Vittorio LussanaIl vincitore del Premio speciale della critica 'Periodico italiano magazine' e del premio 'Comedy 2017' nell'edizione di quest'anno del Roma Fringe Festival ci racconta come è nato il suo monologo, 'Aspettando una chiamata': un testo spassoso e pieno di ritmo, che ha richiamato alla mente lo stile irregolare di Charlie Chaplin e l'uso feroce del 'nonsense' di Ettore Petrolini

Matteo Cirillo è un talento esplosivo. Nel suo monologo, intitolato 'Aspettando una chiamata', ci sono pochissime pause e l'omaggio alla surreale comicità 'petroliniana' è evidente. Il testo, inoltre, è a dir poco spassoso. E possiede il merito di non banalizzare strumentalmente la questione di fondo. Cirillo certifica il fallimento di una società di mercato incapace di trovare una collocazione anche ai giovani più capaci, entusiasti, vogliosi di far bene. Una critica niente affatto mal posta, poiché indica la causa della 'patologia', benché sembri soffermarsi ironicamente sui sintomi. In realtà, l'indicazione, per esempio, di possibili 'nuovi mestieri', solo apparentemente legati al 'nonsense', è un'accusa precisa e diretta a un mondo dell'imprenditoria italiana incapace di rigenerare i mercati, stimolando nuova domanda. E la denuncia di un management 'ingessato', legato a concezioni obsolete della produttività, quando non malato di assistenzialismo o di 'piraterìa' furfantesca, produce a sua volta effetti devastanti all'interno di una società che rimane 'impantanata' tra i problemi di tutti i giorni. L'aneddoto del cameriere, tanto per fare un altro esempio, descrive perfettamente i consueti canoni del ristorante di lusso, contrapposti a quelli della popolaresca trattoria romana, segnalando un mondo, quello degli esercizi e della piccola imprenditoria locale, anch'esso fermo ai soliti, banalissimi, luoghi comuni. Cirillo, insomma, ha messo brillantemente i 'piedi nel piatto' di una critica feroce, tutt'altro che 'buonista', nei confronti di una mentalità completamente 'prona' al mercato, il quale si dimostra sempre pronto a differenziare i suoi prodotti, ma regolarmente a corto di idee su come riformulare le proprie offerte di lavoro, chiudendosi in un conservatorismo egoistico, incapace di andare oltre la logica dei 'call center'. Matteo Cirillo ha proposto un testo assai più serio di quel che può sembrare a prima vista, limpidissimo nel tracciare quel confine che ha lasciato 'fuori dalla porta' intere generazioni di giovani, a causa di una mancanza di meritocrazìa sconcertante, all'interno di una società 'svuotata' di ogni principio, ormai inerme di fronte al qualunquismo e al 'cialtronismo' dilaganti.

Matteo Cirillo, il tuo 'Aspettando una chiamata' è un monologo trascinante, pieno di ritmo: come è 'saltato fuori'?
"Parlando con alcuni amici 'non teatranti', facevo notare il fatto di fare spettacoli senza ricevere nessun compenso. Uno di loro mi disse: "Ah Cirì! Almeno tu fai quello che ti piace: io sono 4 mesi che lavoro in un'azienda senza essere pagato". Questa risposta mi fece riflettere. Pensavo fosse solo un caso. Invece, fu la risposta della maggior parte dei miei amici: neo-laureati in giurisprudenza, economia e ingegneria lavoravano, ma non venivano pagati, proprio come gli attori. Siamo tutti uguali: non pagati, ma 'fortunati', perchè almeno lavoriamo, mentre tanti altri ragazzi stanno a casa aspettando un'eventuale chiamata di lavoro non pagato. Nella nostra Costituzione si dice espressamente: "Tutti i cittadini hanno il diritto al lavoro. Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del suo lavoro". E' evidente come vi sia qualcosa che non va. Allora, ho deciso di raccontare una storia che potesse rappresentare la situazione di un giovane come tanti, che aspetta disperatamente una chiamata di lavoro, ma di lavoro non pagato: due 'drammi' in uno. Poi, lo spettacolo è comico, ma come disse qualcuno: "La comicità è una cosa seria". E come disse Chaplin: "La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo".

Quanto c'è di autobiografico in questo tuo lavoro?
"Moltissimo. In quei pochi 'provini' che ci sono oggi, si presentano 700 persone per soli 2 ruoli. Mi sono ritrovato ben due volte in una situazione del genere: ti danno un 'numeretto', che ti punti sul petto e ti chiamano col numero. Il provino, per questioni tempistiche, dura al massimo un minuto, eppoi ti congedano con il famoso: "Le faremo sapere". Allora decisi che nello spettacolo non mi sarei chiamato in nessun modo, ma sarei stato un numero: il numero zero. Lo 'zero', in matematica, rappresenta un insieme, una collettività, un gruppo di 'zeri' in attesa. Pochi provini, poco lavoro, poche chiamate, mi hanno dato la forza di inventarmi una 'chiamata' di lavoro. Si ha paura di migliaia di cose: come dico nello spettacolo, ognuno ha le sue paranoie: c'è chi ha paura del giorno; chi del buio; chi del risveglio; chi della morte. E c'è chi ha paura a lasciarsi andare. Credo che in questo mestiere il 'segreto' sia nel riuscire a vincere quest'ultima paura: lasciarsi andare e non avere paura del giudizio degli altri o, persino, del tuo. Mai prendersi troppo sul serio. In inglese, recitare si dice 'to play' e, in francese, 'jouer': ovvero 'giocare'. Giocare seriamente, quindi, come un bambino che calcia un pallone in cortile ed esclama: "Goal di Messi"! Con la convinzione che lui sia davvero Messi. Quando non ho avuto più paura del giudizio e mi sono lasciato andare, mi sono detto: "Basta aspettare, bisogna agire"!

In 'Aspettando una chiamata', noi abbiamo 'letto' alcuni riferimenti al 'nonsense' di Ettore Petrolini, magari 'filtrati' dalle rivisitazioni di Fiorenzo Fiorentini e Gigi Proietti: cosa ne pensi? Sei tu il nuovo 'talento' della 'piazza' romana?
"Roma è la mia città, la amo. E sarebbe un sogno riuscire a farsi conoscere dal popolo romano: "Non sapevo fare nulla: facevo il romano. E fare il romano era la mia passione. A Nizza, Parigi, all'Avana, al Messico, a New York, Buenos Aires, a Rio de Janeiro e nell'interno del Brasile, parlavo romano; cantavo li stornelli che nissuno, magari, capiva, ma tutti li applaudivano: un bel fenomeno. Allora mi convinsi che nascere romano era una concessione speciale di nostro Signore Gesù Cristo". Questa è una poesia di Ettore Petrolini che mi sembra in tema con la domanda: lui e Proietti sono i miei Maestri. Da Petrolini ho cercato di apprendere il suo divertimento nell'usare la lingua italiana. Da una sua celebre intervista: "Leggo anche dei libri, molti libri: ma ci imparo meno che dalla vita. Un solo libro mi ha molto insegnato: il vocabolario. Oh! Il vocabolario lo adoro. Ma adoro anche la strada, ben più meravigliosa del vocabolario". Per lui, l'arte stava nel 'deformare'. E lui ha rappresentato, a mio parere, la maschera romana più importante di tutti i tempi. Ho faticato molto nel trovare i suoi scritti, ma negli anni ho trovato delle belle raccolte con le sue maschere più importanti: le ho lette, studiate, sperimentate in teatro. E oggi le conservo gelosamente nella mia libreria: fanno parte di me. Da Proietti, invece, cerco di apprendere tutto il resto: Gigi è veramente incredibile. E' una sorta di 'Re Mida' della comicità: tutto quello che dice lo trasforma in risata. Ho avuto il piacere e l'onore di lavorarci per poco tempo e mi ha dato tantissimo: un vero Maestro".

Parlaci un po' di te: qual è stato, fino a oggi, il tuo percorso artistico?
"Il mio sogno, da bambino, era quello di fare il calciatore, oppure il giornalaio. Poi i sogni cambiano: si cresce. Il calcio diventa un business; e il giornalaio si sveglia troppo presto. Allora il mio sogno è diventato 'altro'. Altro ancora, non era definibile. Finito il liceo, mi iscrivo a Giurisprudenza, poi a Economia, poi a Scienze Motorie, poi al Dams e, infine, una domanda sorse spontanea: "Siccome mi piacciono tutte le facoltà universitarie, come faccio a frequentarle tutte e essere un giorno un avvocato, un giorno un professore e un giorno un commercialista? Facendo l'attore"! Ecco perché mi iscrissi all'Aiad, l'Accademia del Teatro Quirino di Roma, perfezionandomi in Francia, precisamente a Parigi, presso l'Ecole des Jacque Lecoq e a Versaillès all'Aidas. Nel periodo dell'Accademia, mi sostenevo facendo degli spettacoli di magia per bambini, ballando il tip tap, improvvisando e facendo del teatro di strada. Negi ultimi anni, sto cercando di vivere facendo solo teatro: è difficile, ma sono una persona ottimista. Da quest'anno, vorrei iniziare a fare qualcosa anche al cinema. Vediamo un po'...".

Dopo i riconoscimenti ottenuti al Roma Fringe Festival 2017, quali progetti hai in serbo per quest'autunno/inverno? Quando e dove possiamo tornare a 'sganasciarci' con te in palcoscenico?
"Allora: il 10 novembre torno in scena al 'Csoa Spartaco' di Roma con 'Aspettando una chiamata'. Poi parto in tourneè con lo spettacolo 'Una gioranta particolare' per la regia di Nora Venturini, con Giulio Scarpati e Valeria Solarino. Con l'anno nuovo, debutto con il mio nuovo monologo 'Oggi sposo' al Teatro Golden di Roma. Ad aprile sarò al Teatro Roma con 'Quando eravamo repressi' per la regia di Pino Quartullo. A maggio, invece, approderò al Teatro Vittoria con lo spetttacolo della nostra compagnia 'Un uomo è un uomo' di B. Brecht. Infine, direttamente dalla Francia mi hanno concesso i diritti per mettere in scena 'Il grande dittatore' di Charlie Chaplin: è un sogno che si realizza. Ovviamente, mancano i soldi, ma sono sicuro che, in qualche modo, si riuscirà a portarlo in scena. Quando non hai nessuno che ti finanzia e devi fare tutto da solo, ti senti solo. Ma io, grazie al sostegno di tante belle persone che ho conosciuto, non mi sento mai solo. E, se mi è permesso, voglio dedicare a loro questo piccolo scritto: "Un giorno mi sono alzato e ho scoperto di avere un sogno. Decido di rincorrerlo. Corro veloce, ma il sogno è troppo veloce, non riesco a raggiungerlo. Smetto di correre, mi fermo: il sogno non è veloce, è solo lontano. Se è lontano, me la prendo comoda, per raggiungerlo uso il carro: nel carro ci sono i miei genitori, i miei nonni, i miei fratelli, i miei cugini, i compagni di accademia, gli amici attori, i miei amici storici, i miei amici nuovi e, infine, ci sono io, che sono il cocchiere. Più persone ci sono nel carro, più il carro diventa leggero, più il carro diventa leggero, più il sogno si avvicina. Grazie a tutti". E grazie a Periodico italiano magazine".




(intervista tratta dal mensile 'Periodico italiano magazine' n. 32 - ottobre 2017)

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