dobbiamo vederle come un qualcosa ancora da costituire, poiché indubbiamente viviamo in una società che deve essere migliorata. Da questo punto di vista, vi sfido a definirmi quale sia la differenza sostanziale - prescindendo dalle diverse sovrastrutture culturali, quelle cristiane e quelle marxiste - tra i due modelli di società che si ipotizzano…”.

Come vanno le cose, attualmente, all’interno della coalizione di centro-sinistra?
“Se vi dicessi che va tutto bene, direi una sciocchezza, perché la nostra coalizione mette insieme forze che partono, spesso, da presupposti distinti. Ora, il problema contingente diviene quello di trovare una sintesi sulla Finanziaria. La discussione che si è aperta in questi giorni sarà aspra, ma posso assicurare che, alla fine, riusciremo a trovare una sintesi. E ciò perché serve ai comunisti italiani e agli altri partiti sostenere il governo Prodi a prescindere, perché questa coalizione è indispensabile per il Paese al fine di non farlo precipitare in qualcosa di ancor più nefasto di quanto non siano già stati i cinque anni precedenti”.

Le andrebbe di affrontare serenamente un giudizio sulla coalizione di centro-destra? Cosa dovrebbe fare secondo lei la Casa delle Libertà per risultare un interlocutore di opposizione credibile? Cambiare il proprio leader, trasformarsi in un partito unico dei moderati, prendere le distanze dalla Lega Nord?
“Anche qui non vi è un problema specifico, la Lega Nord, Berlusconi o quant’altro. Io non ho mai pensato che il male assoluto fossero Berlusconi o Bossi: simili questioni mi hanno sempre interessato assai relativamente. Il problema vero è che un confronto tra forze politiche deve essere fatto sui fatti, sulle scelte che si devono compiere, su come migliorare il ‘sistema - Paese’. Poi diviene abbastanza ovvio che ognuno sostenga fino in fondo le proprie idee. E’ pacifico, infatti, che per l’ottanta percento delle volte, queste idee sono assolutamente divergenti. Ad esempio, intorno al problema di trovare i trenta miliardi della manovra finanziaria, probabilmente avremo visioni completamente diverse: loro vorrebbero continuare ad abbassare le aliquote fiscali per i più ricchi, mentre noi riteniamo che si dovrebbe andare verso una situazione diametralmente opposta; loro pensano che il sistema privato sia il migliore in assoluto, noi che senza il peso determinante dello Stato sia difficile riavviare un processo di decollo complessivo della nostra economia. Quindi, queste vicende non sono legate alle singole persone, poiché ogni processo è determinato da ciò che le forze politiche stesse esprimono. Quindi, Forza Italia resterà un ‘partito – azienda’ a prescindere. E sarà molto difficile l’interlocuzione sui fatti, cosa che, paradossalmente, avviene più facilmente con partiti che dovrebbero essere notevolmente più distanti da noi, come ad esempio Alleanza Nazionale, e con i quali, tuttavia, un’interlocuzione avviene su base politica, pur continuando a mantenere posizioni assai divergenti”.

Tornando alla sinistra italiana, per lei è possibile incanalare alcune tematiche dei movimenti cosiddetti “no global”nella dialettica democratica complessiva? E quali in particolare.
“Indubbiamente sì. Io penso, per esempio, ad un mondo nel quale l’internazionalizzazione non sia solo dell’economia, ma anche del proletariato. E non è difficile pensare che ciò possa avvenire in una maniera assolutamente democratica. Tra l’altro, il movimento no – global, quello vero, prescinde e si distingue nettamente dalle frange più estremiste, che possono sempre e comunque essere isolate. Inoltre, ripensando anche al passato, io non dimentico che, in Italia, determinati fenomeni si sono già visti e che il movimento democratico, quello operaio e quello civile li ha isolati e battuti. Penso ad esempio alle Brigate Rosse e a tutti i movimenti eversivi che ci sono stati. In questo caso, tuttavia, non siamo sul medesimo piano e la questione diviene quella di trovare convergenze politiche in grado di fornire risposte adeguate a determinati temi. La difficoltà vera non è quella di rendere democratico il movimento no - global, ma di saper affrontare dei problemi assolutamente validi e giusti”.

Se nascesse il partito democratico, anche sotto forma di una federazione, il partito dei comunisti italiani vi aderirebbe?
“Noi siamo comunisti e, onestamente, lasciamo che i partiti decidano per proprio conto. Ma ritengo la nascita di un unico partito democratico come una ‘iattura’, per il movimento operaio e per l’intera sinistra italiana. Noi non potremmo mai aderire ad un movimento del genere. La nostra proposta, invece, è diametralmente opposta: noi intendiamo lavorare per porre fine alle divisioni storiche che ci sono create nella sinistra italiana, al fine di rimetterla tutta insieme sotto forma di confederazione. Una confederazione di partiti della sinistra che, insieme alle forze di centro, si apra verso interessi diversi”.
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