L’On. Alfonso Gianni, è parlamentare ed esponente di spicco del Partito della Rifondazione Comunista.

On. Alfonso Gianni, proprio in questi giorni il suo partito ha rilanciato un ritorno al sistema elettorale proporzionale: crede che ciò possa risultare utile ad una grande riunificazione della sinistra italiana?
“Dal punto di vista elettorale, credo proprio di no. Anzi, il ritorno ad un sistema proporzionale eviterebbe il ricorso forzato ad alleanze e, dal punto di vista politico, significherebbe il ritorno ad un principio di rappresentanza che chiarirebbe tante cose: ogni elettore sceglierebbe, infatti, il proprio partito e solo successivamente quest’ultimo può decidere la coalizione che ritiene più opportuna”.

Cosa ne pensa dell’ipotesi di scissione dell’ala liberal dei Ds per formare una nuova forza laica e riformista che si ponga proprio al centro dello scacchiere politico attuale? E’ pura fantapolitica?
“Non è un argomento che ci riguarda strettamente, poiché non siamo soliti partecipare ai processi interni degli altri partiti. Anche quando si parlò di un partito del lavoro sotto la leadership di Sergio Cofferati, noi non esprimemmo né favore, né contrarietà. Se poi volete a tutti i costi una mia previsione personale, non vedo grandi spazi per operazioni riformistiche al centro…”.

Lei si ritiene un massimalista o un riformista?
“Possibilmente, vorrei evitare entrambe le definizioni: nell’epoca della globalizzazione, quale quella che stiamo vivendo, vi è una compressione obiettiva degli spazi riformistici, che invece erano stati validi per tanti decenni del secondo dopoguerra. Con ciò non voglio dire che il riformismo sia morto, ma che esso non goda certamente di buona salute. Questo non significa, tuttavia, che non ci sia la possibilità di raggiungere degli obiettivi parziali e che, quindi, sia necessaria una politica del ‘tutto o niente’: certi traguardi sono raggiungibili, ma solo se si parte da presupposti di ragionamento di reale trasformazione dell’esistente. Solo all’interno di ipotesi più ambiziose, infatti, sono prospettabili dei punti di arrivo che, mano a mano, portino il Paese più avanti. Se posso permettermi una battuta: i veri riformisti di oggi sono proprio i rivoluzionari…”.

Ma non rimane un problema di fondo, nella sinistra italiana, legato alla questione dei rapporti con il mondo socialista? In che modo vi ponete la questione storica della figura di Bettino Craxi e come intendete recuperare le forze del socialismo autonomista al confronto dialettico e programmatico con tutte le altre forze della sinistra?
“Personalmente, non credo che questo problema si ponga in una forma politica consistente. La figura di Craxi, se proprio non è stata liquidata, quanto meno è stata fortemente messa in mora da Craxi stesso. C’è invece un altro problema, cioè quello del recupero di un’effettiva tradizione politica riformista, ma alle condizioni di quanto appena detto: solo una precondizione di costruzione di un'autentica alternativa di sinistra può realizzare una serie di risultati di effettiva natura riformista. In tal senso, non solo non abbiamo remore, ma addirittura auspichiamo un incontro con una sana e robusta tradizione riformista la quale, però, sappia tener conto del fatto che viviamo una fase di modificazioni epocali che restringono gli spazi propri del riformismo classico”.

Perché all’interno della sinistra italiana lo scontro è sempre stato storicamente così cruento? Si ha spesso l’impressione che essa rappresenti un coacervo di forze che perdono importanti opportunità…
“Forse, ciò è dipeso dal fatto che noi uomini di sinistra siamo piuttosto presuntuosi, poiché riteniamo che il nostro ‘pacchetto’ di idee e di principi sia quello universale. L’unico sistema per risolvere tale questione è riconoscere che le idee non nascono solo nel ‘cielo della politica’, ma anche nella pratica sociale e, quindi, mettersi con umiltà alla pari con le critiche reali e dialogare con esse. Ciò potrebbe superare lo spirito e la tendenza a dividersi su questioni che, a volte, non lo richiedono affatto”.

Non crede che la politica attuale proponga un bivio molto netto, ormai, tra riformismo e massimalismo?
“Sostengo esattamente il contrario, cioè che, paradossalmente, la prospettiva riformista sia valida solo all’interno di una programma rivoluzionario - inteso naturalmente come un processo in divenire, non certo come una ‘spallata’ - e che si possa cominciare a dirigersi verso sintesi politiche e culturali più evolute e moderne”.

Voi spesso accusate gli altri partiti di accondiscendere, anche inconsciamente, alla deriva neoliberista: non siete voi, invece, a rimanere ancorati ai vecchi schemi culturali della lotta di classe?
“Certamente no, poiché questi schemi non sono affatto vecchi: la lotta di classe esiste ancora. Nel mondo intero si sta allargando l’area del lavoro dipendente, anche se le forme che esso assume sono diverse da Paese a Paese. Ciò significa che la lotta di classe, intesa come contrapposizione tra lavoro e capitale, rappresenta addirittura, se vogliamo, un frutto della modernità, non certo del passato. In buona sostanza, noi continuiamo a pensare che la conflittualità sociale rappresenti, insomma, uno dei fattori di dinamismo, di modificazione, di trasformazione e di modernizzazione della società. Chi contiene il conflitto, in realtà vuol ritornare al passato. E, infatti, coloro che non vogliono il conflitto sono i reazionari, poiché vogliono far ruotare all’indietro la curva della Storia…”.

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