Il vero problema del nostro
sistema bancario, come dimostrato dai recenti
'crack' di alcuni istituti di credito dell'Italia centrale, è quello della
'piraterìa' finanziaria. Nel corso del
2015, i dati relativi all'utilizzo del credito sono indubbiamente migliorati: nello scorso mese di agosto, per esempio, la dinamica dello stock dei finanziamenti a clientela è tornata su valori positivi dopo
37 mesi di 'negatività'. Si tratta d'incrementi che riguardano sia i finanziamenti alle imprese (anche se ancora in territorio negativo), sia quelli alle famiglie, il cui trend si posiziona su valori positivi. Sulla base di un campione di
78 banche, rappresentativo di circa
l'80% del nostro mercato interno, i finanziamenti alle imprese hanno segnato, nei primi otto mesi del
2015, un incremento di circa un
+16% sul corrispondente periodo dell'anno precedente
(gennaio-agosto 2014). I mutui per l'acquisto di immobili hanno segnato, nello stesso periodo, un incremento
dell'86,1% rispetto al medesimo arco temporale dell'anno precedente. Sempre nello stesso periodo, le nuove operazioni di credito al consumo hanno registrato un aumento del
27,2%. E' vero che soltanto di recente è aumentata la domanda di credito per investimenti da parte delle imprese, ma piuttosto
'sostenuta' è risultata la domanda per una
'ristrutturazione' del debito pregresso. Tali andamenti manifestano una tendenza indubbiamente superiore alla produzione industriale. E la quota sul totale dei finanziamenti alle imprese è preponderante. Ma, ancorché in aumento, la quota sul totale rimane
inferiore alla media dell'area-euro. Il forte rallentamento del credito alle imprese dei 5 anni precedenti aveva riguardato tutte le diverse tipologie di aziende in termini dimensionali, anche se la quota dei finanziamenti alle imprese piccole e medie si è mantenuta piuttosto elevata. Tuttavia, se si considera la
crisi 'cumulata' in 6 anni (2008- 2014), l'ultimo dato ci fornisce un flusso di credito erogato dalla manovra dello
Smesf (Small & medium enterprise support found, ndr), iniziata nel
gennaio 2014, fino all'ultimo dato disponibile. A questo punto, possiamo dunque confrontare questo dato con quanto successo in precedenza e con quanto accaduto alle imprese di grandi dimensioni. Ebbene: nei
23 mesi di esistenza dello
Smesf, il flusso di credito è aumentato del
2%, invertendo il trend precedente. Quanto alle grandi imprese, esso si è invece
ridotto del 7%, migliorando il trend negativo precedente. Quindi, nel periodo di vigenza dello
Smesf, i flussi di credito sono cresciuti più di quanto accaduto in precedenza e più di quelli alle grandi imprese. Sulla base di tali classificazioni, si può osservare il comportamento ciclico del rischio per dimensione d'impresa: il rischio delle imprese maggiori presenta, infatti, una volatilità temporale significativamente più elevata di quella delle imprese di minor dimensione. Nel caso della misura del rischio basato sugli importi, il campo di variazione risulta pari a
3,9 punti percentuali per le imprese maggiori, contro un valore di
2,1% nel caso delle imprese minori. Se si fa riferimento al rischio basato sui numeri, il campo di variazione è di
5,2 punti per le imprese maggiori e di appena
1,5 punti per quelle minori. In miglioramento la dinamica del credito in quasi tutti i settori produttivi, specialmente in alcune branche delle attività manifatturiere (con 8 sottosegmenti con variazione annua positiva). Bisogna anche sottolineare come la nostra qualità del credito sia stata fortemente segnata dalla crisi: nel corso degli ultimi anni, gli attivi bancari hano manifestato un netto peggioramento, a riflesso della forte recessione e di alcune fragilità strutturali del sistema d'imprese, specie nel settore delle
Pmi. Risulta pur vero che, negli ultimi mesi, hanno cominciato a delinearsi alcuni timidi segnali di
recupero, ma solo in termini di
decelerazione del tasso d'incremento: in valore assoluto, infatti, le
sofferenze lorde sono risultate, a
luglio 2015, pari a oltre
197 miliardi di euro, rispetto ai
172 del
luglio 2014. In linea di principio, ciò significa che il sistema bancario italiano è tutt'altro che
"solido", come si è affermato di recente al fine di giustificare i ripetuti
'crack' bancari. E ciò non deriva solamente da operazioni di borsa, o da speculazioni sui titoli di debito ordinari o secondari (derivati). In realtà, il vero problema del modello bancario italiano è quello di non riuscire a uscire da
un sistema economico di 'relazione', a vantaggio di operazioni d'investimento che potrebbero, invece, dare una
spinta 'espansiva' ai mercati, con
ricadute occupazionali positive. E venuto cioè il momento di
'aprire la finestra' e far entrare un poco di
'aria fresca', al fine di limitare tutte quelle forme di
'piraterìa' finanziaria che sono la vera causa primaria di
'ingessamento', se non di vera e propria
'paralisi', del sistema produttivo italiano.