Vittorio LussanaLa caduta del muro di Berlino è stato un fatto storico fondamentale, che ha cambiato il mondo: da un equilibrio basato sulla paura della minaccia atomica, l'umanità si è inoltrata nel mare aperto della globalizzazione. Essa avrebbe dovuto rappresentare la vittoria definitiva della pace e della libertà. Una pace e una libertà che, nel 1989, si pensavano valori ormai acquisiti dopo un secolo, il XX, che aveva visto due guerre mondiali e milioni di morti in tutto il pianeta. Invece, così non è stato, perché alla globalizzazione è stato dato un significato distorto, equivoco, profondamente ingiusto. Non si è trattato affatto di un processo di 'apertura' alla fratellanza e all'armonia mondiale, bensì della sostanziale vittoria di una concezione omologativa schiacciante, che rischia di annullare ogni valore di diversità, di confronto, di incontro tra uomini e culture diverse in grado di 'fecondare' nuove idee e principi di convivenza pacifica. Sino a oggi ha avuto la meglio una concezione 'pseudoliberale', che ha finito col riproporre una società basata sul mero possesso delle cose, sulla ricchezza materiale, sull'irresponsabilità individuale, su un'accezione di concorrenza sleale e senza scrupoli, sullo sfruttamento dei più deboli, in particolare dei giovani e delle donne. E certi terrificanti 'miasmi' che si credevano definitivamente sconfitti dalla Storia hanno avuto un inatteso quanto insperato 'spazio di manovra', riproponendosi all'attenzione dell'opinione pubblica con le loro maschere di ferocia, ignoranza e bestialità. Nuovi razzismi, integrismi e xenofobie sono tornati all'ordine del giorno, andando a riempire gli spazi abbandonati non solo dagli schematismi ideologici totalitari, ma anche da quelle tradizioni basate su forme di identità culturale filosoficamente e scientificamente più equilibrate e razionali. La caduta del muro di Berlino ha sostanzialmente generato una società totalmente priva di identità, resuscitando le demagogie più false e contraddittorie, risvegliando i nazionalismi più inquieti e provinciali, rinfocolando i localismi più beceri e conservatori. Doveva nascere una società di cittadini del mondo e, invece, si è finito col riesumare i dinosauri più feroci dell'archeologia politica, come nel film 'Jurassic Park' di Steven Spielberg. In questi giorni di celebrazioni dei 25 anni dalla fine di un mondo diviso in blocchi contrapposti, da più parti si è detto e scritto che l'evento del 1989 avrebbe chiuso l'epoca delle appartenenze ideologiche. Ma ciò ha finito con lo scaraventarci tutti nell'abisso delle 'non identità', delle autoreferenzialità, di una pretesa oggettività tanto utopica, quanto irreale. Il crollo della dottrina marxista ha trascinato con sé tutte le altre culture e tradizioni filosofiche, politiche e culturali, persino quelle che al comunismo si contrapponevano, lasciando incredibili 'praterie' a una riedizione del vecchio e disastroso 'laissez faire', il quale ha ovviamente confuso l'individualismo con l'egocentrismo più edonista e narcisistico, oppure ha ridato 'fiato' a nazionalismi e localismi confusi e ormai fuori dal tempo. La fine delle vecchie tradizioni avrebbe dovuto generarne di nuove, dotate di un progetto più moderno di società, che fosse in grado di trascinare l'umanità intera al di fuori delle vallate infernali degli assolutismi, dei radicalismi utopici, delle ingiustizie e delle intolleranze. Non si tratta di una battaglia già perduta: la nascita dell'Unione europea può ancora trasformarsi in un primo tentativo di risposta finalizzata a garantire la pace e la fratellanza tra i popoli, svolgendo altresì un prezioso ruolo di equilibrio e di pacificazione in tutto il resto del mondo. Ma siamo ancora ben lontani dall'intravedere tali obiettivi di progresso civile, che nei giorni della fine della 'guerra fredda' ci erano apparsi praticamente a portata di mano. Non rimpiangiamo affatto i vecchi equilibri decisi a Yalta nel 1945. Tuttavia, pur nella sua assurdità, quell'equilibrio riusciva a imporre l'obbligo di adeguarsi a metodologie di compromesso che hanno spesso rappresentato una via d'uscita ragionevole da molti problemi e questioni, esaltando positivamente, a suo modo, il confronto dialettico democratico. Nel nuovo mondo globalizzato, invece, tale necessità di incontro e di confronto è divenuto un metodo marginale, o addirittura residuale, poiché si è scelta una forma di omologazione assoluta che trasforma la globalizzazione stessa in un dominio onnipotente, che compatta e schiaccia l'intera società. Infine, anche sotto il mero profilo politico dei singoli Paesi usciti dalla 'guerra fredda', si è spesso riprodotta all'interno quella stessa contrapposizione che si era tanto avversata all'esterno in quanto rigido metodo di coesistenza planetaria, senza minimamente tenere in considerazione che non tutti i popoli possedevano lo stesso grado di maturità democratica. L'infinita transizione italiana si è rivelata, per esempio, un processo tortuoso e disordinato, che non ha ancora trovato una propria soluzione razionale ed efficiente di alternanza democratica, basata su valori e presupposti condivisi. Insomma, tutto ciò che si era creduto essere un 'mezzo', l'inizio di una nuova era di libertà e democrazia, ha finito col trasformarsi in un 'fine' irrealistico, in un obiettivo difficilmente raggiungibile. Dopo il crollo del muro di Berlino abbiamo guardato l'orizzonte scambiandolo per un punto di approdo raggiungibile, mentre invece era solamente un sogno disperato, sempre uguale e sempre alla stessa medesima distanza di quando siamo partiti.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista sfogliabile 'Periodico italiano magazine (www.periodicoitalianomagazine.it)
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Marina - Urbino - Mail - mercoledi 12 novembre 2014 0.13
Infinitamente d'accordo con tutto ciò che lei ha scritto.


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