Vittorio LussanaUno ‘spettro’ si aggira nella politica italiana: quello di Bettino Craxi. A 11 anni dalla sua morte appare infatti assai difficile non sottolineare l’ipocrita mentalità dell’italiano medio, tradizionalmente pronto a esaltare chi, già all’indomani, è disposto a gettare nella polvere. Ed è difficile non fare esplicito riferimento a quel marchio di abominio e di infamia che generalmente viene affibbiato con estrema facilità dal ‘popolino’: sei non sei un ‘ladro’, sei un ‘amorale’, un ‘faccendiere’, un ‘puttaniere’, quando non un ‘traditore’, uno che ‘sputa nel piatto dove ha mangiato’ e così via. Tutti giudizi piccolo borghesi, assurdi, volgari. L’ipocrisia fa parte delle connotazioni culturali di fondo degli italiani, del loro cattolicesimo egoistico, opportunistico, a intermittenza. Ma nel caso di Craxi ci si ritrova di fronte a una vera e propria sovrapposizione di ambiguità, poiché assieme a un’ipocrisia umana, alla fin fine superabile tramite un qualsiasi dato di fatto, è stata volutamente sommata un’ipocrisia politica tesa a evitare di ammettere i due punti basilari della sua vicenda, fondamentali se si vuol comprendere veramente i fatti di Tangentopoli: 1) il contesto storico ‘di provenienza’ del sistema politico italiano della prima Repubblica era quello di un Paese che senza i Partiti non era in grado nemmeno di ‘respirare’. Nella prima Repubblica, i Partiti non erano semplici ‘collettori’ di consenso o mere sedi di elaborazione programmatica, bensì fornivano un sostegno concreto alle proprie rispettive comunità. Per farla breve, i comunisti trovavano un impiego grazie a un compagno che li ‘segnalava’ alla direzione del Partito; i socialisti erano costretti a sostenere le campagne elettorali di molti candidati provinciali e comunali non sempre in grado di ‘reggere’ finanziariamente tali competizioni; i democristiani possedevano un sottobosco di incarichi e sottoincarichi di governo, nazionali e locali, che garantivano notabili e quadri intermedi, consentendole di ammortizzare quei ‘costi sociali’ che assicuravano la sua stessa esistenza. I Partiti della prima Repubblica, insomma, facevano questo genere di cose: soccorrevano famiglie in difficoltà, trovavano posti di lavoro stabili, aiutavano un simpatizzante a crearsi una propria attività e così via; 2) il capitalismo italiano da sempre è strutturato attorno a due grandi ‘classi’ aziendali: una borghesia industriale assai ristretta e conservatrice - spesso in grave debito nei confronti dello Stato e delle scelte politiche di numerosi governi - e un ceto produttivo medio–piccolo abituato a cavarsela da solo rimboccandosi le maniche, assorbendo le cicliche crisi occupazionali e i vari esuberi delle imprese maggiori. Questo capitalismo sano, che personalmente definisco ‘interstiziale’ poiché capace di creare occupazione e benessere anche in piccolissimi ‘interstizi’ dei nostri mercati interni o di quelli internazionali, in Italia ha sempre trovato di fronte a sé delle vere e proprie ‘barriere d’entrata’, tese a impedire nuove forme di concorrenza effettiva, a bloccare nuove espansioni settoriali, soprattutto nei comparti produttivi interni. Tant’è che la tendenza di numerose imprese italiane a voler delocalizzare la propria produzione all’estero, da molti ingiustamente criticata, non rappresenta nient’altro che una logica ‘valvola di sfogo’, un’esigenza causata dalla presenza di una ‘oligarchia’ – la quale non comprende solo banche o aziende private, ma interi ‘pezzi’ dello Stato - che ha sempre fatto e disfatto quel che le è parso e piaciuto, che ha finanziato i Partiti e la politica per poi liberarsene al primo ‘stormir di fronde’, scagliando accuse miste a giustificazioni. Questo è un ‘quadro complessivo’ che si continua a far finta di non ricordare: la Dc risultava inamovibile grazie al proprio cinquantennio di gestione del potere godendo, oltre a ciò, di finanziamenti di provenienza americana (così come il Pri e il Pli); il Pci aveva l’appoggio finanziario dell’Unione sovietica attraverso una serie di fondi che, non appena vennero a mancare, costrinsero il Partito ad abbandonare al proprio destino una testata giornalistica gloriosa come ‘Paese Sera’ e a indebitarsi pesantemente; il Psi, al contrario, aveva poco o niente di tutto questo, se non una ‘domanda’ proveniente da alcuni ceti emergenti del nord’Italia affinché venissero rilanciati e sostenuti quei ‘quarantenni’ mantenuti sotto ‘scacco’ dai ‘poteri forti’: dai ‘vecchi’, si direbbe oggi. Questa è l’analisi che andrebbe sviluppata se si intendesse veramente comprendere il ‘cortocircuito’ in cui sono finiti, nei primi anni ’90 del secolo scorso, Bettino Craxi e i socialisti italiani. Un’analisi che non s’intende nemmeno proporre, per non dover ammettere che il nostro vero capitalismo, quello più genuinamente imprenditoriale, in realtà viene mantenuto ‘sott’acqua’ da una ‘borghesia’ priva di scrupoli, per dirla con Pasolini, che ieri foraggiava i Partiti in cambio di aiuti e ‘aiutini’ e che oggi, dopo aver letteralmente distrutto la politica, propone un sistema basato su ‘relazioni personali’, baci sulla fronte, ‘pacche’ sulle spalle, ‘cordate’ di imprenditori che ‘saltabeccano’ da questo a quel politico, da questo a quel Partito, da questa a quella coalizione. Insomma, si è fatto saltare un sistema senza che questo venisse sostituito da uno nuovo, realisticamente e politicamente alternativo. E si continua a far credere che i problemi di oggi siano stati causati da alcuni leader e Partiti politici senza rendersi conto che il modello sostanzialmente ‘feudale’ della nostra democrazia rappresentativa è rimasto perfettamente ‘in piedi’, se non addirittura in forme degenerative. Craxi gestiva un potere vero, concreto. E sapeva anche farlo funzionare. Fatti saltare quei meccanismi è venuta a mancare ogni genere di assistenza nei confronti del Paese reale. E proprio la sinistra italiana sta vivendo, oggi, una crisi paradossale, poiché stenta ancora a comprendere come, in Italia, sia stata assassinata ogni forma di politica sociale da parte di un giustizialismo astratto, a lungo sostenuto dai media e delle varie forme di populismo becero e arrogante insinuatesi nel ‘circuito’. Ha vinto il motto: “Ognuno per sé”. Una logica che, per definizione, tende a favorire chi ha più mezzi, chi è più forte, chi è in grado di sostenere un’eterna guerra per ‘bande’ o una campagna elettorale perenne.




Presidente dell'associazione culturale 'Phoenix'
Direttore responsabile del mensile 'Periodico italiano magazine'

(articolo tratto dal quotidiano 'il socialista Lab' del 19 gennaio 2011)
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ARBOR - MILANO - Mail - domenica 30 gennaio 2011 12.26
E' vero c'è uno spettro che si aggira nella politica italiana: è quello di Ghino di Tacco, un ladro che con la scusa di decidere per il bene della Nazione rubava i soldi dei contribuenti e ne faceva uso proprio. Purtroppo per disgrazia sua e fortuna dei cittadini è stato scoperto e condannato, ma le maglie di una legge troppo garantista e poco giusta, lo hanno lasciato scappare all'estero dove ogni tanto i suoi vecchi beneficiati si riuniscono per rimpiangere i bei tempi dei partiti elargitori.
E' vero la musica non è (molto) cambiata, ma questo non ci autorizza a glorificare i mariuoli del passato.
Il buon Lussana, se crede di fare un'analisi storica della prima repubblica, si ripassi le parole dette da Socrate quando gli offrivano una fuga sicura ed invece accettò di bere la cicuta.
Nota bene: Socrate non aveva rubato!
Vittorio Lussana - Roma - Mail - venerdi 28 gennaio 2011 10.38
RISPOSTA A GIUSEPPE: se lei non si informa, non è colpa mia... Salutoni a lei. VL
Giuseppe - Italy - Mail - giovedi 27 gennaio 2011 21.8
e dove le tiene blindate tutte queste belle cariche? sicure nella cassaforte così che nessuno le vede?:-) salutoni
Vittorio Lussana - Roma - Mail - giovedi 27 gennaio 2011 17.0
RISPOSTA A GIUSEPPE: è vero, Giuseppe, cosa vuol farci? 3 testate nazionali, una trasmissione radiofonica di successo, una casa editrice da mandare avanti, un'associazione culturale e varie presentazioni editoriali in giro per l'Italia. Devo proprio aver esaurito gli argomenti...
Un saluto.
VL
Giuseppe - Napoli - Mail - giovedi 27 gennaio 2011 11.16
sempre lo stesso stornello lei musica, e sempre gli stessi commenti incassa... forse ha esaurito gli argomenti
Giovanni Giavazzi - Vigevano - Mail - mercoledi 26 gennaio 2011 18.45
Si dimentica che Craxi, lautamente foraggiato, ha consentito a Berlusconi di lanciare la sua TV commerciale, che così negativamente ha influito sulla nostra società, rendendosi responsabile del "disastro antropologico" deprecato dal card. Bagnasco l'altro ieri.
Carlo Cadorna - Frascati - Mail Web Site - mercoledi 26 gennaio 2011 16.16
Quello che è capitato a Craxi, come quello che dovrebbe "capitare" a B. è dovuto solo al fatto che ha combattuto i comunisti. Ogni altra analisi non è realistica. Legga il mio blog.......
Fausto Diamanti - Bologna - Mail - martedi 25 gennaio 2011 19.19
Analisi molto lucida e pienamente condivisibile, ma resta senza risposta l'interrogativo della mia vita: e di chi, senza mai godere di privilegi, è rimasto fuori, o, disgustato, ha voluto tenersi fuori dalla guerra delle ghenghe che si spartivano il bottino, ce ne fottiamo?
Fausto Diamanti


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