Serena Di GiovanniOrmai è ufficiale: le 'supermodelle' altere e imperturbabili degli anni '90 del secolo scorso non 'tirano' più come prima. O, almeno, non quanto le 'influencer' intraprendenti e propositive degli anni duemila. Rivisitando un vecchio detto italiano, si potrebbe dire che, oggi "tira di più una fashion blogger che un carro di buoi". Nell'epoca in cui la vita sociale si esprime più nelle piazze on line che in quelle 'reali' e la comunicazione è spesso affidata ai siti internet e ai social network come Facebook, Instagram, Twitter e YouTube, sono tanti i giovani che sperano di poter trovare una collocazione lavorativa nello sterminato e affascinante mondo del web, in particolar modo come 'influencer'. Per chi non fosse pratico di tali terminologie da 'internauti', stiamo parlando di utenti che hanno una passione o una specializzazione in un determinato settore e la condividono, ogni giorno, sui propri canali social e sui blog.  Così facendo, riescono a creare una 'community' di persone interessate allo stesso argomento con cui scambiare, idee, opinioni e consigli. Godendo di popolarità e fiducia nella loro 'audience', costoro finiscono per influenzarne le conversazioni e le scelte e, per questo motivo, vengono chiamati 'influencer'. Si tratta, quindi, di utenti che, ogni volta che condividono un post, una foto o un video, riescono a ricevere moltissime visualizzazioni grazie alla 'fiducia' dei loro fans, trasformando così un'attitudine, o meglio una capacità, in un vero e proprio lavoro che genera introiti. A questo punto, però, vien da chiedersi: come si diventa 'influencer'? Innanzitutto, dobbiamo sapere che esistono piattaforme di 'influencer marketing' che possono aiutare a capire se vi sono delle potenzialità di base per svolgere questo 'lavoro'. Tra tutte, 'Buzzoole': una community gratuita che analizza i profili social per scoprire l'influenza dell'utente in rete. L'applicazione fornisce delle vere e proprie classifiche e permette di mettere in contatto influencer e brand per creare campagne di 'influencer marketing', dette anche di 'buzz marketing'. L'applicazione crea una lista dettagliata degli argomenti di cui l'utente parla di più e in cui è più 'influente'. In altre parole, se l'utente parla tanto di cibo, ma il suo pubblico interagisce molto di più con le foto dell'ultima mostra che ha visto, potrebbe essere più influente sul topic 'Art&Culture'. E tale informazione potrebbe essere utilizzata per 'ottimizzare' la pubblicazione dei suoi post on line. Ovviamente, più il profilo avrà successo nella community (pubblicizzando l'applicazione stessa), più l'utente avrà la possibilità di essere selezionato per partecipare alle 'campagne brand', ottenendo in cambio prodotti omaggio: 'crediti Buzzoole' da convertire in Amazon, inviti e 'gift card' per la partecipazione ad attività 'extra', come eventi esclusivi e altre attività editoriali. Certo, non basta iscriversi a piattaforme simili, avere qualche seguace e una manciata di 'like' per diventare 'ricchi' facendo gli influencer. Occorre, piuttosto, dimostrare di avere 'qualcosa da dire' o, quantomeno, nel caso di molte fashion blogger, di saperla dire bene, con spirito e originalità. Effettivamente, esistono influencer bellissime come Chiara Ferragni (classe 1987), la quale, recentemente, secondo la rivista economica 'Forbes', avrebbe raggiunto il podio come 'la più importante influencer del mondo'. Per assegnarle questo titolo, la rivista ha sì preso in considerazione parametri come la presenza sui social network e la soggettività (e fedeltà) dei suoi follower che la seguono, ma anche l'impennata del suo giro di affari, dovuta al successo del brand da lei proposto e che presto sarà disponibile su 550 punti vendita nel mondo, di cui 200 in Cina. Se la 'belloccia' e giovane imprenditrice, originaria di Cremona, può esser stata 'facilitata' da un aspetto fisico invidiabile, quest'ultima ha comunque saputo sfruttare le doti che madre natura le ha gentilmente offerto, utilizzando l'intelligenza e l'astuzia, trasformando quindi la sua capacità di 'influenzare' i gusti degli altri in una vera e propria attività imprenditoriale. Esistono, tuttavia, 'fashion blogger' meno avvenenti, ma molto creative, che stanno lasciando il segno nel mondo social, nonostante non abbiano fisici 'mozzafiato' da esibire su Instagram o Facebook. Una su tutte, la procace, prorompente e non troppo filiforme Gabrielle (Gabi) Gregg, designer e co-fondatrice dell'azienda Premme, che propone capi di abbigliamento - particolarmente lingerie - per donne 'curvie'. L'impressione è che, attualmente, le nuove generazioni 2.0 siano più interessate alla notorietà del momento e non alle effettive possibilità che un lavoro come quello dell'influencer possa realmente offrire. Il rischio maggiore è che l'eccessivo interesse nel ricevere un 'feedback' positivo dagli altri, con la speranza di fare 'soldi facili' esibendo bocche 'a culo di gallina', cosce e glutei su Instagram, si trasformi, per molte teenagers, in una vera e propria 'ossessione' senza fondamenta. Sono troppe, infatti, le belle ragazze che, nella volontà di emulare il successo di Chiara Ferragni e delle altre 'fashion model', ex 'veline' e 'subrettine' delle televisione, ostentano sui social fisici plastici eccezionali, rigorosamente 'photoshoppati' e immortalati in pose evidentemente innaturali. Foto che finiscono per 'omologarle' e renderle tutte uguali, trasformando la loro presenza on line in un'apparizione fugace, da soppiantare, dopo qualche tempo, con altre nuove 'epifanie' di fanciulle, ben più giovani e appetibili per un mercato avido, che 'brucia' tutto in fretta e furia, sempre alla ricerca di nuove promesse. Perché, parliamoci chiaro: tutte possiamo essere 'influencer', nel nostro piccolo, anche la simpatica nonna del 'paesello' di provincia, che fa video divertenti e si rallegra nel caricarli su Facebook incontrando l'ilarità del pubblico. Ma per essere 'influencer nel tempo' e trasformare una 'capacità' in una professione ben remunerata, non basta essere simpatiche, tantomeno avere delle belle gambe o un discreto 'fondoschiena': occorre possedere una buona dose di creatività e tanto spirito imprenditoriale. E, soprattutto, bisogna sapersi 'distinguere dalla massa': un'attitudine, quest'ultima, che all'interno di una globalizzazione che ha 'appiattito' ogni 'qualità reale' come l'intelligenza, la professionalità e la preparazione, pochi giovani possiedono davvero.


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