Valentina CirilliDal 26 aprile 2021, teatri, cinema e sale da concerto possono finalmente riaprire al pubblico. Di lunedì, che di solito per i teatri è il giorno di riposo settimanale: cominciamo bene. Ma andiamo avanti: il nuovo decreto del governo ha stabilito il riavvio delle attività legate al mondo dello spettacolo, permettendo nelle ‘zone gialle’ la riapertura di cinema, teatri e sale da concerto sia all’aperto, sia al chiuso, con un aumento del pubblico ammissibile. Nelle sale viene concessa la possibilità di ospitare il 50% dei posti occupabili, con un innalzamento a un massimo di 500 spettatori distanziati al chiuso e di mille all’aperto. Il pubblico, gli artisti e il personale dovranno naturalmente rispettare tutte le misure di sicurezza previste dai protocolli. Il Comitato tecnico-scientifico ha inoltre ammesso la possibilità che le Regioni autorizzino spettacoli ed eventi con un numero superiore di spettatori, adottando misure di sicurezza aggiuntive. Tutto bene? Non tanto. In assenza di programmazione degli spettacoli, impedita dall’impossibilità di sapere se la settimana successiva si tornerà in ‘zona arancione’ o addirittura si precipiterà nuovamente in quella ‘rossa’, non tutti i teatri potranno riaprire immediatamente. Molte produzioni hanno già rimandato tutto per l’ennesima volta, con la speranza di una riapertura senza limitazioni di posti. Con le restrizioni attuali, infatti, è quasi certo che la maggior parte dei teatri saranno esclusi dalla possibile riapertura e molte compagnie non potranno ricominciare a lavorare. Tranne, ovviamente, quei teatri che godono di fondi e sovvenzioni statali. E quelli all’aperto, anch’essi pubblici nella maggior parte dei casi. Per tutti gli altri, ovvero il mondo degli artisti indipendenti o del cosiddetto genere ‘Off’, ogni cosa è rimandata a dopo l'estate, in attesa di nuove comunicazioni da parte del ministero, per evitare di compromettere anche la stagione 2021/22. Una stagione teatrale in genere dura da ottobre a maggio. Stabilire pertanto una riapertura al 26 aprile, con la possibilità di mettere in scena solamente un paio di spettacoli a maggio, è veramente una decisione stravagante, per non dire incomprensibile. In pratica, in questo Paese sono tutti convinti che attori e artisti non preparino mai nulla: essi vanno in scena e improvvisano lì per lì, senza prove, trucco e costumi da rimettere a posto. L’attore sale sul palco e inventa. Oppure, recita un testo di Shakespeare a memoria, come ne ‘La corrida’ di Corrado, con il pubblico che fischia e suona campanacci se la ‘performance’ non è di suo gradimento. Già oggi, tutto conduce alla stagione 2021/22 e si sta lavorando per quella. A patto che si raggiunga un livello di vaccinazioni pari, almeno, al 50% della popolazione, la quale potrà recarsi in un teatro a settembre, mostrando il suo bel certificato vaccinale - o ‘carta verde’ o quel che sarà, ché anche in questa cosa si sta andando ‘a tentoni’, cercando di copiare quel che stanno facendo gli inglesi. A dimostrazione di una società, quella italiana, dove prima del Covid ognuno viveva ‘rintanato’ nel suo girone infernale, nella sua ‘bolgia’ o nella sua ‘isola’ e nessuno sapeva niente di quel che si faceva nell’isola a fianco, o nella ‘bolgia’ sottostante. Perché ovviamente, nell’anno del 700esimo dalla morte di Dante Alighieri, non potevamo di certo farci mancare una bella ‘Divina Commedia’ vissuta dal vivo, con annessa discesa all’inferno, risalita del purgatorio e approdo in paradiso. Che per attori e artisti sarà semplicemente un nuovo inferno, in un Paese che tratta la cultura con ‘i piedi’. Per non citare o chiamare in causa altre parti anatomiche.





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