Vittorio LussanaIn merito ai 70 anni della nostra Costituzione, veniamo innanzitutto a 'smontare' l'idea, vagheggiata in questi giorni da alcuni giuristi da 'concorso ippico', tesa a dimostrare come un simile lasso di durata rappresenti, già di per sé, un fatto positivo. In realtà, la 'Carta degli italiani' è stata, per lunghi decenni, sostanzialmente inapplicata, in larghe parti e nel merito dei suoi numerosi princìpi. Innanzitutto, la disuguaglianza sociale è rimasta un dato strutturale della nazione: non c'è 'santo' che tenga, in merito a ciò. In secondo luogo, tali ragionamenti tendono speculativamente a fungere da 'valvola di sfogo' in favore di chi afferma che nel referendum del 4 dicembre 2016 si sarebbe perduta una grande occasione di ammodernamento e di velocizzazione dei nostri meccanismi giuridici decisionali. Come se il 'No' espresso dal 60% degli italiani avesse rappresentato, unicamente, l'espressione di un conservatorismo fine a se stesso. In realtà, siamo di fronte all'obiezione di chi vorrebbe riparare il motore di un'autovettura gettando in discarica la maggior parte dei 'pezzi' che via via s'incontrano nel 'vano-motore'. Un po' come quel pilota dell'aeronautica descritto nel film 'Mediterraneo' dal regista Gabriele Salvatores: "Minchia! Ma quest'aereo quanti 'pezzi' ci ha"? Una piccola ma intelligente segnalazione sociologica della folle superficialità degli italiani: un modo di essere che li porta a privilegiare un certo estetismo dialettico, puramente teorico e sofistico, rispetto agli effetti materiali di una qualsiasi norma di legge. La nostra Costituzione risulta, ancora oggi, ben poco praticata, poiché regolarmente posta nella condizione di non riuscire a modificare un popolo dissociato da secoli. E lo Stato che essa si è ritrovata a dover regolamentare era sostanzialmente lo stesso del ventennio fascista: la magistratura era la stessa; la Polizia era la stessa; persino i preti erano gli stessi. Qualcuno di questi, ancora oggi resiste nei propri fortilizi parrocchiali: quel genere di parroci i quali sono soliti affermare che, se una ragazza va in giro in minigonna, è lei stessa a provocare il sessismo più volgare del 'maschio' italiano. Insomma, un preciso 'gallismo virile', di diretta discendenza fascista, ancora oggi detta i suoi canoni identitari e di comportamento. E se un certo familismo amorale tende a rinchiudere, ancora oggi, le nostre donne tra i consueti recinti della madre di famiglia, quando non a 'marchiarla' con il classico giudizio della prostituta, la colpa di ciò non risiede affatto nel nostro ammuffito cattolicesimo 'sessuofobico', bensì nelle donne medesime e nelle generazioni più giovani, per la loro incapacità a 'produrre discorso', finalizzato a delineare un nuovo modello di società. Insomma, la colpa è sempre di qualcun altro, mentre bisognerebbe, al contrario, cominciare ad ammettere che, se non si ha più la forza di ricominciare, si dimostra solamente di essere un popolo di morti. La nostra Costituzione, invece, è viva e vegeta. E ci indica chiaramente quali sarebbero i nostri reali presupposti, spirituali e culturali, di comportamento. Purtroppo, il popolo italiano, per millenni degradato a 'gregge' dal cattolicesimo 'paolino' e, più recentemente, ridotto a singolo 'utente-consumatore' dalla rigida impostazione 'edonistica' del marketing e dalla merceologia di mercato, si ritrova costretto a riflettere secondo princìpi che tendono a escluderlo dalla Costituzione, mantenendolo ben separato rispetto a essa. Anche quando una norma costituzionale viene assunta come presupposto giuridico di principio, i suoi obiettivi risultano distanti, o di difficile realizzazione. Viceversa, se il presupposto di partenza è la trascendenza religiosa, oppure l'individualismo qualunquista espresso dal codice fascista italiano, ecco che la nostra fonte superprimaria finisce con l'essere interpretata come una raccolta di 'norme-bilancio', totalmente prive di ogni potenzialità programmatica. In buona sostanza, il più delle volte ci ritroviamo a comparare due interpretazioni, totalmente inattuali, della Costituzione: quella paragonabile a una produzione cinematografica inizialmente animata da buone intenzioni, ma riuscita solamente a metà; e quella che si rifà a una statica e tradizionale fotografia al 'magnesio' della società italiana, in cui vengono regolarmente perpetuati e mantenuti gli stessi classismi, le consuete discriminazioni, le medesime divisioni sociali di sempre. Basterebbe prendere il principio di eguaglianza tra uomini e donne per palesare il divario, ancora oggi esistente, tra norma giuridica formale e i suoi effetti materiali. Ognuno di noi utilizza la Costituzione per 'stiracchiarla' e trascinarla dove più gli torna comodo. Ed è proprio questo genere di interpretazioni a generare le 'distorsioni' che viviamo, in quanto cittadini, nella vita di tutti i giorni. Ogni cosa può essere materialmente facile, nei suoi presupposti teorici, ma nulla riesce a inverarsi in una semplice verità filosofica, spirituale o morale. Un 'delirio' che possiede tutte le giustificazioni storiche del 'caso' e che, nel mondo, ci rende persino simpatici, in quanto considerati dei personaggi ingegnosi, geniali, poco prevedibili. Ma vivaddio, si potrà anche esser stanchi di dover sempre 'rientrare' nel medesimo 'personaggio'? Si potrà pur esprimere il diritto di voler cambiare se stessi, per poter migliorare come persone e come cittadini? Per quale 'diavolo' di motivo dobbiamo sempre soffrire le 'pene dell'inferno' per riuscire a ottenere quegli stessi diritti che, nelle altre società occidentali, sono considerati normali, o già da tempo acquisiti? E perché mai ogni singolo provvedimento approvato e pubblicato in 'Gazzetta' diviene una vera e propria presa per i 'fondelli', che ci costringe tutti quanti a sottostare a una serie di compromessi tanto agghiaccianti, quanto inutili e tardivi? Per riuscire a ottenere le 'Unioni civili', qui da noi si è dovuto sostanzialmente accettare un'umiliante concessione 'dall'alto' dell'arroganza degli ambienti clerico-fascisti. E per poter affrontare un dibattito dignitoso intorno a un principio giuridico come quello dello 'Ius soli temperato', bisogna parlarne come di un 'parente scomodo', per via di quella pavida vigliaccherìa cristiano-sociale la quale, pur condividendone contenuti e princìpi, proprio non se la sente d'immolarsi per essi. Un Paese di Arlecchini e Pulcinella: ecco cosa siamo! E di fronte a simili 'chiari di luna', proprio non si comprende, oggi, chi parla della Costituzione italiana come di un disegno quasi completamente compiuto, che ha saputo resistere al logorìo del tempo: nulla può resistere ai retaggi d'inciviltà, giuridica e morale, degli italiani. La nostra Carta costituzionale è come un bel vestito, che si può indossare raramente e solo in particolari occasioni. Un dono che una classe politica forgiata dalla guerra e dalla Resistenza ha lasciato in eredità ai propri figli, i quali, tuttavia, il più delle volte hanno dimostrato di non esserne minimamente degni, considerandola, sostanzialmente, un qualcosa di 'stucchevole'. Fondamentalmente, come un corpo estraneo.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Giuseppina - Napoli - Mail - sabato 30 dicembre 2017 12.36
A questo mondo, come un marchio antico, vige sopra ogni cosa razza e religione. In qualsiasi ambito, il dio denaro sconvolge leggi e umanità. Non si tratta di essere carne o pesce, ma ricco o povero. Questa è la squallida realtà.
Mario - Chiari (BS) - Mail - sabato 30 dicembre 2017 5.19
Pienamente d’accordo. Peccato che siamo in mezzo al guado, tra Costituzione italiana e Costituzione europea... Siamo carne o pesce?
Roberto - Roma - Mail - venerdi 29 dicembre 2017 20.20
Grazie direttore. Un felice anno nuovo a lei e alla sua redazione.
Rob
Laura - Cesenatico (FC) - Mail - venerdi 29 dicembre 2017 19.37
Un grande dono, troppo spesso calpestato.


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