A San Donnino in provincia di Firenze vive la più consistente comunità cinese d'Italia. A Don Momigli, parroco del paese, che si è dedicato profondamente ai molti problemi di qusta comunità, abbiamo chiesto la sua testimonianza.

I cinesi, nell’area fiorentina, sono la comunità straniera numericamente più consistente e quella che, nell’ultimo decennio, ha avuto l'incremento più alto. Basta pensare che all’inizio degli anni novanta in provincia di Firenze, compresa Prato, si parlava di 3/4000 cinesi, mentre adesso alcune stime parlano di oltre 30.000. Relativamente all’area fiorentina, dove si stimano oltre 15.000 presenze, la comunità cinese è insediata geograficamente lungo la direttrice Firenze-Prato-Pistoia, nei comuni di Campi Bisenzio, Firenze, Sesto Fiorentino. Quella cinese è una comunità che presenta particolari e sviluppate capacità imprenditoriali (pelletteria e ristorazione a Firenze; abbigliamento a Prato) è anagraficamente giovane e molto composita, formata da diversi nuclei familiari estesi e non solo da parenti di primo grado, con un'alta presenza di minori. Parlare di questa complessità comunità, ma da quale angolazione? Guardando alle problematiche attualmente presenti nella comunità cinese ed a quanto in essa si muove (alla forbice sempre più larga fra persone e gruppi affermati e ricchi e persone e gruppi che vivono ai margini ed in condizioni più che precarie; lo sfruttamento di alcuni nei confronti di altri; la questione dei bambini; ecc.)? Guardando ai rapporti che questa comunità ha, o che sarebbe opportuno avesse, ricercasse, con la popolazione locale? Ai rapporti che la popolazione locale (ed in primis le istituzioni e l’associazionismo) ha, o che sarebbe opportuno avesse, con essa? Basandosi sui soliti slogan, negativi o positivi che siano (“lavorano e non danno noia a nessuno”; “non muoiono mai”…)? A differenza di quanto normalmente avviene, ritengo che le dinamiche siano così complesse e tra loro fortemente interagenti da richiedere una riflessione ed una lettura globale, non isolando le singole tematiche, ma guardandole avendo sempre una visione d'insieme. Così come ritengo serva una riflessione seria e compiuta che collochi l’immigrazione cinese nell’ambito del complessivo fenomeno migratorio. Ecco perché mi permetto, pur schematicamente, di riproporre alcuni concetti chiave maturati in questi anni. Anzitutto, mi sembra importante rilevare la profonda differenza che esiste fra il sentire e l'interpretare ed il proporre di chi legge le dina-miche sociali, comprese quelle legate all'immigrazione, solo sulla base di qualche studio, di alcuni dati sta-tistici, di qualche testimonianza ed il sentire, l'interpretare e l’operare di chi vi-ve tutto questo in prima linea. C'é addirittura differenza fra chi, pur in prima linea, svolge un servizio in un ambito particolare (associazione di immigrati; scuola, sportello informativo; ecc.) e chi si trova contempo-raneamente e costantemente in rapporto con una specifica popolazione locale e con una particolare comunità (o più comunità) di immigrati, dove tutti chiedono che siano riconosciute ed affrontate le loro problematiche, presentano le loro necessità e rivendicano i loro diritti. L'esperienza vissuta in questi anni a San Donnino, con le sue varie ed alterne vicende, mi sembra sia anche la dimostrazione di quanto sia dannoso, per la costruzione di una ve-ra e positiva convivenza, analizzare, valutare ed affrontare le dinamiche legate alla complessità dell’immigrazione guardandole solo dal punto di vista degli immigrati o solo dal punto di vista della popolazione locale. Questa lettura, oltre ad essere riduttiva e fuorviante, alla prova dei fatti non serve né a salvaguardare la popolazione locale dalle problematiche derivan-ti dal fenomeno migratorio, né a tutelare gli immigrati; soprattutto non serve, ed è addirittura dannosa, a costruire una positiva società multietnica e interculturale. Sono convinto che quando si opera a favore di particolari fasce della popolazione, comprese le persone immigrate, sia necessario aver sempre presente l’intera comunità, la crescita dell’intero contesto sociale. Questo significa che le iniziative, anche quando sono necessariamente mirate e settoriali come ad esempio i corsi di alfabetizzazione, debbono essere sempre viste e vissute come servizi all’intera comunità. Quello che sembra mancare, ad esempio, non sono gli interventi nei confronti della comunità cinese, ma l'assunzione di una politica unitaria che abbia un unico obiettivo e che sia capace di coordinare i vari soggetti e i diversi interventi, nonché di articolarsi in relazione alla specificità delle situazioni locali e delle varie fasi storiche, tenendo conto della concretezza della situazione: dalle caratteristiche del territorio alle dinamiche culturali, sociali ed economiche presenti in esso. Solo in questo modo le scelte e gli interventi per e nei vari ambiti -come la scuola, la sanità, il mercato del lavoro, ecc.- possono essere concreti, efficaci e positivi per l’intera comunità locale, composta -non dimentichiamolo mai se si vuol realmente lavorare per un’effettiva interazione e per la costruzione di una positiva convivenza- da popolazione locale e da immigrati. Superando i vari stereotipi, occorre imparare a guardare alla comunità cinese nella sua globalità e per ciò che essa concretamente è nel nostro contesto, sia nei valori e nelle esperienze di cui è portatrice, sia in quei fenomeni che rendono pesante il rapporto interno ad essa (criminalità, clandestinità diffusa, sfruttamenti di vario genere, ecc.). Non dimentichiamo che molti dei disagi e delle ingiustizie vissuti dagli immigrati, anche nell’ambito della comunità cinese, e da alcune fasce della popolazione locale, sono in larga parte derivanti dalla nostra culturale e strutturale inadeguatezza ad affrontare con la ne-cessaria apertura mentale ed un effettivo realismo le questioni che nascono dall'articolato e complesso fenomeno migratorio. Fenomeno che viene troppo spesso visto ed affrontato con un approccio emotivo (sia in positivo che in negativo) e con una visione solo assistenziale, e per ciò stesso strutturalmente incapace di accompagnare e sostenere un vero processo di inserimento e di integrazione. Se il dibattito non riesce a fare une vero e proprio salto di qualità culturale e politica, difficilmente potremo assumere le problematiche legate ai processi migratori in tutta la loro complessità, così come difficilmente riusciremo ad andare oltre le vicende che ci toccano più direttamente ed emotivamente, con la certezza che nel frattempo fenomeni che appaiono fisicamente più decentrati, ma non per questo meno preoccupanti (e quello della comunità cinese ne è un esempio), continuano a consolidarsi, divenendo ancora più pericolosi per l’intero contesto sociale ed economico di quanto lo siano quelli sui quali oggi si concentra quasi esclusivamente la nostra attenzione. Salvo poi, quando la questione si presenterà in tutta la sua dirompente valenza andando oltre i singoli ed eclatanti episodi, scambiarsi accuse (a livello politico) o fare campagne di stampa, senza neppure rendersi conto che fino a quel momento né l’occhio della politica né quello dei mass media era stato capace di andare oltre l’evidente ed il già conosciuto. Per problemi di spazio non è possibile addentrasi in questioni nodali, quale la necessità di una concreta programmazione dei flussi migratori da realizzarsi anche a livello territoriale o della necessità di andare oltre i confini comunali, attuando quella che potremmo chiamare solidarietà istituzionale, per governare un fenomeno come quello migratorio che, per natura sua, non ha confini. Voglio concludere ribadendo che nell’affrontare le questioni legate ai processi migratori, occorre ripensare profondamente le modalità di approccio e quelle di intervento ed operare osando un “progetto di società” che abbia alla base il concetto di interculturalità e di inte(g)razione sociale e che sappia coniugare principi e concretezza, progettualità ed emergenza, solidarietà e responsabilità.



Parroco di San Donnino
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