Giuseppe LorinIl tema dell’evasione, sempre più necessario per allontanarsi da una realtà in cui non si è più disposti a riconoscersi, soprattutto dopo una lunga e terribile pandemia, conduce molti a confidare ‘letteralmente’ nella canzone di Eugenio Finardi: “Extraterrestre portami via: voglio una stella che sia tutta mia. Extraterrestre vienimi a cercare: voglio un pianeta su cui ricominciare…”. Invece, bisognerebbe andare a ripescare un racconto ‘da favola’ di Dino Buzzati che non tutti conoscono: ‘Il disco si posò’. Si tratta di un poema a fumetti in cui, dopo una descrizione accurata dell’ambiente delle campagne del nord Italia, con valli e colline, nebbie e gracidare di rane all’imbrunire, all’improvviso appare la fantascienza: “Quand’ecco il disco volante si posò sul tetto della chiesa parrocchiale, si posò come colomba, di colore azzurro chiaro, diametro circa dieci metri. Dei due strani esseri che uscirono dal disco non si ha nessun affidamento”. Dino Buzzati parlava di questo suo lavoro come una delle sue creazioni più care: “Il mio romanzo”, spiegava lo scrittore a Corrado Stajano, in un articolo apparso su ‘Il Tempo’ nell’ottobre del 1969 “è una fantasia, una storia che mi è venuta in mente pensando al mito di Orfeo ed Euridice e che io ho creduto di poter rappresentare con disegni, forse più che con parole, ritornando alle origini, perché quando ero ragazzo facevo storie scritte e illustrate, storie molto ingenue, di montagne, gnomi, elfi, spiriti. Perché ho scritto un romanzo a fumetti? Perché mi sono illuso, disegnando, di poter dire cose che con le parole non sarei riuscito a dire abbastanza chiaramente. E poi, anche perché credo che si vada verso una civiltà dell’informazione sempre più visiva”. Per disegnare le duecento tavole, Dino Buzzati impiegò due anni, servendosi di fotografie fatte apposta o ritagliate dai giornali. Il libro fu stampato da Mondadori nel settembre del 1969. Quei due strani esseri usciti dal disco, di colore azzurro chiaro e di diametro circa di dieci metri, acquetarono il parroco del paese dicendo: “Calma, calma: tra poco ce ne andiamo. Sai? Da molto tempo noi vi giriamo intorno e vi osserviamo, ascoltiamo le vostre radio e abbiamo imparato quasi tutto. Tu parli, per esempio. E io capisco. Solo una cosa non abbiamo decifrato. E proprio per questo siamo scesi: cosa sono queste antenne (indicando la croce sul campanile e sul timpano della chiesa)? Ne avete dappertutto, in cima alle torri e ai campanili, in vetta alle montagne. Puoi dirmi, uomo, a cosa servono”? “Servono alle nostre anime. Sono il simbolo di Nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, che per noi è morto in croce”. “Dio, vuoi dire, sarebbe venuto qui tra voi? Qui, sulla Terra, in Palestina? Uomo, sarebbe una storia magnifica. Uomo, vorrei proprio sentirla”. Nel racconto si arriva al fatidico ‘Albero della sapienza’, i cui frutti non dovevano essere colti e mangiati. Pena: la relatività temporale della vita terrestre. Dalla crocifissione del Cristo sono passati duemila anni: “E questa morte non è servita”? “Che vuoi? Siamo fatti così, peccatori siamo: poveri vermi peccatori, che hanno bisogno della pietà di Dio”. Il parroco si inginocchiò. “Uomo, che stai facendo”? “Prego voi, no? Voi non pregate”? “Pregare? Noi? E perché pregare”? “È vero, voi non avete il peccato originale: voi siete esseri puri, siete angeli divini…”. Lentamente, il portellone del disco si chiuse e s’involò silenzioso alto nel cielo stellato, per poi partire a velocità incredibile, mentre sulla Terra il parroco borbottava: “Dio preferisce noi di certo! Meglio dei porci come noi, dopotutto, avidi, turpi, mentitori, piuttosto che quei primi della classe che se ne sono or ora andati. Che soddisfazione può avere Dio da gente simile? E che significa la vita se non c’è il male, il rimorso e il pianto"? Dai remoti colli rispose l’ululìo dei cani. Questa novella di Buzzati trasmette un valore: la consapevolezza che, forse, è meglio non abbandonare la ‘vecchia strada’ che è sempre, nonostante tutto, la più sicura. Eppure, tra la sonda ‘Perseverance’ su Marte e i razzi cinesi che rischiano di schiantarsi sulla terrazza del direttore di Laici.it, stiamo vivendo una nuova epoca d’oro dell’esplorazione spaziale. Proprio Charles Elachi della Nasa, il ‘padre’ della missione ‘Cassini’, la quale ha scoperto oceani d’acqua sotto i ghiacci, conferma che i prossimi decenni saranno gli anni della comunicazione all’umanità della scoperta della vita aliena. Titano, uno dei satelliti di Saturno, è bagnato dalla pioggia e possiede fiumi e laghi simili a quelli terrestri. Laghi composti da idrocarburi. E ha anche un’altra luna, Encelado, con le stesse caratteristiche: ‘geyser’ sparati da un oceano sotterraneo composto, per lo più, di acqua. Un altro satellite di Giove, ribattezzato Europa, possiede anche lui un oceano sotto ai ghiacci: una vastissima falda d’acqua come quella che beviamo sulla Terra. Inoltre, sempre su Europa ci sono indicazioni circa l’esistenza di possibile materiale organico. Lassù, la vita potrebbe essersi addirittura evoluta. La missione ‘Europa Clipper’ partirà entro il 2025. E già nel 2022, anche la missione dell’Esa (l’Agenzia spaziale europea, ndr) chiamata ‘Juicy’ studierà Europa dedicandosi, in seguito, anche ad altri due satelliti, Ganimede e Callisto, da cui partirà un ‘lander’ alla volta di Europa per perforarne la superficie e scoprire cosa c’è sotto. E ancora: un’altra serie di sonde spaziali raccoglieranno campioni di suolo marziano e li riporteranno sulla Terra. Si ha quasi la certezza, infatti, che su Marte ci siano dei resti di forme di vita esistite intorno a 3 miliardi di anni fa, quando il pianeta aveva fiumi d’acqua. Mentre si cercano gli alieni, i robot affollano sempre di più lo spazio. E saranno sempre più numerosi. Il futuro è eccitante. E l’Italia, in tutto questo, ha un grande ruolo, sia nell’esplorazione dello spazio, sia nell’osservazione di altri sistemi solari con pianeti simili al nostro: non a caso, il telescopio ‘Kepler’ ci ha rivelato che quasi ogni stella ha dei pianeti in orbita. Ormai si dà per certo che ci sia vita nell’universo, perché se esistono ovunque le stesse leggi fisiche, non c’è ragione per cui la vita sia ‘sbocciata’ solo qui da noi. Il vero mistero è che non si può sapere se sia uguale o diversa rispetto alla nostra, intelligente o no. E non si sa neanche se qualcuno abbia mai cercato di comunicare con noi. Ma quel che Dino Buzzati ha cercato di dirci è che tutto questo avviene perché, ancora oggi, manteniamo saldo dentro di noi l’archetipo della solitudine mitigata dall’attesa di qualcosa. Un qualcosa di forma indefinita, generato dalla paura di essere soli nell’universo. Circa 60 anni fa, Dino Buzzati ci ha parlato dei ‘teletini’, degli smartphone e degli iPad nel suo ‘Cronache del 2000’. Egli è stato il narratore di una condizione umana che, in seguito, ha manifestato esattamente i ‘sintomi’ da lui previsti assai meglio dei tanti ‘visionari’ che incontriamo su Youtube: un passaggio di testimone da un’epoca a l’altra, che ha anticipato i nostri vizi esistenziali e le distorsioni di uno sviluppo tecnologico ‘acefalo’. In sostanza, le nostre contraddizioni più ataviche, mediante l’abbraccio di una fantascienza atipica.





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