Vittorio LussanaStando alle previsioni, il 2010 sarà un anno diverso rispetto agli ultimi che abbiamo vissuto. Lo sarà, innanzitutto, perché porterà il mondo al di fuori, almeno temporalmente, dal primo difficile decennio del Terzo millennio. E lo sarà anche perché la grave crisi che ha attraversato l’intero sistema economico – finanziario del pianeta dovrebbe risolversi facendo registrare, al nostro Paese e all’intera Unione Europea, una graduale ripresa. Già gli ultimi mesi del 2009 hanno segnalato, in effetti, un sensibile miglioramento della situazione congiunturale complessiva, timide indicazioni dovute, in larga parte, all’adozione di severe misure di politica monetaria e di bilancio. Alcuni indicatori stanno tornando ai livelli precedenti la crisi. E le prospettive relative alla crescita e agli scambi commerciali sono migliorate, in particolar modo nelle economie dei Paesi emergenti. Dunque, la questione da porre al centro dell’analisi, già nel corso del 2010, dovrà concentrarsi maggiormente sulle conseguenze che questo clamoroso tracollo ha generato, tra la fine del 2008 e quasi tutto il 2009, sull’economia reale, ovvero su come sostenere una domanda interna che, al momento, risulta fortemente limitata dalle difficoltà dei bilanci domestici, dal basso potere di acquisto dei salari, dalle scarse prospettive offerte dal mercato del lavoro. L’occupazione rimane il punto dolente dell’intera economia occidentale: secondo le recenti stime della Commissione europea, essa è destinata a diminuire ancora in tutta Europa fino a trovare il proprio definitivo ‘punto di caduta’ solo alla fine del 2011, cioè a ripresa già consolidata. Inoltre, il tasso di inflazione dell’intera area dell’Euro dovrebbe registrare solo lievi aumenti, ma i prezzi delle materie prime continueranno a esercitare spinte al rialzo, provocando un sostanziale rallentamento della ripresa e una crescita assai debole dei salari. Insomma, l’Unione europea sta superando le sue difficoltà, ma tante prospettive rimangono ancora incerte. Pertanto, ciò che in primo luogo mi incuriosisce particolarmente è il modo in cui il mondo occidentale, in particolare la nuova amministrazione americana guidata dal presidente Obama, intende attuare concretamente la propria sbandierata visione economica favorevole a una nuova etica solidale dell’economia, maggiormente attenta alle questioni ambientali, a quelle energetiche, alla terribile povertà dei Paesi poveri. Sino a oggi, infatti, ci siamo tutti crogiolati sulle tante buone intenzioni del presidente degli Stati Uniti. Ma esse sono destinate a restare tali se il tema della solidarietà internazionale continuerà a rimanere ai margini delle agende politiche. L’occasione sarebbe dunque quella giusta per riportare stabilmente al centro delle analisi macroeconomiche anche la questione della ‘povertà globalizzata’, l’altra faccia, spesso negata, dissimulata o misconosciuta dell’economia capitalistica occidentale. Il mondo deve cominciare a comprendere che il solo modo di fornire una nuova identità solidaristica e umana alla produzione di ricchezza passa dal ruolo che il capitalismo del Terzo millennio intende svolgere in futuro. Si tratta cioè di scegliere se rimanere sulla vecchia via del conservatorismo egoistico – spesso spacciato per ‘alto liberalismo’ - di alcuni Stati o di singole macroregioni, oppure se si ha il coraggio di percorrere una strada più difficile e complessa: quella di considerare il Sud del mondo come un’opportunità, anche sotto il profilo economico, al fine di riportare l’intera umanità sulla rotta di un cammino più pacifico e civile. In secondo luogo, dopo i provvedimenti presi tra la fine del 2008 e tutto il 2009 tesi a rivitalizzare l’intero sistema economico – finanziario appare necessario avvertire come determinate politiche ‘keynesiane’ di spesa siano, nel breve periodo, l’unico sistema di intervento in grado di trainare una ripresa vigorosa della domanda di consumo, della produzione e dell’occupazione, ma che tale espansione del debito può far crescere la produzione esercitando, a sua volta, contraccolpi sul rapporto tra debito e reddito. In sostanza: la ripresa dell’economia rappresenta un’opportunità per riattivare il credito bancario e, più in generale, la creazione di nuovo potere di acquisto da parte dei mercati. Nel modello di sviluppo, fortemente monetarista, che ha portato ai crolli di questi ultimi anni, la crescita dei salari, della spesa sociale e dell’offerta di moneta pubblica risulta ormai sostituita dall’espansione dell’indebitamento privato (delle famiglie, delle piccole e medie imprese, dello stesso settore finanziario). Ovvero, la domanda di beni di consumo, di abitazioni e di attività imprenditoriali e finanziarie viene alimentata, in larga misura, dal credito bancario e da strumenti derivati. Ma adesso che abbiamo ‘toccato con mano’ come un simile modello generi fortissime divaricazioni nella distribuzione della ricchezza, come si intende cambiare direzione? Si vuol ricominciare daccapo con gli eccessi di indebitamento? Si spera vivamente che il mondo, in particolar modo quello più ricco e sviluppato, sappia dimostrarci, nel corso di questo nuovo anno, di aver compreso fino in fondo la lezione impartitagli proprio dalla crisi.




Direttore responsabile della rivista quindicinale a diffusione nazionale 'Periodico Italiano'
(editoriale tratto dalla rivista quindicinale 'Periodico Italiano' del 2 gennaio 2010, n. 1)

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Krizia - Genova - Mail - domenica 10 gennaio 2010 19.37
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