Vittorio LussanaSilvio Parrello, detto 'er Pecetto', è uno dei 'ragazzi di vita' citato da Pier Paolo Pasolini nel suo omonimo romanzo pubblicato da Garzanti nel 1955. Si tratta di uno stimato pittore che risiede, ancora oggi, nel quartiere romano di Monteverde, quello in cui Pasolini trascorse i suoi primi anni nella capitale proveniente dal Friuli. Silvio divenne subito un amico fraterno di Pier Paolo, con il quale trascorse lunghi e assolati pomeriggi a giocare a calcio in quei campetti sterrati di periferia che, chi ha fatto parte di quella generazione, ricorda assai bene, forse con un po' di nostalgia. Per un giovane poeta profondamente imbevuto nel cattolicesimo da 'Albero degli zoccoli' del nord'Italia, giungere in una Roma irreligiosa, totalmente circondata dalle borgate, fu probabilmente un vero e proprio trauma. Uno 'shock' che Pasolini cercò di superare studiando la nuova realtà sociale che stava incontrando. Un mondo che non era mai stato neanche sfiorato dalla letteratura. Locuzioni spiritose, modi di dire e linguaggi romaneschi che tradivano una modernizzazione che stava sradicando l'identità stessa di una città come Roma cominciarono a incuriosirlo, per la ricchezza di quegli elementi di un passato storico-culturale che andava, invece, valorizzato, al fine di difenderne le ultime vestigia di spontaneità, veracità e innocenza. A Silvio Parrello, la morte di Pier Paolo Pasolini non è mai andata giù. Il suo modo di esprimersi è profondamente romanesco, ma lucidissimo, come se l'ombra stessa del grande poeta si stagliasse ancora su di lui come quella di un 'amico-mentore', che lo ha addestrato a leggere, a informarsi, ad andare fiero delle proprie umili origini di figlio di un calzolaio. Pier Paolo Pasolini ha donato a queste persone una coscienza di classe, che non è servita loro per imporre una fantomatica rivoluzione violenta e vendicativa, bensì li ha condotti sulla strada 'maestra' di una sana cultura popolare e laburista, strappandoli dalle proprie condizioni di 'malandrini' romani. Il ruolo e l'influenza di Pasolini su ampie zone e nei quartieri più sperduti della capitale d'Italia rappresenta, ancora oggi, il ricordo di un'umanità donata al popolo di Roma con uno spirito quasi sacerdotale, paragonabile a quella di certi coraggiosissimi preti di periferia. Ovviamente, da queste parole sorgeranno le solite critiche di 'beatificazione postuma' di un intellettuale omosessuale, amante dello scandalo e, talvolta, delle provocazioni più volgari. Ovvero, provenienti dal volgo e dal suo linguaggio, che in realtà ha svolto una funzione fondamentale nella formazione della lingua italiana. Una lingua per molti secoli solo ed esclusivamente letteraria, che troppo tardi ha conosciuto una propria effettiva unità politica e culturale. In ogni caso, in merito delle circostanze che hanno condotto all'omicidio di Pasolini, Silvio Parrello non si è mai accontentato della versione ufficiale: quella del delitto maturato negli ambienti 'gay' della capitale. E, per conto proprio, ha continuato a indagare intorno a un assassinio ingiusto e crudele, che ha privato l'Italia di un poeta profondo, di un romanziere meraviglioso, di un intellettuale raffinatissimo, di un regista cinematografico toccante e sincero. Ecco per quale motivo abbiamo deciso di incontrarlo nei giorni del 40esimo anniversario della terribile uccisione di questo nostro indimenticabile protagonista della vita culturale italiana della seconda metà del novecento: per cercare di comprendere il vero contesto politico in cui è maturato un delitto che si collega all'ennesimo mistero della nostra Storia, in un Paese in cui non tutti amano ascoltare, o sentirsi dire in faccia, la verità.

Silvio Parrello, riallacciandoci innanzitutto alle notizie circolate in questi giorni, in cui si sono celebrati i 40 anni dal terribile delitto avvenuto presso l'idroscalo di Ostia, come commenti la dichiarazione di Graziella Chiarcossi, cugina di Pier Paolo Pasolini, la quale racconta che la Polizia, la mattina del delitto, l'avrebbe informata di aver ritrovato l'Alfa Romeo Gt di Pier Paolo a via Tiburtina anziché a Ostia? E' possibile che questi agenti di Pubblica sicurezza fossero informati in maniera superficiale, oppure c'è dell'altro?
"Secondo me, la fuga di Pino Pelosi a Ostia non c'è stata: il ragazzo è stato 'beccato' sul luogo del delitto. E vi spiego perché: Sergio Citti, 10 anni fa, cinque mesi prima di morire rilasciò a Guido Calvi una dichiarazione nella quale affermava che Graziella Chiarcossi a lui più volte aveva raccontato che l'auto di Pier Paolo Pasolini era stata ritrovata sulla Tiburtina. E che questa cosa le era stata comunicata dagli agenti di Pubblica sicurezza che si erano presentati a casa sua per comunicarle il ritrovamento dell'auto. Dunque, se il ragazzo scappava sul lungomare Duilio di Ostia a 160 all'ora e contromano, come dice il rapporto dei carabinieri Guglielmi e Cuzzupè, come mai la vettura di Pasolini è stata ritrovata a via Tiburtina? C'è qualcosa che non 'quadra'. Io, allora, ho ricostruito una mia ipotesi, pur non avendo prove o documenti per dimostrarlo".

Dunque, si tratta di una notizia che ti sta portando a formulare nuove ipotesi?
"Beh, diciamo che questa dichiarazione della Chiarcossi conferma quello che disse Citti 10 anni fa e quello che ho scoperto anche io. E cioè che, praticamente, nell'atto finale dell'omicidio di Pasolini, sul suo corpo sia passata un'altra macchina simile a quella di Pier Paolo. Dopodichè, uno o più componenti di questo gruppo di persone, dopo aver compiuto lo scempio, sono tornati verso l'Alfa GT di Pasolini, che rispetto al luogo del crimine era lontana una settantina di metri".

Cioè, sono tornati verso il campetto di calcio?
"Esattamente: lì dove si trovava, ferma, la vettura di Pasolini. Insieme a Pino Pelosi fu presa la macchina di Pier Paolo per fuggire, ma dopo pochi metri il ragazzo uscì dall'automobile e diede di stomaco. Gli altri amici, o amico, hanno continuato la fuga, abbandonandolo lì sul posto. Quando sono tornati a via Tiburtina, queste persone hanno lasciato la macchina e se ne sono andati a casa. Una pattuglia di Pubblica sicurezza, passando intorno alle due di notte su via Tiburtina, ha individuato la vettura abbandonata e hanno cominciato a verificarne i documenti e i certificati di proprietà. Da ciò, sono risaliti al fatto che si trattasse della macchina di Pasolini e si sono recati all'Eur, a via Eufrate 9, per comunicare alla Chiarcossi il ritrovamento dell'auto".

Si tratta di un dettaglio importante, perché a chiunque di noi, quando è capitato che la Polizia ritrovasse una nostra auto rubata, in genere il luogo che ci viene indicato è sempre piuttosto preciso: non è strano che questi due poliziotti abbiano dichiarato di aver ritrovato l'Alfa Romeo in un luogo e non in un altro?
"Infatti, l'hanno trovata lì, a via Tiburtina, mentre invece i due carabinieri, Guglielmi e Cuzzupé, affermano di aver fermato Pelosi a Ostia mentre era alla guida della vettura di Pier Paolo, che viaggiava contromano, a 160 all'ora, sul Lungomare Duilio. Insomma, questo è un elemento che proprio non torna. E se quanto dichiara la Chiarcossi fosse da lei confermato, ciò significa che il rapporto steso dai carabinieri è falso".

Ancora oggi è in atto, secondo te, un lavoro di copertura o di depistaggio su questa terribile vicenda?
"Certamente: sono ancora in atto manovre di 'copertura', perché quello di Pier Paolo Pasolini è stato un delitto di Stato: questa è la mia opinione".

Molti pensano che le frequentazioni 'borgatare' di Pier Paolo dipendessero dalla sua omosessualità, mentre invece quel che appare evidente dai suoi romanzi è il suo profondo amore per il popolo, per la gente più semplice e umile, per gli ultimi della società: non credi che quest'ambiguità serva a disegnare un ritratto deformato di Pasolini?
"Guarda, quel che posso dire è che quando si trasferì a Roma, nel 1954, a Monteverde, in via Fonteniana 86, lui veniva qui perché c'era il campetto da pallone, dove giocava a calcio sempre con noi. Nel frattempo, stava già scrivendo 'Ragazzi di vita' e ci stava studiando, soprattutto per il nostro modo di parlare e per quello che facevamo".

Infatti, nei suoi romanzi, il suo interesse sembra essere anche di tipo linguistico, come se fosse rimasto colpito da alcuni modi di dire romaneschi, del popolino, che si riallacciavano ai connotati culturali più autentici del popolo, mentre altre cose, se c'erano, risultano limitate e molto più private: è così?
"Confermo: lui con qualcuno della zona ci andava, ma erano quelli che proprio si vendevano: i 'marchettari', insomma. Lui qui non ha mai dato fastidio a nessuno: le sue 'cose' le faceva con un altro 'circuito' di persone".

Secondo te, Pier Paolo Pasolini è stato ucciso perché sapeva troppo?
"Certo".

E su cosa ti basi per affermarlo?
"Si possono formulare diverse ipotesi: quella che ritengo più 'regolare' è che lui fosse arrivato ai nomi dei mandanti delle stragi. Di conseguenza, il suo delitto si ricollega ai grandi misteri d'Italia, come per esempio quelli legati a Enrico Mattei, al petrolio e a tutti gli attentati che ci sono stati in quel periodo".

Spiegaci com'è andata: lui aveva letto un libro che gli aveva prestato un amico, vero?
"Sì, il libro si intitolava 'Questo è Cefis'...".

Si trattava di un'inchiesta che, a sua volta, si ricollegava alla 'strategia della tensione': dunque, Pier Paolo aveva intravisto uno Stato nello Stato?
"Esattamente".

Quindi, ciò inserisce anche la sua morte all'interno di quel filone di misteri italiani che vanno dal caso Mattei al rapimento e all'uccisione  di Aldo Moro?
"Sicuramente, è tutto collegato: si tratta di un unico disegno in cui, a questo punto, a me risulta chiaro che di mezzo ci sia la Cia. Anche ultimamente, gli americani hanno detto che sono stati loro a far uccidere Moro".

Molti pensano che quel capitolo scomparso di 'Petrolio', intitolato 'Lampi sull'Eni', sia effettivamente un elemento importante. Nelle mie inchieste giornalistiche di questi ultimi decenni mi risulta che tra i vari mandanti del massacro, oppure tra i vari 'strumenti' dei mandanti, vi fossero la Loggia P2 e alcuni servizi segreti 'deviati': c'è veramente qualcosa di massonico dietro al suo delitto?
"Sì, c'era anche la P2 dietro le 'quinte': sicuramente ha svolto un ruolo. La verità la sa Lico Gelli. Dato che ancora 'campa', perché non la vanno a chiedere a lui"?

Ma loro esattamente come si muovevano? Infiltravano uomini anche nelle colonne terroristiche, sia di destra, sia di sinistra?
"Sì, hanno infiltrato uomini ovunque, anche nelle Brigate Rosse. Alla fine, torniamo al discorso della Cia, che stava dappertutto".

Ma chi sono i veri mandanti, secondo te?
"La Cia, le sette sorelle e il 'cartello' petrolifero mondiale".

Il problema di Pier Paolo è stato anche quello di essersi trasformato, negli ultimi anni, in un personaggio politico molto impegnato?
"Basta andarsi a rileggere il suo fondo intitolato 'Il romanzo delle stragi', pubblicato sul 'Corriere della Sera' il 14 novembre 1974: quell'articolo è stato la condanna a morte di Pasolini".

E' vero che ci sarebbero delle testimonianze, da sempre messe a tacere, di alcuni di quei pescatori che abitavano nelle baracche dell'idroscalo, i quali averebbero sentito o visto qualcosa del massacro?
"Sì, è verissimo. Si tratta di una testimonianza raccolta da Sergio Citti da parte di un pescatore che in questo momento non ricordo come si chiama, il quale gli rivelò questa confidenza. Anche qui, però, appare 'strana' la posizione di Citti: alcuni giorni dopo l'omicidio, lui girò un filmato sul luogo del delitto, dove si vede un paletto di cemento divelto, perché la macchina che ha investito Pasolini, sbandando, ha urtato proprio quel paletto. Ciò avvalora la tesi di quell'Antonio Pinna che, il giorno dopo, ha portato la sua vettura in riparazione presso un carrozziere di Monteverde. La macchina che ha ucciso Pier Paolo, infatti, era quella di Antonio Pinna, anche se ciò non significa che sia stato lui a investirlo. A mio parere, lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, perché erano molto amici e si frequentavano assiduamente. E questo lo so perché Antonio Pinna era anche un mio amico".

C'è da dire che, in quegli anni, anche tra semplici conoscenti era usanza normale prestarsi l'autovettura...
"Certo, è molto probabile che sia andata così: ha prestato la macchina a qualcuno e tutto è stato fatto a sua insaputa".

Perché lo scrittore Alberto Moravia ha sempre sostenuto la versione dell'incidente? Non è possibile che, chi ha commesso il fatto, volesse solamente mettere in atto una spedizione punitiva, ma non intendesse uccidere Pasolini?
"Sono andati per ammazzarlo. Altrimenti, per quale motivo portare un'altra macchina? Moravia, con tutto il rispetto, insieme a coloro che hanno ruotato intorno a Pasolini, i cosiddetti 'amici', non hanno mai indagato: parlavano al momento opportuno, fornivano una loro ipotesi, ma niente di più".

E certamente non conoscevano le frequentazioni 'notturne' di Pier Paolo...
"Certamente, non le conoscevano. Anzi, ora dico una cosa molto importante, che mi ha sempre dato da pensare: quando Citti, 5 mesi prima di morire, verbalizzò davanti all'avvocato Calvi questo fatto dell'Alfa Gt ritrovata a via Tiburtina, che la Chiarcossi aveva già confermato più volte, fece vedere anche il suo filmato. Cosa accade? Accade che gente come me si è domandata: ma Citti non poteva farlo vedere prima, questo filmato? Perché anche lui ha atteso 30 anni per mostrarlo e riportare la confessione del pescatore che aveva visto tutto"?

Citti aveva già rilasciato un'intervista al 'Corriere della Sera', ma questa venne oscurata da Pino Pelosi, che fu ospite negli stessi giorni della trasmissione 'Chi l'ha visto?' raccontando la storia della Fiat 1500 targata Catania e avanzando, di fatto, l'ipotesi del delitto mafioso...
"Pelosi ha depistato le indagini: lo ha detto anche a me".

E perché lo ha fatto? Per questioni di visibilità personale?
"No, Pelosi ancora oggi ha paura. A me una volta ha raccontato (ed è stato anche grazie a questo che sono riuscito a 'ricucire' alcuni fatti...), che lui avrebbe "paura dell'Arma". Ma se tutto è logico, perché lui dice di avere paura dell'Arma? Questo vuol dire che non è vero che quella sera è scappato. Comunque, si tratta di cose che Pelosi non dirà mai pubblicamente: lui si limita a confermare molti fatti se prima questi vengono rivelati da qualcun altro...".

Tu cosa pensi di Giuseppe Mastini detto 'Johnny lo zingaro'? Perché ha sempre negato ogni suo coinvolgimento nell'omicidio?
"Anche quello è un mistero, perché ormai è opinione comune che quella notte a Ostia ci fosse anche lui".

Gli stessi fratelli Borsellino non hanno sempre dichiarato che fosse presente anche lui?
"Sì, ma Pino Pelosi dice che lui non c'entra niente. Poi, c'è stata anche un'analisi del Dna sugli oggetti ritrovati e pare che l'esito sia stato negativo, anche se nutro qualche dubbio sul metodo di prelevamento, che secondo me ha lasciato un po' a desiderare. Pare, infatti, sia stata usata una 'cicca' di sigaretta prelevata da un posacenere: e chi ci dice che quel mozzicone fosse veramente di Mastini? Magari, la sua l'hanno tolta e ne hanno presa un'altra, per fare il confronto. Insomma, si tratta di indagini poco chiare, fatte in modo pressappochista".

Non sei un po' 'complottista'?
"Può essere. Ma a differenza di altri, io corro volentieri il rischio di essere accusato di 'complottismo', perché ho sempre svolto le mie indagini, mentre altri non rischiano mai nulla: nessuno di loro ha mai fatto ricerche. Anzi, se qualcuno sapeva qualcosa, spesso e volentieri l'ha taciuta".

Perché tutti questi lunghi anni di silenzio, anche da parte dell'opinione pubblica, sulla morte di Pasolini? Si è voluto voltare lo sguardo da un'altra parte? Oppure, questa vicenda è sempre risultata piuttosto scomoda?
"Perché la verità non fa mai comodo a nessuno. E perché, se dovesse uscire, un giorno, tutta intera questa verità, mezza Italia che conta si troverebbe nella 'cacca' fino al collo. Si tratta di una verità che non fa comodo nemmeno alla sinistra. Non c'è stato solo il depistaggio della P2 o dei poteri occulti di questo Paese, oppure ancora quello dei vari servizi segreti 'deviati': questa è una vicenda che non torna comodo a nessuno. E' una questione 'scomoda', così com'era 'scomodo' lo stesso Pier Paolo quando era vivo...".

Graziella Chiarcossi ha sempre sottolineato che Pier Paolo non si toglieva mai gli occhiali. Dunque, il fatto che questi siano stati ritrovati nel vano porta-oggetti della sua auto non è la miglior indicazione che fu tratto di forza dalla propria vettura e da più persone?
"Di indizi chiari ce ne sono parecchi: intorno a questo caso, la verità considerata 'ufficiale' è completamente falsa. E' tutto falso. Torniamo, per esempio, al rapporti di Pino Pelosi con Pier Paolo: loro si conoscevano già da tre mesi. Tant'è vero che nel suo libro, Pino Pelosi lo ha anche scritto. Siccome, però, Pelosi ha sempre detto un mare di bugie, quando racconta una cosa vera è difficile capirlo, o crederlo. Tuttavia, nella mia relazione, il fatto che loro due si conoscessero già da un po', io l'ho rivelato almeno un paio d'anni prima di lui. Si tratta di una confidenza che mi fece un'amica della sorella di Pelosi, la quale mi raccontò che Pino e Pier Paolo si frequentavano da almeno tre mesi. In più, la famiglia stessa di Pelosi era contenta che il figlio frequentasse una persona come Pasolini. Ecco, dunque, la vera prova che quella sera c'è stata un'imboscata: quando avvenne il furto delle 'pizze' di Salò presso gli studi della Technicolor, attuato dai fratelli Borsellino, per puro caso, tra la refurtiva, capitò anche il film di Pasolini. Voglio dire: il furto non era 'mirato' contro il suo film. C'erano anche le pellicole di Damiani e Fellini. Fu per puro caso che, tra le altre, vi fosse anche la sua 'bobina'. Si trattava di un furto a scopo di estorsione, effettuato per chiedere un riscatto. Poi sono cominciati questi contatti telefonici, in cui vennero chiesti alla società di produzione cinematografica 800 milioni di lire e altre cifre assurde. Comunque, la Technicolor era disposta a pagare una cinquantina di milioni, ma poi questa trattativa, stranamente, è finita e questi soldi non sono mai stati versati. Probabilmente, dev'essere accaduto questo: chi di dovere, a un certo punto ha avanzato la seguente proposta: "Guarda, le bobine le riprendiamo noi. E il 'buffo' (il debito, ndr) che c'è da pagare a Tizio, che io non so chi sia anche se lo posso pensare, lo paghiamo noi...".

Quindi, è vero che Pelosi è stato utilizzato per attirare Pasolini?
"Sì: chi ha commesso l'omicidio era sicuro che Pelosi avrebbe portato Pasolini sul posto, perché quello era un periodo in cui loro due stavano spesso insieme. Tant'è vero che un primo appuntamento era andato a vuoto, poiché si voleva la certezza che Pasolini ci sarebbe andato. Quando hanno avuto questa certezza è scattata la 'trappola'...".

Chi ha controllato, o controlla ancora oggi, tutti questi personaggi che sembrano animare una sorta di macabro giuoco di società? La mafia? La destra eversiva? I servizi segreti deviati? La centrale di intelligence americana?
"I personaggi politici di una volta ormai non ci sono più, perché sono quasi tutti scomparsi. Comunque, la mia tesi è che abbiano agito i servizi segreti 'deviati', manovrati da alcuni elementi della Cia. Ecco perché c'è questa paura della verità: se un domani la Cia decidesse di rendere pubblica questa verità, vedrete che essa emergerà immediatamente. Anche gli amici di Pier Paolo, o perché minacciati o per quel che sia, qualcosa sapevano, ma non l'hanno mai detto. Per esempio, quando Pasolini si lasciò con Ninetto Davoli, un fatto per cui Pier Paolo soffrì molto e per il quale, in seguito, cominciò a frequentare Pino Pelosi, quando Ninetto seppe che Pasolini e Pelosi avevano questi incontri e si frequentavano, una volta prese da parte il ragazzo e gli chiese: "Lo sai chi frequenti? Guarda che si tratta di un personaggio 'grosso'. Mi raccomando: comportati bene". Dunque, anche Davoli, se questa cosa l'avesse rivelata prima avrebbe rimesso subito in discussione la tesi che Paoslini e Pelosi si fossero incontrati per la prima volta alla stazione Termini la sera stessa del delitto. Perché non l'ha detto prima? Secondo me, questi hanno 'strizzato' (hanno avuto paura, ndr) tutti quanti".

Quello era anche un periodo particolare: ogni volta che si seguiva un notiziario era come ascoltare un 'bollettino di guerra', non credi?
"Indubbiamente: lo ricordo bene anche io. Ma allora, se le cose stavano così, anche Sergio Citti perché ha aspettato 30 anni prima di rivelare certe cose? Perché probabilmente anche lui era stato minacciato".

Quanto manca Pier Paolo Pasolini alla vita politica e culturale del nostro Paese?
"Manca moltissimo, perché se c'era Pasolini molte cose sarebbero cambiate. O, per lo meno, sarebbero emersi altri intellettuali come lui, altri 10 o 20 sarebbero bastati. Lo stesso Giulio Andreotti, in alcune sue ultime interviste, dichiarò che "se avessimo ascoltato Pasolini, forse la Dc si sarebbe salvata...". Invece, la Dc lo attaccò, perché lui era riuscito a tirar fuori tutta la loro 'robaccia'...".

Pasolini aveva anche individuato Aldo Moro e Benigno Zaccagnini come due persone rispettabili della Dc, anche se poi era pessimista sul fatto che ciò sarebbe bastato a rimettere in movimento la situazione: forse, stava già intuendo quel che sarebbe accaduto in seguito con il rapimento e l'uccisione del presidente della Democrazia cristiana?
"Pier Paolo ci aveva preso in pieno. E' tutto collegato: ecco perché in molti si son messi paura. Pier Paolo era riuscito a fare una 'fotografia' perfetta... Lui, poi, aveva quel suo spazio sul 'Corriere della sera' da cui 'sparava' notizie contro tutti. Ancora nel febbraio del 1975, in un altro articolo molto noto, lui aveva addirittura ipotizzato un processo alla Dc. E a maggio di quello stesso anno aveva attaccato anche la televisione. Infine, a ottobre, un'altra denuncia clamorosa contro la scuola: stava toccando i punti nevralgici della questione...".
 
L'attacco alla televisione si collegava agli studi sociologici di alcuni intellettuali tedeschi, i quali parlavano di "sostituzione del pubblico televisivo" ed erano contrari a un utilizzo poco educativo e per nulla edificante del mezzo. Stava infatti prendendo piede un abbassamento qualitativo che rischiava di danneggiare anche il cinema. E non dobbiamo dimenticare che Pasolini era anche un regista cinematografico: Pier Paolo aveva forse intuito che la televisione avrebbe distrutto il cinema?
"E' così: in un altro articolo importante, lui aveva scritto che la televisione emana, di per sé, un qualcosa di spaventoso, peggiore del terrore, paragonabile a quello che facevano, in altri secoli, i Tribunali speciali dell'inquisizione. Nella tv c'è un qualcosa di simile allo spirito dell'inquisizione: una divisione netta, radicale, fatta con l'accetta, tra coloro che possono 'passare' e coloro che non possono. Può 'passare' solamente l'imbecille ipocrita, capace di usare frasi e parole che sono puro suono, oppure chi sa tacere, o tacere in ogni momento del suo parlare. Chi non è capace di questi silenzi non passa. Da una simile regola non si deroga. Ed è in questo, se provate a pensarci bene, che la televisione compie una discriminazione neocapitalistica tra 'buoni' e 'cattivi'...".

Cos'altro possiamo aggiungere intorno a questa vicenda?
"A questo punto, io vorrei mettere in evidenza anche la 'forza' di Pasolini: intendo proprio la sua 'forza fisica'. Pasolini era alto solo un metro e 67 centimetri e pesava 59 chilogrammi, ma era una 'scheggia': agilissimo. Quando da ragazzi si faceva, per giuoco, la 'lotta' contro di lui, in tre non si riusciva a 'vincere': ci volevano 4 persone per riuscire a immobilizzarlo. Una volta, in mia presenza e insieme a quella molti altri ragazzi qui sopra al monte di Splendore, dove a quei tempi ancora pascolavano pecore, capre e altri animali, lui si mise sotto una mucca e la sollevò, tenendola sulle proprie spalle. Ecco perché, sin da quella mattina in cui giunse la notizia di un omicidio commesso da un ragazzo di 17 anni, oltretutto da solo, a noi ci è sempre apparsa 'strana', irreale. In realtà, durante quell'agguato, Pelosi si rese persino conto che non si stavano rispettando i patti che erano stati presi in precedenza con lui e ha cercato d'intervenire in difesa di Pasolini. Ma i veri assassini lo hanno subito 'pestato', gli hanno rotto il naso, lo hanno minacciato e intimorito, convincendolo a farsi gli affari suoi "altrimenti ce la prendiamo anche con tuo padre, tua madre e tua sorella". La fase finale del delitto, Pelosi non l'ha neppure potuta vedere, poiché è stato trattenuto vicino alla macchina di Pier Paolo. Anche la dichiarazione della Chiarcossi di questi giorni è piuttosto tardiva: sembra quasi che qualcuno le abbia detto: "Graziella, adesso questa cosa della macchina ritrovata a via Tiburtina puoi dirla...". E' una cosa che dà da pensare: forse qualcosa si sta rimettendo in moto...".

A tal proposito, come giudichi il comportamento della Magistratura italiana, che più volte ha aperto e poi richiuso questo caso? Pensi che non sia mai riuscita a trovare 'appigli' indiziari?
"La verità è legata ad Antonio Pinna, ma nel febbraio del 1976, Pinna scompare. La sua auto viene ritrovata all'aeroporto di Fiumicino, ma di lui non si è sapito più nulla...".

Ma non è stato fermato per guida senza patente qualche anno dopo, nel 1979?
"Sì, ma poi è nuovamente scomparso e nessuno ha mai saputo perché. Nessuno ha mai neanche saputo che Pasolini e Pinna si frequentavano: questa è un'altra delle notizie che ho scoperto io. Tra il 13 e il 14 febbraio 1976 vengono arrestati i fratelli Borsellino, mentre Pinna sparisce pochi giorni dopo: il 16 febbraio. L'appuntato Sansone dei carabinieri, l'unico che ha realmente indagato sulla faccenda e che, quando era arrivato al 'cuore' della faccenda è stato allontanato, fece carcerare i Borsellino. Ma il giorno dopo scompare Antonio Pinna: qui qualcuno potrebbe anche pensare che si tratti di un caso, ma secondo me non è così. Ora, 'er Pecetto' ti dimostra che non è un caso, perché ho ricostruito la cosa domandandomi: come mai Antonio Pinna frequentava dei 'ragazzetti' come i Borsellino? Vado allora a incontrare un comune amico, mio e del Pinna, che aveva anche fatto parte della primissima banda della Magliana, ma che poi se n'era quasi subito distaccato, per sua fortuna e che, oggi, lavora onestamente e fa il gommista. Sono andato da lui e gli ho chiesto: "Senti, Franchino: ti risulta che Antonio frequentasse dei ragazzini"? Lui escluse la cosa: "Io l'ho sempre visto con persone adulte. Di tutti i tipi, se vogliamo, ma mai con ragazzi troppo giovani". Io allora ho insistito: "Nemmeno con i fratelli Borsellino"? E lui: "Aspetta un attimo: ricordo che, per un certo periodo, lui fu compagno di cella con un certo Borsellino, il quale poi si impiccò". "Ecco", replicai io, "si trattava del padre dei Borsellino". Ed ecco com'era nato questo rapporto. Anche questa cosa è frutto di una piccola indagine che ho svolto io e non altri, ai quali, evidentemente, è stato chiesto, con le buone o con le cattive, di restarne fuori. Come fu fatto con Pelosi".

Per vedere la video-intervista a Silvio Parrello cliccare QUI


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alfredo - italia - Mail - venerdi 27 novembre 2015 19.40
Questo è vero giornalismo. Un'intervista così su una testata nazionale non passerebbe mai, verrebbe assolutamente censurata. Grazie.
Eduardo - Roma - Mail - martedi 24 novembre 2015 18.58
Un mito!
Roberto - Roma - Mail - lunedi 23 novembre 2015 10.46
Un servizio molto approfondito e interessante. Grazie!


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