Lo scorso 6 di luglio, alla “Sacrestia della Camera dei Deputati”, non si è discusso invano se, nei giorni successivi, non solo si sono registrate lettere di adesioni “convenzionali o meno” alla proposta Diaconale-Giacalone, che io approvo, ma si sono messi in onda interventi e dibattiti che evidenziano l’intesa per l’obiettivo, anche se spesso piegato ad esigenze proprie. Le dichiarazioni di Pannella, De Michelis, Nucara, Del Pennino, le presenze del Segretario dei Radicali Italiani, di Giovanni Negri, di Bobo Craxi, di Raffaele Costa, di Marco Taradash, di Benedetto Della Vedova, di Stefano de Luca, configurano il forte interesse di quest’area politica ad un evento nuovo, ad un movimento in un sistema politico che oggi sta tra la palude e il torbido, senza strategia, nelle maglie di tante tattiche spinte solo ad occupare uno spazio di potere, con Berlusconi o in concorrenza con lui o in polemica.
Non si respira un’aria di grandi speranze, di nuove visioni, di superamenti dei momenti traumatici della Prima Repubblica che il Berlusconi del 2001 avrebbe potuto attuare, ma che non ha operato, inchiodato dall’impolitica (pur superata dal voto del 2001) e incerto nelle decisioni politiche di fondo al limite del non-governo, perché privo di una base di analisi serie della crisi politica nazionale, che non è una crisi “aziendale”, ma della società e delle istituzioni. Aderire alla vostra proposta non significa, come per altri, tentare un assemblaggio di sigle o di persone fino a indefinite proposte di federalismo per sopravvivenza o per dare un qualche riferimento a coloro che non hanno trovato un inserimento nelle nuove strutture politiche, prigionieri di schemi travolti dalla storia. Significa invece voler “creare” nuove e inedite condizioni e strutture politiche per un grande appello al popolo italiano, rivitalizzante le culture politiche sconfitte nello scontro del 1992-2001, ma che nel passato erano state in grado di operare svolte significative di fronte ai due schieramenti egemonizzati dalla Dc e dal Pci.
Ricordare il ruolo di Ugo La Malfa e dei governi Spadolini, di Bettino Craxi, ma anche di Giovanni Malagodi è doveroso, quale linfa vitale per un nuovo forte sentire in libertà e per la libertà, che le dimensioni globali o mondiali dell’economia, della politica, delle culture, delle religioni, la realtà dell’Unione Europea, stretta da norme spesso illiberali e burocratiche impongono. Il precipitare della politica spinge Stefania Craxi, l’unica che possa veramente parlare ad un mondo di cultura liberalsocialista, a proporre un movimento che dia scosse violente al torpore della politica italiana, ma deve spingere anche noi verso un raggruppamento che deve incidere nelle realtà istituzionali della Repubblica, con il consenso o il diniego di coloro che vogliono un monopolio di potere, verso un Partito Unico della Libertà di fronte ad una sinistra e ad un centrosinistra fermi al passato, nella cultura e nella propaganda politica.
Nel mio intervento di martedì 6 luglio proposi, e tu e Giacalone avete accettato, un “seminario” di due giorni, con dibattiti serrati per preparare le nuove tesi politiche, un nuovo simbolo, un nuovo nome, una nuova struttura di assalto al conservatorismo, una strategia politica che dia alla società italiana un non equivoco messaggio di libertà e di Stato, senza attendismi e complicità con le sinistre. Occorre riprendere i legami interrotti tra politica e società, in tutte le sue espressioni (giovani, scuola, ricerca, cultura, media, editoria, sindacati, imprenditoria grande e piccola, crediti, risparmio, istituzioni locali – regioni, province, comuni -, fondazioni ecc.). La cultura laica di base che sta all’origine della nostra rivalutazione della “politica”, richiesta dal popolo italiano, sperata nel 2001, ma ancora non delineata, è il collante della nostra azione. Le divisioni della Storia risorgimentale, fascista, resistenziale, repubblicana, prima Repubblica, appartengono al passato per non avere incertezze verso un futuro che deve essere in grado di interpretare il meglio della cultura del novecento e delle sue sanguinose storie e le nuove realtà nazionali e internazionali di una società che è molto mutata e trasformata dal progresso tecnico, scientifico e sociale.
Il messaggio nuovo non è rivolto quindi solo ad elettori che nel passato si identificavano nella nostra cultura liberaldemocratica, liberalsocialista o autonomista, che rappresentano forti realtà locali (Sicilia, Sardegna, ma anche il Nord), ma a tutta la nazione che attende, dopo speranze e delusioni, un nuovo corso che possa ricaricare gli italiani nella competitività globale, vivificare le strutture statuali, superare le viltà e i conservatorismi chiusi di elites sclerotizzate nei salotti di potere, anche sindacali, che con la tattica dell’attendismo e del rinvio vorrebbero impedire che forze libere possano puntare al potere nuovo con dinamicità e volontà di ferro, ridando vitalità alle dimensioni culturali, produttive, associative e innovative oggi compresse nella mediocrità dell’antipolitica del centrodestra e dal persistere, a sinistra, di estremismi al limite dell’incredibile ritorno a passati travolti dalla storia e dalla forza della libertà. Vanno superati schemi ideologici pseudo-culturali frenanti la creazione del “nuovo” e va posta una pietra tombale sull’antipolitica che ha bloccato il moto di riscossa della giovane società.
E’ necessario coagulare nuove energie in un contesto che non sia più chiuso, ma anzi senza confini. Mi permetto proporre a Diaconale e Giacalone, che al Seminario partecipino anche esponenti di movimenti regionali (di Sicilia, di Sardegna e di altre regioni) di ispirazione liberaldemocratica, ma anche osservatori del Polo della Libertà più attenti alla politica (Matteucci, Adornato, Malgeri, Mennitti – per esempio) perché si superi la finzione che la democrazia sia marginalità condizionante, e si affermi il valore delle idee e delle persone che possono convivere nella elaborazione e determinazione delle strategie e delle tattiche unificanti pur nelle diverse formazioni ideali e culturali. Aprire per convergere: così la Nuova Repubblica può uscire dall’incertezza e dall’equivoco. Ciò poteva essere fatto fin dal 2001, vittoria strepitosa della speranza. Ma la conservazione in Italia è stata (ed è) a sinistra e a destra, più forte della volontà riformatrice o rivoluzionaria, in termini democratici, e le fazioni sono prevalse sui partiti, i giudici sulla politica, i poteri ciechi e forti sulle volontà creatrici, il provincialismo istituzionale, in tutte le sue espressioni, sull’ansia di modernità.
Andiamo a discutere, caro Direttore, non per aderire a vecchi schemi e ad antiquate strutture e simboli non più accettabili da una società viva e moderna (tu sai la mia proposta di scioglimento alla fine del percorso dei partiti tradizionali), ma per uscire dai luoghi comuni del secolo passato e porre le condizioni per l’Italia sognata dai nostri avi del Risorgimento. A te e all’amico Giacalone l’onere di impostare e organizzare la “due giorni” di settembre, perché gli Italiani possano riappropriarsi dell’Italia, nella libertà.

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