Innanzitutto, dovrebbero dirci cosa si intende per giovani, dato che si tratta di un'unità di misura molto variabile. Per andare in pensione a 65 anni, oggi ti definiscono giovane e vogliono mandartici a settanta come scusa per non dirti che tutti i contributi che versi non te li vogliono affatto restituire sotto forma di pensione, ma praticamente il giorno in cui muori. Ti prendono per i ‘fondelli’ discutendo sull’Imu e sulle tasse che vogliono abbassare, ma hanno trasformato i versamenti e i contributi in una forma di tassazione indiretta. Premesso ciò, torniamo ai giovani. Sembra che si sia tali sino ai trent’anni. Dopodiché, come per incanto, quasi per effetto di una qualche miracolosa fonte della giovinezza, la gioventù stessa svanisce nel giro di pochi secondi, ricalcando i più elementari effetti speciali dei film horror, in cui un viso ti si aggrinzisce, le occhiaie appaiono all’improvviso, i capelli si incanutiscono e ti cadono. Et voilà! In 20 secondi sei diventato un vecchio decrepito, senza diritti, senza pensione e via così. Del resto, durante questa crisi non ci sono forse i nonni che mantengono figli e nipoti disoccupati? E’ giusto che ora siano i giovani, specialmente quelli tra i 25 ai trent'anni e senza titolo di studio, a mantenere i propri padri disoccupati. Il titolo di studio? Guai ad averlo. Anzi, dite che siete bifolchi e ignoranti! Il Governo, insomma, ha varato questa bella riforma di incentivazione per le aziende ad assumere giovani da sfruttare (a 600 euro al mese, defiscalizzando le aziende e con le contribuzioni a carico dello Stato: una sorta di partita giro, in quanto quest'ultimo praticamente verserà i soldi a se stesso e non li restituirà mai, bensì verranno contabilizzati). Bene, noi adesso vorremmo veramente sapere: un 35enne, un quarantenne o un cinquantenne che perde il lavoro, perché deve sentirsi escluso? Perché ora non si parla più di diritto al lavoro? Perché dovete spingerci per forza verso uno scontro generazionale?