All’alba della XIV legislatura il Parlamento italiano si ritrova dinanzi agli irrisolti problemi causati dai flussi migratori, per troppo tempo regolamentata dalla “legge Turco-Napolitano" inadeguata a gestire tale fenomeno. Il problema però non ha una matrice esclusivamente italiana, esiste da sempre ed è largamente condiviso dal resto del globo: basti pensare ai flussi migratori verso alcuni Paesi dell’estremo oriente asiatico, dell’America del Nord, dell’Europa (in particolare, Spagna, Inghilterra e Germania) e non ultimo dello stesso Sud Africa. L’accentuarsi dello stesso fenomeno, cresciuto parallelamente al velocizzarsi della comunicazione globale, ha toccato i suoi picchi più alti col definitivo affermarsi di quel modello occidentale troppo spesso identificatosi in una “Città del Sole” da raggiungere ad ogni costo. Mi asterrò dall’esame dei dati quantitativi e prettamente aritmetici, essendo sufficiente, al fine della percezione del problema, fare una passeggiata per le strade di Milano, Firenze, Roma, Napoli, Torino. L’approccio d’analisi più corretto consiste nell’affrontare il problema abbandonando con coraggio ogni posizione di tipo sentimentale e quindi nella presa di distanza dalle infinite leggende metropolitane, di cui tale fenomeno già da tempo rimane vittima, e che vorrebbero ridurlo ad una classica querelle del tipo “destra-sinistra”, o ancor peggio, “razzisti-non razzisti”. Tra le leggende una tra le più comuni è quella che sostiene che l’importazione di manodopera straniera sia un escamotage per risanare gli esausti fondi delle casse pensionistiche italiane, teoria che si confuta da sé: 1,5 milioni di extracomunitari ufficialmente presenti in Italia, 450 mila quelli con una posizione Inps, il che non significa che l’aver avuto una posizione Inps vuol dire continuare ad averla e quindi “contribuire”. Dunque, questa strategia se funzione porta con sé una goccia di liquidità ma sicuramente rimane ben lungi dal costituire un “risanamento”. Inoltre c’è da rimanere perplessi circa l’ipotesi che la manodopera importata possa essere selezionata a priori rispetto al grado di specializzazione, sarebbe curioso vedere come sapranno gli Uffici Consolari trasformarsi in terminali di un gigantesco Ufficio di Collocamento senza contare che, se l’obiettivo è quello di aiutare i Paesi di origine di questa manodopera a svilupparsi in loco, sottrargli il personale migliore è a dir poco contraddittorio. La chiave di volta è però insita nei fattori sociali che si generano nell’incontro-scontro tra la comunità ospitante e gli immigrati. E’ facilmente constatabile infatti, come spesso l’arrivo degli “stranieri” sia percepito dalla comunità ospitante con sentimento negativo che a volte diviene vero e proprio rigetto. Ciò succede quando gli immigrati sono avvertiti come pericolo, a determinare tale sentimento concorrono più fattori: l’eccessivo divario tra due culture, un alto numero di stranieri in entrata in un arco di tempo concentrato, e non ultima la percezione che lo straniero può avere di sé e dei suoi simili. Questo rigetto non avviene se l’incontro fra le due entità sociali non degenera in uno scontro e si innesca , quindi, il processo di integrazione dell’”altro” nel “noi”. Lo Stato deve fungere da filtro per diluire le differenze, dando allo straniero stesso una percezione di sé come parte integrabile alla realtà sociale nella quale approda. Una integrazione in tal senso è possibile con il raggiungimento dell’equilibrio di tre variabili: numero, spazio, tempo. Un numero eccessivo di immigrati in un contesto spazio-temporale limitato non favorisce l’assimilazione di queste persone da parte della comunità ospitante. Al contempo, la stessa comunità emigrante tende a ghettizzarsi, favorendo la logica del gruppo e assumendo atteggiamenti di chiusura verso lo stato ospitante. L’Italia è il Paese d’Europa con la densità più alta di popolazione; continuare a costipare persone sul nostro territorio, senza saper offrire loro una adeguata accoglienza, una seria offerta di lavoro, di crescita, di integrazione è solo un modo ipocrita e poco rispettoso sia per gli Italiani che per gli stranieri di risolvere il problema. L’Italia deve saper trovare un equilibrio fra le tre variabili per dar vita ad una politica della “giusta emigrazione” che abbia come obiettivo primario una emigrazione giusta, che sappia cioè, in un tempo dato, quante persone possono entrare sul territorio italiano, dove e come collocarle. In tal modo avremmo tassi più confortanti sia per l’immigrazione che per l’economia. E’ sempre valida la lezione di Sofocle che per bocca di Pericle fa dello straniero una ricchezza e non più un barbaro. Ma Atene viene riconosciuta scuola dell’Ellade perché oltre a percepire lo straniero come pluralità di cultura e di sapienza, lo sa accogliere ed integrare. Non possiamo dire che l’Italia, in questo, faccia scuola al Mediterraneo.



Vicepresidente Commissione Affari Esteri e Comunitari
Camera dei Deputati
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