Vittorio LussanaLa questione centrale che continua a sottendere l’attuale dibattito intorno all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è sostanzialmente una: il nostro capitalismo ‘interno’ e i nostri grandi manager e imprenditori non sanno e non vogliono fare impresa se non andando a ridurre fino allo stremo il costo del lavoro. Al fine di generare nuove forme di investimento pubblico occorrerebbe, innanzitutto, una nuova classe politica che venga messa nelle condizioni di poter decidere speditamente le grandi riforme strutturali da mettere in cantiere. Ciò, tuttavia, come anche il recente passato ha dimostrato, può favorire corruzioni e corruttele, spartizioni e operazioni di autentica ‘pirateria’ finanziaria. La verità, dunque, è che possediamo un ‘sistema – Paese’ che proprio non vuol mettere sul ‘tavolo’ del denaro di tasca propria, poiché conosce e applica, quasi esclusivamente, la metodologia del cercare di trarre extra-profitti dalle grandi iniziative pubbliche, vera e propria causa di fondo del tracollo della prima Repubblica. In quest’analisi, naturalmente sono escluse le piccole e medie imprese italiane, le quali, invece, da decenni dimostrano un coraggio a dir poco encomiabile nel loro voler rimanere a tutti i costi sui mercati, nonostante le cicliche fasi di crisi congiunturale. Ma senza una classe politica più attenta e preparata ai bisogni di consumo del ceto medio, una grande riforma strutturale del mercato del lavoro, di cui il nostro Paese avrebbe veramente bisogno, non si potrà fare mai, semplicemente perché non conviene a nessuno. Allo stato, nessun politico può permettersi di prendere decisioni coraggiose, in particolar modo contro determinati settori e corporazioni. Inoltre, nessuna grande azienda italiana se la sente di investire danaro se non viene messa nelle condizioni di ricavarne fortissimi extra-profitti, come dimostrato negli anni scorsi dallo scandalo delle General Contractor, che si sostituivano allo Stato percependo fondi pubblici - spesso utilizzandoli solo parzialmente - rendendosi penalmente irresponsabili di ogni eventuale dissesto. E così ci ritroviamo, oggi, ad aver speso, per la costruzione di una nuova rete ferroviaria ad alta velocità, 4 volte di più della Francia, una nazione 3 volte e mezza più estesa dell’Italia. In ogni caso, le vicende della cosiddetta seconda Repubblica hanno dimostrato, inconfutabilmente, che non solamente il centrodestra, ma l’intera classe politica italiana non è minimamente in grado di approcciare una benché minima operazione di rilancio del nostro ‘sistema-Paese’. Che gli esponenti del centrodestra non siano mai stati capaci di guardare al di là del proprio naso fa il paio con un conservatorismo di sinistra che non si rende conto di bloccare ogni genere di ‘dinamizzazione’ della società. Fondate giustificazioni ve ne sono da una parte e dall’altra: da una parte, non ha del tutto torto chi cerca di far comprendere che ogni sistema capitalistico, di qualsiasi Paese o di qualsivoglia regime, non può continuare a tollerare una sorta di dittatura delle maestranze e una linea di sviluppo economico sostanzialmente dettata dai sindacati; dall’altra, con qualche fondamento si sostiene che approcciare una riforma del mercato del lavoro partendo dall’articolo 18 è un po’ come pretendere di ristrutturare le fondamenta di una casa cominciando dal ‘caminetto’. Sono queste le due tesi che si stanno scontrando, ormai apertamente. Ma si tratta di un ‘guado’ dal quale l’Italia non riuscirà a trarsi fuori, almeno fin quando non comprenderà pienamente l’esigenza di dover ridisegnare un nuovo modello di società, nuove regole di sistema e nuovi valori condivisi.




Direttore responsabile di www.laici.it e www.periodicoitalianomagazine.it
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Carlo Cadorna - Frascati - Mail Web Site - lunedi 26 marzo 2012 20.35
L'esperienza insegna che in Italia le riforme si possono fare soltanto quando siamo sull'orlo del burrone; come adesso.
Sbaglia perciò il governo a dire che le cose vanno meglio: anche perchè non è vero! Questo governo doveva presentare le riforme tutte insieme e per decreto legge.


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