Vittorio LussanaIn un comizio elettorale di Forza Italia, il presidente del Consiglio, On. Silvio Berlusconi, ad un certo punto ha dichiarato di non riuscire a comprendere “come gli italiani possano fidarsi di un candidato premier come Romano Prodi, il quale è solito giocare con i tavolini a tre gambe: da almeno 28 anni, ci attendiamo che egli dica la verità sulla fonte di quella famosa informazione ottenuta nei drammatici giorni del sequestro Moro…”. Bobo Craxi, impegnato in quel momento a provare alcune canzoni per un ‘concerto elettorale’ previsto quella sera a Mantova assieme agli amici cantautori Ron e Umberto Tozzi, all’improvviso molla tutto e tutti e mi telefona per chiedermi di diffondere una delle più belle risposte che mi sia mai capitato di recapitare agli organi di stampa: “Credo non sia giusto”, ha sottolineato il giovane leader de ‘i Socialisti’, “speculare su una tragedia nazionale per fini elettorali. Sono ben altri i misteri che circondano la vicenda del rapimento e dell’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Ancora una volta, Berlusconi è stato mal consigliato”. In effetti, il punto in questione diviene proprio questo: se il presidente del Consiglio necessitava di avere dei chiarimenti, perché non li ha chiesti prima? Perché non si è andato a leggere gli atti di ben tre commissioni parlamentari di inchiesta? Perché porre un quesito del genere durante un comizio elettorale, allorquando appare evidente che l’intento non è quello di voler illuminare alcune ‘pagine oscure’ del ‘sequestro Moro’, bensì di prendere per i ‘fondelli’ un avversario politico, strumentalizzando una vicenda drammatica della nostra storia repubblicana?
Una delle fasi più impegnative della mia formazione professionale di giornalista è stata quella di ricercare le motivazioni antropologiche e politiche di fondo che hanno generato, durante gli anni ’70, il fenomeno del terrorismo. In quelle mie inchieste, ho trascorso giornate intere a discutere personalmente con Alberto Franceschini, uno dei fondatori storici delle Brigate Rosse insieme a Renato Curcio. E lo stesso Curcio, sul finire del 1996, organizzò una serata di riflessione presso i locali della sua casa editrice, nel corso della quale mi permise di incontrare e discutere con quasi tutti i principali esponenti del movimento brigatista, persone che avevano già pienamente scontato ogni loro pendenza con la giustizia e che si mostrarono disponibili a rileggere, alla luce delle loro esperienze personali, gli anni più cupi della nostra storia. Persino Tony Negri, in quel tempo latitante a Parigi, inviò un proprio video-messaggio teso a riflettere intorno ad una logica ‘dimostrativa’ che ha finito con l’uccidere il concetto stesso di rivoluzione e col giustificare, agli occhi degli italiani, un’idea conservatrice, piccolo-borghese e totalmente ‘ripiegata’ sul privato della vita quotidiana di ognuno di noi. Ebbene sì, presidente: io ho frequentato quel che oggi è rimasto di quelle Brigate Rosse che teorizzarono la lotta armata. Ho ascoltato il rimorso sincero di Alberto Franceschini sino a diventare suo amico personale, rapporto di cui oggi non solo non mi vergogno, ma addirittura mi onoro. Ho potuto cogliere, conoscendo Renato Curcio, il senso dell’errore e dell’orrore di molti suoi presupposti di ragionamento del passato. Ed ho anche ascoltato al telefono la disperazione di Anna Laura Braghetti, che non se la sentiva di ricordare, di analizzare, di riflettere, ma che poi finalmente si è decisa a scrivere un libro sincero sino all’autolesionismo, ‘Il prigioniero’, che poi ha ispirato un regista intelligente come Marco Bellocchio nel suo bellissimo: ‘Buongiorno, notte’. In particolare, ricordo le parole mescolate ai singhiozzi ed alle lacrime di Anna Laura: “Ti prego, Vittorio, no… No… Non posso, non ce la faccio, non ce la farò mai… Per Alberto è diverso, lui oggi è a ‘mente sgombra’, ha un bel lavoro, si occupa di solidarietà, ha scontato lunghi anni di isolamento all’Asinara e si sente di aver pagato anche più di quel che ha fatto. Io, invece, sono in una condizione totalmente diversa, non riesco a pensare, non riesco a riflettere. Vittorio non insistere, ti prego, non essere egoista…”. Ricordo molto bene quella telefonata: dovetti rinunciare allo scoop che avrebbe potuto rappresentare, in quel momento, una ‘intervista-confessione’ di Anna Laura Braghetti, nella speranza che riuscisse a trovare, un giorno, la forza per liberarsi dal suo peso morale. E chiusi quella telefonata dicendole: “Sono certo che ci riuscirai…”. Anna Laura ce l’ha fatta, presidente: quella forza l’ha trovata e ci ha regalato una confessione sincera, onesta, impietosa, anche nei confronti di se stessa. Era fondamentale che lo facesse. Ed aveva anche ragione: il suo rimorso era più importante della mia intervista, perché lo era per tutti noi. Presidente, lei non sa nulla di quegli anni, delle infiltrazioni e delle manovre interne alle BR stesse da parte di quei servizi dello Stato che ne mutarono l’impostazione ‘innocuamente guevarista’, ma pur sempre finalizzata al compromesso politico, al fine di plasmarne l’organizzazione e trasformarle in un’armata di criminali autentici, la cui logica imperante doveva essere quella di una ‘geometrica potenza esecutiva’. Presidente Berlusconi, lei ha compreso veramente perché Enrico Berlinguer si ritrovò costretto a commettere un errore politico enorme adottando la cosiddetta ‘strategia della fermezza’? Ed ha mai capito perché Aldo Moro era divenuto pericoloso per molti ambienti ‘occulti’ di questo Paese? Lei si è mai posto la questione del perché Bettino Craxi cercò di seguire una via ‘trattativista’ per salvare la vita del presidente della Democrazia Cristiana e dovette invece prendere atto che quel tentativo era destinato al fallimento? Con l’uccisione di Aldo Moro, venne inferto un colpo mortale proprio alla politica, caro presidente, poiché nel decennio successivo essa rimase ‘appesa’ solamente al ‘fiuto’ e alle capacità di Bettino Craxi. Dopo la morte di quest’ultimo, poi, si è avuto solamente il decesso definitivo di ogni capacità democratica e pluralista, in questo Paese, di governare con ordine uno sviluppo civile, moderno e adatto ai tempi della nostra società. Ed il Paese continua a cambiare, nonostante le inefficienze della sua burocrazia e nella contrapposizione radicale delle forze politiche, obbligando i cittadini ad inseguire valori meramente consumistici e materiali. Se lei non ha compreso ciò, diviene gioco forza naturale prendere atto che, per lei, la storia della sinistra italiana rimane fondamentalmente legata a ‘filo doppio’ con quella dell’estremismo rivoluzionario, si comprende, cioè, perché lei tende continuamente a costruire delle sintesi ‘inculturate’ prive di ogni fondamento storico effettivo nei confronti dei suoi avversari politici. Moro dava fastidio perché cercò di aiutare il Pci ad intraprendere un cammino di effettiva democratizzazione e di deideologizzazione. E Craxi dava fastidio perché, ad un certo punto, ‘qualcuno’ comprese che cercava la strada di un superamento della scissione di Livorno del 1921 sostituendo Marx con Proudhon e recuperando, dal pantheon comunista, la riflessione di Antonio Gramsci. Presidente Berlusconi, lei è un uomo a cui mancano troppi elementi per poter giudicare.


Articolo tratto dalla rubrica: "7 giorni di cattivi pensieri", pubblicata dal sito web www.diario21.net
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