Vittorio LussanaNon è affatto un buon esempio di giornalismo accusare di ipocrisia chi intende informare i lettori rispondendo principalmente a essi del proprio operato, anziché parlare “a nome proprio” come invece afferma il noto ex marxista-leninista Giuliano Ferrara, le cui doti comunicative non sono mai andate al di là di una sensibilità da affabulatore spacciata per autonomismo da ‘battitore libero’. Ferrara rappresenta il principale capostipite dei tanti ‘orbi sordi ma vocianti’ generati da una visione tardo-ideologica della comunicazione di massa, una distorsione tutta imperniata su opportunismi e convenienze personali che rappresenta la riprova estrema dell’incapacità di gran parte dell’attuale classe giornalistica italiana a proporre un’informazione che sappia andare oltre a un ‘quadro’ di sensazionalismi immediati. Il giornalismo di Ferrara ha sempre preso le mosse dal presupposto di dover ‘informare’ il lettore italiano su tutto un complesso di fenomeni politici, storici, sociali e che questa volontà potesse essere automaticamente strumentalizzata al solo fine di provocare per educare, di stupire per fidelizzare, anche esprimendosi ‘mefistofelicamente’ se necessario, magari utilizzando il puerile linguaggio della ‘excusatio non petita’, invece di favorire un processo di civile e cosciente critica e autocritica. Ma il giornalista è soprattutto un cronista, può provocare le rivoluzioni, non esaltarle a cose fatte come fosse un ‘megafono’. Ai tempi di Bettino Craxi, il giornalismo di Ferrara era adeguato ai compiti di rinnovamento dell’informazione che esso si era autoassegnato. I ‘malanni’ sono affiorati dopo, quando l’indirizzo annunciato non è stato più seguito con coerenza e, anzi, venne sostituito da un qualcosa di diverso: un’assai discutibile tendenza verso un ‘berlusconismo istrionico’, in cui la ricerca astratta del ‘nuovo che avanza’, del provocatorio, del sorprendente, ha preso il posto della scelta e dell’indagine coerente con l’obiettivo di fare informazione. La politica, infatti, è quella cultura che, per poter agire, deve adeguarsi di continuo al livello di maturità delle masse, segnare il passo con esse, fermarsi con esse se necessario, come accade che con esse esploda. Ma continuerà a chiamarsi giornalismo quell’attività di comunicazione che, non impegnandosi in nessuna forma di azione politica diretta, saprà andare avanti sulla strada della ricerca della verità, poiché la linea che divide la buona informazione da quella cattiva non si identifica, sempre e comunque, con quella che separa la politica migliore da quella peggiore. I due campi - giornalismo e politica - sono distinti e separati, non rispondono alle medesime logiche. Ed è pertanto inutile che Ferrara ci venga a dire, dal ‘pulpito’ di ‘Radio Londra’, di parlare “a nome proprio”, quando sappiamo tutti quanti che non è affatto così. Egli rimane ‘abbarbicato’ a quella ‘scala d’astrazione’, a quella ‘zattera ideologica’ di discendenza italo-marxista che ha sempre tradito la vera tipologia di fondo del suo giornalismo, quella di un approccio dottrinario che, alla fin fine, lo ha condotto alla semplice sostituzione delle leadership ‘oggetto’ del proprio personalissimo ‘culto della personalità’. Egli si avvicinò a Craxi poiché credette nella ‘vulgata’ di Forattini, che lo dipinse come un personaggio autoritario facendogli addirittura indossare una ‘camicia nera’. Ma Craxi era socialista: perché non farselo spiegare prima? In questo disperato Paese ci sono giornalisti che, quando decidono di aderire al propagandismo più demagogico e al faziosismo più qualunquistico, pensano di poter incarnare essi stessi le tesi che intendono difendere o propinare. Ebbene: si sbagliano! Chi, nello sforzo di pervenire a una valutazione equa delle effettive condizioni culturali italiane, cerca di far risalire la degenerazione politica in atto semplicemente alla dissoluzione della prima Repubblica e della sua ‘Partitocrazìa’, dalla quale sarebbero iniziati a ‘zampillare’ nuovi motivi umanitari e sociali insieme a un’aspirazione di reale autonomia della figura professionale del giornalista, finisce con l’eludere un problema cruciale: quello di una cronica sottorappresentanza della cultura laica e liberaldemocratica italiana, un ‘vuoto’ di cui il nostro sistema politico ha sempre sofferto. E’ questo ciò che ha creato una classe di editori che pretendono di invadere, sulla base del ricatto economico, la sfera di competenza dei giornalisti. E’ questo ciò che ha portato ai giornali di Partito finanziati dallo Stato e a un ceto imprenditoriale abituato al ‘pannolone’ dei ripianamenti pubblici. E’ questa l’analisi da proporre intorno a un processo di ‘inculturazione’ che, invece di accompagnare le masse verso temi e argomenti più complessi, sta appiattendo il livello di professionalità del giornalista stesso a un mera forma di condizionamento delle coscienze. Che Ferrara ne prenda nota, per cortesia e carità di Patria.


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Roberto - Roma - Mail - venerdi 20 maggio 2011 7.56
Stroncato Ferrara? E come mai? Ogni tanto lei si dimostra alquanto imprevedibile... E' vero che ormai il mercato è saturo di questi personaggi e che il panorama non riesce a rinnovarsi rispetto ai nostri mitici anni '80. Lo stesso Sgarbi di recente è stato un flop, perchè non si può continuare a riproporre la stessa formula ad libitum, ma almeno Ferrara è uno che si informa.


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