Vittorio LussanaIntervista al principale rappresentante delle comunità arabe in Italia, creatore di uno 'sportello scolastico' per monitorare le diverse forme di razzismo e discriminazione nei nostri istituti, provocati non tanto dal 'bullismo' di alunni e studenti, bensì dai loro genitori, 'eccitati' da trasmissioni televisive allarmistiche, indifferenti ai programmi di educazione civica e d'integrazione tra i cittadini di domani

Foad Aodi, medico fisiatra, presidente delle comunità arabe in Italia (Co-mai) e dei movimenti Amsi e 'Uniti per unire', è il 'Focal Point' per l'integrazione in Italia e per l'Alleanza delle civiltà (UnaOc), organismo dell'Onu. Negli anni delle sue attività, egli ha seguito molto da vicino tutte le diverse fasi dei flussi migratori, ricostruendone la storia: dopo una prima ondata, successiva alla caduta del muro di Berlino e proveniente dai Paesi dell'est europeo, abbiamo assistito a una seconda 'ondata' dai Paesi coinvolti nelle cosiddette 'primavere arabe' e a una terza, conseguente alla crisi siriana e a quella libica 'post Gheddafi'. In questa intervista, ci ha aiutati a comprendere le difficoltà del processo d'integrazione degli immigrati di prima e seconda generazione, complicata soprattutto da strumentalizzazioni politiche e da un sistema dell'informazione non sempre equilibrato nel dare informazioni.

Foad Aodi, quanto è strutturata l'Italia, sotto il profilo scolastico ed educativo, per favorire un'integrazione effettiva tra italiani e le diverse culture di origine dei nuovi nuclei familiari giunti qui da noi negli ultimi decenni?
"Sicuramente, per alcuni aspetti ci sono notizie positive: l'impegno di tanti professori e molti presidi, ma soprattutto la felice integrazione tra gli alunni. C'è, invece, ancora da lavorare sotto il punto di vista amministrativo e conoscitivo, al fine di evitare episodi di discriminazione. Mi spiego meglio: in Italia, il fenomeno migratorio è piuttosto recente, rispetto ad altri Paesi europei come la Francia, il Belgio e la Germania. Per questo motivo, l'Italia, in questi ultimi decenni, non era molto 'pronta' a un'accoglienza così massiccia. Storicamente, noi possiamo dividere il fenomeno in tre fasi: durante la prima, si veniva in Italia solo per motivi di studio; nella seconda, successiva alla caduta del muro di Berlino, è sorto un flusso molto robusto proveniente dai Paesi dell'est, Romanìa e Albanìa in particolare; nella terza fase, quella più recente, stiamo assistendo a un'emergenza importante cominciata con le 'primavere arabe', le quali hanno generato molti sogni, seguiti da altrettante delusioni. Per questo, la scuola diviene un terreno delicato e importante in cui investire energie, al fine di far conoscere a studenti, alunni, docenti e genitori quale sia la realtà degli immigrati, i cui figli non sono affatto 'diversi' dai bambini italiani: sono coetanei e sono esseri umani. Noi, come Co-mai, Amsi e 'Uniti per unire', abbiamo creato di recente uno 'sportello scolastico' tramite il quale abbiamo registrato un aumento della discriminazione specialmente nelle scuole e, soprattutto, dopo i recenti fatti di terrorismo accaduti in Europa. Dobbiamo lavorare molto su un puntuale aggiornamento, su una conoscenza reciproca più approfondita e sulla 'buona informazione', perché tanti genitori sono influenzati negativamente da notizie superficiali e generalizzate, che non solo danneggiano i figli degli immigrati, ma anche tanti giovani italiani individualmente immuni a provocare situazioni di discriminazione, ma spesso 'pilotati' da genitori 'eccitati' da una cattiva informazione".

Lo 'Ius soli' poteva rappresentare uno strumento d'integrazione importante, secondo lei?
"Sicuramente, quella dello 'Ius soli' sarebbe una soluzione molto importante: siamo stati i primi, dieci anni fa, a proporre la cittadinanza dopo 5 anni, affiancata da una conoscenza della lingua italiana, della legislazione e dell'ordinamento giuridico italiano e da un necessario approfondimento della Storia d'Italia. La questione scaturì perché, quando eravamo giovani medici stranieri, si creò il problema della nostra partecipazione ai concorsi pubblici. Fu allora che sorse la questione di una cittadinanza ottenibile già dopo 5 anni, proposta proprio da noi all'allora presidente del Consiglio, Romano Prodi. Dato che negli ultimi dieci anni si sono formati nuovi nuclei familiari, non possiamo non trovare soluzioni politiche per quei ragazzi che sono nati qua. Solo che, al momento, abbiamo una maggioranza 'sfavorevole' a questo provvedimento. Dunque, dobbiamo far capire a questa maggioranza che è gravissimo collegare la questione dell'immigrazione con il terrorismo, o unicamente con gli aspetti relativi alla sicurezza. Va trovata una soluzione: noi siamo favorevoli, ovviamente, a uno 'Isu soli temperato', ovvero che obblighi a un ciclo di conoscenza approfondita della lingua e della cultura italiana. Infine, bisogna sensibilizzare la maggioranza degli italiani, convincendoli del fatto che la soluzione migliore, anche per combattere il terrorismo, è proprio la cittadinanza ai figli degli immigrati".

Come giudicano gli arabi in Italia il fatto che il Governo italiano abbia preferito rinunciare all'approvazione in Senato dello 'Ius soli'?
"Non è una novità: purtroppo, noi subiamo sempre decisioni collegate al periodo delle elezioni politiche 'interne' dei singoli Paesi. Per questo motivo, noi e i nostri movimenti, Amsi, Co-Mai e 'Uniti per unire', abbiamo proposto una legge europea per l'immigrazione: per cercare di coinvolgere tutti i Paesi dell'Ue intorno al problema. Un Partito politico importante come il Pd non può avere paura, o mettersi a calcolare perdite di consenso se 'sposa' una politica favorevole all'integrazione o un provvedimento come quello sullo 'Ius soli'. Alcuni Partiti stanno facendo un gioco 'di rimessa', o addirittura di ricatto, come per esempio quello di Alfano: hanno paura di perdere le elezioni senza comprendere che, negando la cittadinanza ai figli degli immigrati, si rischia di perdere la 'scommessa' di un'integrazione riuscita".

Lei cosa pensa di quella parte della società italiana ed europea che teorizza una concezione 'chiusa' e antiquata, contraria a ogni processo d'integrazione con le culture provenienti dal Medio Oriente o dall'Africa del nord?
"Questa è stata la mia più grande delusione di questi ultimi anni. In particolare, sono rimasto deluso dalla risposta negativa giunta proprio da quei Paesi di cui noi, come medici stranieri in Italia, ci siamo occupati dopo la caduta del muro di Berlino e la prima 'ondata' migratoria proveniente dai Paesi dell'est europeo. Noi popoli arabi ci siamo battuti in favore di quei popoli che chiedevano aiuto, democrazia e libertà. Ebbene: proprio quei Paesi sono stati i primi ad alzare 'muri' e 'barriere' contro l'immigrazione. Ciò significa che non a tutti la Storia insegna la 'strada maestra' verso la libertà. Non si può concepire la libertà a senso unico. Non si può dire: "Oggi, il mio Paese è libero e democratico e non m'importa nulla degli altri". Quando certi Paesi erano in difficoltà e chiedevano aiuto per i loro migranti, di certo essi non calcolavano che, nel giro di pochi decenni, la situazione si sarebbe ribaltata. Anche per questo noi puntiamo molto su una legge europea per l'immigrazione: per riuscire a coinvolgere tutti i Paesi ad affrontare la questione nel pieno rispetto dei diritti umani. Riguardo, invece, agli italiani, essi hanno pieno diritto di vivere in serenità e di chiedere che lo Stato si occupi dei loro bisogni e delle loro difficoltà, perché questa non è, né deve diventare, una 'guerra fra poveri'. Al contrario, dobbiamo fondare una nuova convivenza fra 'ricchi' di valori e di cultura, anche se fra tradizioni differenti".   

Come giudica certi fatti di cronaca in cui alcune famiglie islamiche cercano di negare ai propri figli il diritto a integrarsi secondo i nostri costumi, spesso utilizzando violenze o forme di ricatto psicologico, in particolare sulle figlie femmine?
"Questo fu uno dei motivi che mi spinse, a suo tempo, a 'scendere in campo' per parlare di religione islamica: sono 'nato' come presidente dell'Amsi e, in quanto medico straniero in Italia, mi sono occupato di problemi legati alla sanità, ritrovandomi di fronte a casi che m'imposero, moralmente e materialmente, di fare qualcosa. Chi viene in Italia deve rispettare le sue leggi e le sue regole, le sue consuetudini e la sua cultura. E come ho dichiarato di recente in chiusura di un importante convegno internazionale, il nostro principale nemico è proprio l'islam 'fai da te', cioé l'interpretazione 'personale' della religione. Nell'islam non c'è un 'leader', o un principale rappresentante sulla Terra, com'è il Papa per la Chiesa cattolica. Per cui, ognuno si 'inventa' una propria visione, un'interpretazione particolare. Per questo, con forza e determinazione, noi ribadiamo, come Co-mai e come Confederazione laica e interreligiosa, il nostro 'No' alle moschee irregolari o 'abusive'; 'No' agli imam 'fai da te'; 'Sì' alla preghiera del venerdì celebrata in lingua italiana; 'No' alle interpretazioni 'tribali', come quelle che prevedono le mutilazioni genitali femminili; 'No' a quei genitori che, nei confronti delle loro mogli o delle figlie, diventano gelosi e possessivi, estremizzando i princìpi della religione islamica. Noi diciamo: dovete scegliere. O stai in Italia e ne accetti le leggi e i costumi, oppure te ne torni nel tuo Paese. Una ragazza che sta solamente cercando di inserirsi nel tessuto sociale di un Paese occidentale non può essere costretta a subire il razzismo mentale e le chiusure ideologiche di suo padre. Un padre che ha scelto di venire a vivere in Italia già in età avanzata, sicuramente ha incontrato maggiori difficoltà ad ambientarsi rispetto a quelle che abbiamo incontrato noi quando, da ragazzi, siamo venuti qui a studiare. Il nostro processo d'integrazione è stato più facile: eravamo molti di meno. Ed essendo molto giovani abbiamo potuto assorbire meglio e in minor tempo le regole della società in cui ci troviamo. La seconda e la terza fase di immigrazione, invece, ha visto l'arrivo di persone già laureate, o di semplici lavoratori. Dunque, ambientarsi e orientarsi, per loro è un processo più difficile. In ogni caso, gli immigrati hanno diritto di essere rispettati, ma al contempo hanno il dovere di rispettare le leggi italiane. E basta con le interpretazioni 'fai da te' della religione: un modo ideologico di utilizzare la fede che ci ha danneggiato enormemente, poiché ha finito col resuscitare quegli estremismi di destra  che, come abbiamo visto di recente, si stanno diffondendo in tutta Europa parlando alla 'pancia' dei cittadini, o strumentalizzando episodi totalmente isolati e marginali, per niente rappresentativi del mondo e della cultura araba".

Nella cultura araba non c'è qualcosa da rivedere, in particolare nei confronti dell'universo femminile?
"Questo è diventato, oggi, uno dei miei principali obiettivi: aprendo un convegno a Thaipa, in Palestina, di fronte a più di 500 donne arabe, ebree e cristiane del movimento delle 'Donne costruttrici di pace', ho detto chiaramente come sia sbagliato, per tutto il mondo arabo e tutte le altre tradizioni orientali, continuare a investire solo ed esclusivamente sulla figura maschile, penalizzando la donna. Le donne di tutto il mondo vanno liberate: esse hanno una capacità, un coraggio e una sensibilità enorme, come hanno dimostrato in Medio Oriente proprio in questi giorni, con le loro 'marce per la pace'. Dobbiamo valorizzare le donne. E, per far questo, sicuramente vanno riviste tante cose. La Repubblica araba di Tunisia sta dando segnali importanti in tal senso, concedendo, per esempio, alle donne di sposare anche uomini non musulmani. E in Arabia Saudita sta avvenendo questo travaglio, che ancora non è del tutto giunto a compimento, di concedere loro di poter guidare l'automobile. Sono segnali piccoli, ma socialmente importanti. E bisogna trovare uomini coraggiosi per far questo: chi ha scritto la Storia e chi ha segnato le 'svolte' fondamentali dell'umanità sono sempre state, soprattutto, le persone coraggiose. Come le donne tunisine, che hanno svolto un ruolo importantissimo durante la 'Rivoluzione dei gelsomini'. O quelle dello Yemen, che si stanno battendo per la loro emancipazione. Quando sono stato nello Yemen, io l'ho dichiarato esplicitamente: "Mi piange il cuore notare che avete il 50% dell'intelligenza 'yemenita' ricoperta dal velo". Per questo, nel movimento che abbiamo fondato, 'Uniti per unire', abbiamo creato un dipartimento appositamente dedicato alle donne, le quali proprio in questi giorni stanno per aprire un loro importante convegno a Cerveteri. Dobbiamo deciderci a investire sulle donne e sui giovani. Queste sono, oggi, le nostre parole d'ordine: dialogo; pace; donne; giovani; cooperazione internazionale; buona informazione. Come quella che avete fatto, in questi anni, voi di 'Periodico italiano magazine' e di Laici.it, di cui vi ringraziamo perché noi arabi siamo le principali vittime della cattiva informazione".




(intervista tratta dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 32 - ottobre 2017)

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Roberto - Roma - Mail - martedi 17 ottobre 2017 6.25
Un intervista molto interessante, grazie.


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