Sono oltre 1000 le
‘startup’ presenti, oggi, in Italia. Il termine inglese indica il ‘decollo’ di un’impresa, ossia il suo periodo iniziale, di ‘lancio’, la fase in cui si prepara tutto il necessario per essere pronti ad affrontare il mercato. Tra le nostre
1000 'startup' potrebbero celarsi, magari, aziende in grado di risollevarci dalle difficoltà economiche. Secondo l’ex ministro Passera: “L’Italia è diventato un Paese amico per chi voglia fare startup”. È davvero così? O persistono ancora difficoltà? Abbiamo intervistato
Claudio Anastasio, che ci ha raccontato la propria esperienza.
Anastasio è un ingegnere romano, ideatore della
‘Raccomandata Elettronica’, selezionata nell'ambito del progetto
‘Italia degli innovatori’ come
'Innovazione dell'anno' per il settore
‘Egovernment e servizi al cittadino’. Il nome scelto per il servizio è
‘tNotice’. Grazie a questa invenzione sarà possibile spedire e ricevere la raccomandata con un semplice ‘click’. Gratis, oltretutto. E tramite una nuova tecnologia, sempre brevettata da
Claudio Anastasio, il suo contenuto sarà certificato con valore probatorio. “Il nostro slogan è muovere la corrispondenza, non le persone”, afferma orgoglioso l’ingegnere, 40 anni, a capo dell’iniziativa imprenditoriale prossima al lancio. Tecnologia, avanguardia, internazionalizzazione e idee chiare sono la ricetta vincente per chi vuole fare startup in Italia. “Il nostro Paese è già pieno di belle idee”, precisa Anastasio, “ma non bastano per ‘partire’ sul mercato”. Questa intervista è rivolta soprattutto a quei giovani che hanno dei progetti nel ‘cassetto’, ma che ancora non hanno saputo realizzare per timore o inesperienza. Leggiamo insieme i consigli di chi ce la sta facendo e capiamone il perché.
Claudio Anastasio, come è nata l'idea di 'tNotice'?“Intanto il nome: deriva dall'inglese 'ting' e 'notice', letteralmente 'tintinnìo di avviso'. È una metafora per ricordare l'avviso di giacenza di una raccomandata. Ho scelto la forma inglese per dare una dimensione internazionale al concetto. Immagina “raccomandata elettronica” in francese o in tedesco, insomma. Non sarebbe stato efficace. Il modello nasce nel 2008. Da allora è iniziato tutto un lavoro di background. Fino ad arrivare a novembre del 2011. Nell'ultimo anno invece è stato fatto un lavoro di analisi, di raccolta dei dati di mercato. Perché un modello di brevetto, poi, deve avere anche una sua applicazione industriale”.
Siete stati i primi ad avere quest’idea?“Mi piace questa domanda, perché posso dire che all'inizio c'era il timore che il ministero dello Sviluppo Economico, il quale ha accorpato quello delle Poste e Telecomunicazioni, potesse creare qualche difficoltà. Quando ho depositato il copyright presso l'ufficio Marchi e Brevetti, il ministero dello Sviluppo, che controllava l'ufficio, aveva quindi una doppia veste: quella istituzionale con cui doveva controllare marchi e brevetti e quella di colosso delle telecomunicazioni. Avevo una 'suggestione' di conflitto. E 'interesse' era una parola 'grossa'. Non era avvenuta ancora la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni, che ci sarebbe stata solo nel 2011. Un caso fortuito, che non avrei potuto prevedere”.
Ma intanto il brevetto lo aveva depositato?“Lo avevo depositato, ma seguendo un'altra strada. La mia pratica, attraverso alcune convenzioni internazionali, era stata affidata in lavorazione alla Comunità Europea, in particolare a un ufficio spagnolo. Ha avuto questo percorso perché il ministero dello Sviluppo Economico, per lavorare le pratiche, ha facoltà di mandarle a uffici esteri per velocizzarne l'iter. E io sono contento che sia successo questo”.
Pensa di esser stato favorito, in questo modo?“Sì, perché poi è stato fatto un esame di merito, cui è seguita una motivazione scritta in cui quell'ufficio spagnolo ha specificato che, dopo una attenta analisi, questa applicazione della raccomandata elettronica non aveva eguali al livello europeo”.
E questo è stato il primo riconoscimento. Ma poi, in Italia?“Esatto: un primo riconoscimento, dopo poco più di un anno dalla partenza. E quando è arrivata in Italia questa risposta, il ministero non ha fatto altro che ratificarla, quindi concedere il brevetto, qualificandolo come brevetto 'forte'…”.
Ovvero?“Forte, in questo caso, non è un aggettivo qualificativo: si tratta di un brevetto che ha ricevuto un parere di merito a seguito di un’indagine approfondita. Se la supera, ecco che diventa 'strong', 'forte'. In pratica, ha una forte difendibilità come modello di business”.
A quel punto, la liberalizzazione imposta dall'Ue le ha dato il ‘la’ definitivo?“Beh, non è che il quadro sia ancora cambiato di molto. In Italia esistono numerosi operatori privati, che hanno il loro mercato ‘captive’. Ma ‘Poste’ rimane ancora un colosso con cui non puoi competere”.
Ma, allora, chi glielo ha fatto fare, se non si vedono margini di crescita?“Finché non ci sarà un processo innovativo, difficile mettersi in competizione: è chiaro che la strada preferibile, a questo punto, sia quella delle innovazioni tecnologiche. Pertanto, noi crediamo in questa idea e, altro punto fondamentale per emergere, crediamo in una visione internazionale”.
Cosa ha appreso dalla sua esperienza? E cosa vuol dire fare ‘startup’?“Sicuramente non è un percorso che vuol dire soltanto sviluppo, applicazione e avere una bella idea. L'Italia è piena di belle idee, siamo tra i più creativi al mondo. Pero, poi, tutto questo deve avere un processo strutturato su tanti elementi che devono costruire in fine un prodotto, una soluzione che catturi l'interesse, che sia capace di farlo, che sia credibile in questo, insomma. Il problema è proprio tirar su un modello di credibilità. E non è facile”.
Ripensando al percorso fatto, ricorda particolari difficoltà cui ha dovuto fare fronte?“La difficoltà è proprio quella di essere ‘startup’ in Italia. Da noi non esiste una cultura di ‘startup’. Per cui, ho dovuto dare uno ‘sguardo’ all’estero, per accrescere la mia preparazione in materia, per capire come funzionano certi modelli che, in questo Paese, non ci sono”.
Viste le difficoltà in Italia, consiglierebbe ai giovani che hanno delle idee di partire con una ‘startup’?“Si. A patto che abbiano una chiarezza di intenti. Poi farebbero bene a indirizzarsi verso un mercato di grandi dimensioni: la vocazione internazionale dev’essere presente. Infine, non da ultimo, focalizzarsi su una sola idea, un solo prodotto o un solo servizio capace di distinguersi dalla concorrenza”.
Quando partirete?“Salvo imprevisti, già adesso siamo nell'ultima fase della ‘startup’…”.
Cosa ci dice del certificato postale forense?“Questa è la parte più tecnologica e la più interessante. C'è una sentenza della Cassazione (la n. 10021 del 2005,
ndr) che, cambiando l'orientamento ufficiale, ha ribaltato l’onere della prova, rimettendolo al mittente, non più al destinatario, come accadeva in precedenza. Chi spediva una lettera, in pratica, prima non doveva provare alcunché. Col cambio di rotta stabilito dalla Cassazione, invece, in caso di giudizio, il mittente si vedrebbe costretto a inviare la raccomandata con una autenticazione davanti al notaio: un servizio che costa magari 70 euro. Tutto questo è folle. Oltretutto, se il giudice non ritiene necessario applicare la sentenza della Cassazione? Probabilmente, perderò il primo grado. Bene, passerò al secondo, dove potrei avere lo stesso trattamento. Arriverei così al terzo grado, in cui la Cassazione non potrà contraddirsi. E vincerei per ‘vizio’ il giudizio. E poi si ricomincerebbe daccapo. E prima che tutto finisca saranno passati 6 anni. Sempre che valga la pena, dal momento che i costi legali sostenuti non sempre valgono l'oggetto di causa”.
Quindi, il certificato postale forense risolverebbe la diatriba?“È l'unica soluzione possibile, al momento: consente di certificare non solo il valore legale della consegna, ma anche il valore probatorio in giudizio del contenuto e certifica che quanto ha inviato il mittente è esattamente quanto ha ricevuto il destinatario”.
Si violerà la privacy, in questo modo?“No: noi utilizziamo una tecnologia che ci consente di non violare la privacy”.
Bene: e questo è un altro brevetto?“Sì, esatto: è il secondo brevetto, anche questo ‘forte’. Anche questo ha subìto lo stesso processo dell’altro, passando per l'Europa e rientrando in Italia con la dicitura ‘strong’…”.
Perché ha scelto di muoversi all’interno dell’IT, l’Information Technology?“La decisione è stata semplice: non posso pensare che fra dieci anni ci sia qualcuno che utilizza carte e buste da lettere per inviare raccomandate. L’evoluzione tecnologica mi dice che questo non avverrà più: bisogna essere abili, oggi, ad anticipare gli eventi, sostenere l'innovazione e portarla a maturità”.
La capacità di innovare e innovarsi la considera fondamentale? L’idea, per esempio, di pubblicizzarsi attraverso ‘Ruzzle’ (al primo campionato italiano del gioco, ndr) facendo rintracciare il nome 'tNotice' sul quadrato della notissima applicazione, dimostra una costante ricerca di idee nuove, a ingegnarsi di continuo?“I dati di cui disponiamo ci hanno confermato che tramite i notiziari che hanno parlato di quell’evento, abbiamo avuto una copertura di 10 milioni di persone. Non male, soprattutto considerando che i nostri unici canali informativi sono il sito, Youtube e Facebook. Proprio sul profilo Facebook, a partire da quella manifestazione, abbiamo incrementato i ‘mi piace’: sono circa mille. Non molti, considerando quelli di altri grandi gruppi, ma abbiamo 1200 commenti. E questo è davvero particolare. Tutti quei ‘mi piace’ non sono semplici click, ma corrispondono ad altrettanti utenti che ci seguono e ci commentano: è confortante. Piace il contenuto ancor prima che il mercato possa esprimere il suo giudizio”.
Avete nuove idee in cantiere?“Si, molte, ma le stiamo frenando, perché altrimenti, a forza di aggiungere e testare, non si va mai sul mercato. Stiamo sperimentando delle nuove tecnologie, che mi auguro possano partire molto presto: vedremo…”.
Un esempio?“L’identificazione della persona tramite alcuni algoritmi. Per il momento, abbiamo fatto un campionamento su 5000 identità di 13 Paesi e 26 lingue diverse”.
Che vantaggi offre?“Quando ci si iscrive su un social network o su qualsiasi sito che offre servizi, la cosa più fastidiosa è l'inserimento dei dati personali. Oltretutto, non è detto che le informazioni inserite siano veritiere. Testeremo ancora questa tecnologia proprio con ‘tNotice’. Il nostro sistema è collegato a tutte le principali piattaforme utilizzate da milioni di utenti in tutto il mondo”.
Quindi su ‘tNotice’ non ci si registra?“Non è necessario: se si possiede un account attivo, per esempio su Twitter, non si deve far nulla”.
Invece, se non si ha niente, verranno richiesti i soliti dati ‘sensibili’?“No, nemmeno: bastano nome e cognome e riusciamo a identificare una persona ‘vera’ o se è francese, piuttosto che italiano. La nostra tecnologia innovativa 'indaga' in pochi secondi. E non sarà necessario attendere il messaggio di conferma via email: noi saltiamo tutti questi passaggi”.
La consegna della raccomandata come avviene?“Direttamente sulla mail, oppure, come stiamo pensando di fare a breve, sul telefonino. Un avviso di giacenza nella casella di posta dice che è arrivata una raccomandata e, se il destinatario vuole evitare la fila allo sportello, può andare a ritirarla sul nostro sito, gratuitamente e in pochi secondi. Può anche scegliere se accettare o rifiutare. Pochi sanno, infatti, che la raccomandata può anche essere rifiutata”.
E nel caso in cui il destinatario non voglia andare sul sito per scaricarla sul computer?“Trascorsi i 30 giorni di giacenza, il mittente deciderà se sollecitare nuovamente il destinatario tramite ‘tNotice’, oppure ricorrere al sistema tradizionale. Innovare è fondamentale, ma con la credibilità tipica della tradizione”.