Per comprendere i divieti assurdi che sono stati frapposti in materia di procreazione assistita dobbiamo rifarci a quel clima ipocrita e neo-bigotto che sembra ritornato in auge in tempi recenti.
Quella che doveva essere una legge tesa a fornire una norma chiara, in grado di soddisfare una domanda diffusa (si parla di molti milioni) di donne e di uomini che intendono diventare genitori anche ricorrendo a tecniche che la scienza ha reso possibili (fecondazione medicalmente assistita), si è trasformata in una lunga teoria di impedimenti. In molti casi privi di senso logico, incomprensibili, ridicoli.
La salute riproduttiva dell’essere umano, proprio grazie alla ricerca biomedica può essere in grado di rispondere ad una richiesta, un desiderio di procreazione.
Si tratta di fornire una legge, degli efficaci regolamenti affinché questa speranza possa essere – nella tutela dei diritti di tutti, ovviamente correttamente definiti – soddisfatta.
Ecco invece tornare a galla un revanscismo di stampo neo-guelfo, nutrito di pelosa sottocultura dei vizi privati e delle pubbliche virtù, in cui, con una raffica di ‘divieti’ si mira ad una oggettiva limitazione delle libertà.
Il riflesso è identico e parallelo alle vicende delle cellule staminali, della libertà di ricerca, di tutte le questioni etiche che si tenta di riproporre nella logica di un neo-clericalismo mascherato di presunti valori.
Chi pensava di aver conquistato le condizioni di un confronto senza intolleranze deve ricredersi.
Scrive Chiara Lolli: - “…Il 18 giugno 2002 la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge sulle norme in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA) dopo lunghe e accese discussioni che vanno ben oltre le questioni ‘tecniche’ della fecondazione assistita. È una legge in cui i divieti sono numerosi, una legge che spinge l’intervento dello Stato ben oltre i limiti disegnati dalla libertà individuale, e che cancella (invece di regolamentarlo) il diritto di scegliere se, come e quando avere un figlio nel caso in cui tale scelta possa essere soddisfatta solo ricorrendo alla procreazione medicalmente assistita. Una legge ambigua, che nega la fecondazione eterologa ma non si pronuncia sull’eventuale punibilità per coloro che aggirerebbero tale divieto recandosi all’estero. Una legge che riconosce la sterilità come una malattia e dunque il rimedio (la procreazione medicalmente assistita) come un carico che lo Stato deve accollarsi, ma eroga fondi ridicolmente inadeguati, aprendo alla più bieca discriminazione, quella economica: il diritto di avere un figlio diventa correlato alla condizione economica dell’individuo. È una legge, infine, confusa e inconcludente dal punto di vista terminologico…”.
Assolutamente da sottoscrivere. Il testo approvato alla Camera è una penosa scia di divieti.

No alla fecondazione eterologa. Possibile soltanto quella omologa, in cui cioè vengono utilizzati seme ed ovulo della stessa coppia. Divieto invece per la eterologa, che richiede il ricorso ad un donatore esterno.
No a single e omosessuali. Possono accedere alla procreazione medicalmente assistita le coppie di adulti maggiorenni, di sesso diverso, in età potenzialmente fertile, coniugate o conviventi. Via libera quindi alle coppie di fatto, disco rosso invece per quelle di omossessuali e per i single.
No alla sperimentazione sugli embrioni. E' possibile la ricerca clinica e sperimentale solo a fini terapeutici e diagnostici collegati alla tutela della salute dell'embrione stesso, e quando non siano disponibili metodi alternativi.
Limiti alla produzione di embrioni. Non potrà essere prodotto un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico impianto e comunque non superiore a tre. Vietata la riduzione di embrioni nelle gravidanze plurime, fatti salvi i casi previsti dalla legge sull'aborto.
No alla clonazione. Vietati anche tutti gli interventi diretti ad alterare il patrimonio genetico dell'embrione o del gamete.
No al congelamento e alla soppressione di embrioni. Vietato congelare e sopprimere embrioni, fermo restando quanto stabilito dalla legge sull'aborto. Per quelli congelati prima dell'entrata in vigore della legge, il ministero della Salute dovrà fissare modalità e termini di conservazione.
Obiezione di coscienza. Medici e personale ausiliario potranno astenersi dal praticare la fecondazione artificiale quando sollevino obiezione di coscienza, da comunicare entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge.
Sanzioni. Solo amministrative per i medici che applicano la fecondazione eterologa o ai soggetti non ammessi dalla legge (minorenni, single, omossessuali), con la possibilità di sospensione dall'esercizio della professione variabile da un minimo di un anno ad un massimo di tre. Nessuna punibilità invece per coppie o singoli. Carcere da dieci a venti anni ed interdizione perpetua dalla professione per i medici che attuano la clonazione; reclusione da un anno a tre per chi realizza, organizza e pubblicizza la commercializzazione di gameti ed embrioni o la surrogazione di maternità. Carcere anche per chi applica la sperimentazione sugli embrioni e ricorre al congelamento e alla soppressione.

Chi può mai credere che un simile impianto possa risultare utile alla regolamentazione di una materia così complessa ma così sentita?
Facciamo un esempio specifico che ben illustra tutta la fragilità e la confusione dell’impianto normativo approvato: la sezione della legge sulla PMA ‘Misure di tutela dell’embrione’ (capo IV) contiene specificamente le direttive per la protezione degli embrioni.
L’art. 13. (Sperimentazione sugli embrioni umani) dice:
1. È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.
2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.
Il comma 1 vieta la possibilità di fare ricerca sugli embrioni umani. Tale divieto, di per sé suscita accese critiche da parte di coloro i quali considerano la sperimentazione sugli embrioni umani irrinunciabile a fini terapeutici e diagnostici; è ambigua sul piano terminologico, e soprattutto è in contraddizione con il comma 2. “La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso”.
Vorrebbe dire che la sperimentazione sull’embrione x è consentita se e solo se tale sperimentazione è a vantaggio dell’embrione x ? Oppure, più ragionevolmente, vuole intendere che la sperimentazione su ciascun embrione è consentita a patto che le finalità terapeutiche e diagnostiche perseguite siano a esclusivo vantaggio della classe degli embrioni (escludendo tutti gli altri esseri umani) ?
In questo caso il divieto (o meglio la restrizione) della sperimentazione sarebbe motivato da una sorta di interesse di casta, da una pretesa di egoismo che vuole limitare gli utili a coloro che hanno rischiato. Sono gli embrioni a correre i rischi di prestarsi alla sperimentazione, dunque saranno gli embrioni gli unici a goderne gli effetti (anche se saranno embrioni diversi da quelli su cui si è sperimentato). Non è una questione di preservare i diritti di qualcuno: la sperimentazione sugli embrioni non sarebbe vietata perché violerebbe il diritto alla vita degli embrioni, così come la sperimentazione sugli esseri umani non consenzienti è vietata (è escluso che un embrione possa manifestare il proprio consenso), ma sarebbe vietata se si ponesse finalità terapeutiche e diagnostiche volte a tutelare l’intera umanità e non la sola classe degli embrioni. Il permesso accordato nel comma 2 (è consentito compiere y) contraddice il divieto del comma 1 (è vietato compiere y): al divieto assoluto, segue una restrizione della possibilità di sperimentare. La soluzione di tale contraddizione, naturalmente, risiederebbe nel rifiuto di uno dei due commi; ma ammettendo che la legge intendeva affermare proprio ciò che ha affermato, l’unica possibile interpretazione risiede nell’attribuirle un invito celato all’ipocrisia. L’argomentazione subdola avrebbe questo andamento: la sperimentazione è vietata; la sperimentazione è però concessa se avviene a fini terapeutici e diagnostici (tale finalità costituisce una eccezione ammissibile al divieto); la sperimentazione, è ovvio, può fallire (nel caso in cui gli embrioni sono danneggiati o non sopravvivono), ma è un rischio inevitabile di tutti gli avanzamenti scientifici.
In base a questa argomentazione, il diritto di svolgere la ricerca scientifica sembra doversi intendere più forte del diritto dei concepiti alla vita e all’integrità, ma nella legge non c’è traccia di una simile considerazione. Inoltre c’è una interpretazione ancora più grave e perbenista (Neri, 2002): “Siccome chiunque sa che tecniche così sofisticate come quelle che consentirebbero di intervenire sul singolo embrione a fini realmente terapeutici non possono sorgere nelle mani dei ricercatori per una sorta di miracolo, ma richiedono una lunga sperimentazione prima di poter essere dichiarate sicure e testate, allora ciò che questa legge sta dicendo è questo: lasciamo che altri facciano il «lavoro sporco» sperimentando sugli embrioni; poi, quando metteranno a punto tecniche affidabili, noi le utilizzeremo per i nostri «pazienti»”.
Nella successiva lista di divieti (comma 3, a-d) compare la proibizione della manipolazione genetica positiva:
b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;
Senza entrare nel merito del dibattito sulla moralità o sulla immoralità della manipolazione genetica positiva o sulla conseguente necessità di vietare il ricorso a interventi genetici ‘migliorativi’ e non soltanto terapeutici (Bacchini e Harris 2002), mi basta in questa sede sottolineare la difficoltà di distinguere gli atti terapeutici da quelli meramente migliorativi (sui cui peraltro grava lo spettro dell’eugenetica). Se è agevole definire come intervento squisitamente terapeutico la correzione a livello genetico di una grave malattia (la Sindrome di Down, oppure la Talassemia major, ad esempio), è più difficile in casi più sfumati: l’incremento di intelligenza o di forza muscolare è evidentemente un intervento soltanto migliorativo? L’aumento della resistenza immunitaria o il rimedio della calvizie dove devono essere collocati?
Sembra ragionevole ammettere che una possibile soluzione consisterebbe nell’individuare una soglia di normalità, soddisfatta la quale gli interventi da terapeutici diventano migliorativi. Quali sono i criteri per stabilire la soglia di normalità, da utilizzare come spartiacque tra interventi terapeutici e migliorativi? La questione non è semplice, soprattutto alla luce della difficoltà di offrire criteri soddisfacenti per definire la normalità, la salute e la patologia, e della opinabilità e parzialità di tutti i criteri possibili.
Il clima dicevamo è tutt’altro che positivo. Tutti i segni sembrano convergere verso una rinascita di atteggiamenti palesemente votati a vietare, vietare, vietare. Una logica che trova sul fronte della ricerca genetica la medesima odiosa resistenza.
È un fronte che i laici non possono abbandonare. Occorre denunciare come un fatto gravissimo, il voto con il quale il Senato e la Camera dei Deputati, hanno approvato un testo che, se fosse confermato nella lettura definitiva, escluderebbe dalla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche qualsiasi procedimento e tecnica riguardante le cellule staminali embrionali umane, anche quelle ottenute con la tecnica del TNSA (Trasferimento Nucleare di cellule Staminali Autologhe) prevista dal Rapporto Dulbecco.
L’approvazione di una tale impostazione – che è assai più restrittiva della direttiva comunitaria che l’Italia è chiamata a recepire - impedirebbe al nostro Paese di competere internazionalmente sul fronte della ricerca scientifica togliendo a milioni di cittadini italiani la speranza concreta di cura e guarigione in un futuro che appare sempre più prossimo.
Guai a mollare sul principio della laicità dello Stato. Garantire il rispetto dell’art. 33 della Costituzione secondo il quale: “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”, è assolutamente un atto politico irrinunciabile.


Direttore dei "Quaderni Radicali"
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