L’ing. Paolo Fornaciari è il Presidente del Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare (CIRN).

Ing. Fornaciari, Lei presiede un comitato che chiede, già da qualche anno, il ritorno all'energia nucleare: perché?
“Con l'aumento del prezzo degli idrocarburi, da noi utilizzati all'80% per la generazione elettrica, contro una media UE del 20%, le nostre bollette elettriche sono le più alte di tutta l’Europa, ormai quasi doppie e non maggiori solo del 20 - 30%, come erroneamente si dice. Da ciò deriva l'attuale grave recessione economica del nostro Paese, che non é dovuta a scarsa flessibilità nel mondo del lavoro, a liberalizzazioni non completate, a mancanza di concorrenza, ad insufficienti investimenti in ricerca e innovazione, alla inefficienza della burocrazia statale, alle spese per previdenza e sanità, bensì al "caro energia elettrica". In questa anomala situazione, le nostre imprese ben difficilmente possono competere sui mercati internazionali. Il ritorno al nucleare, come ha detto di recente anche il Prof. Paolo Savona, non é solo una necessità, ma un dovere”.

Tuttavia, c'è chi afferma che la rimessa in funzione delle vecchie centrali, abbandonate o riconvertite dopo il referendum abrogativo del 1987, assumerebbe dimensioni assolutamente onerose per lo Stato, in termini di costi finanziari: le risulta?
“Non è assolutamente vero, come erroneamente si dice, che non sia possibile riavviare, dopo molti anni, le centrali nucleari dismesse, ma ancora agibili, di Caorso e Trino Vercellese. Altri Paesi (ad esempio a Browns Ferry, negli USA, fermata diciassette anni fa per un incendio, o a Medzamor, in Armenia, chiusa dodici anni fa per un terremoto) hanno riavviato centrali dopo molti anni. A Caorso e Trino Vercellese non ci sono stati né incendi, né terremoti. Anzi, ai sensi della delibera CIPE del 26 luglio 1990, durante il VII° Governo Andreotti, sono state tenute in “custodia protettiva passiva”, cioè in buona manutenzione per circa dieci anni. La spesa per il riavvio può esser stimata in 200 milioni di Euro, circa il 5 - 6% di quanto costerebbe agli utenti dell’Enel lo smantellamento deciso, in assenza di preventiva autorizzazione, dall’allora Ministro all’Industria, On. Pierluigi Bersani nel corso di una Conferenza Stampa del novembre 1999. Una decisione contraria alla prassi internazionale – motivi finanziari e di radioprotezione suggeriscono di attendere 50 o più anni (il Regno Unito, per Calder Hall ha preso 100 anni di tempo), quella annunciata dall’allora Ministro Bersani – il famigerato decreto Letta uscirà 18 mesi dopo l’inizio delle azioni vandaliche di smantellamento -, oltreché inutilmente costosa (7.500 miliardi delle vecchie lire a detta dello stesso Bersani), quando con 200 milioni di Euro le due centrali potrebbero esser riavviate in 15/20 mesi e generare 8 miliardi di kWh ad un costo di 1 Eurocent/kWh, mentre ci costano 10 o 12 volte tanto produrli con petrolio o gas naturale impossibile da eseguire senza aver prima identificato il sito in cui sistemare le scorie radioattive”.

Ma non ritiene velleitario proporre un ritorno all'energia nucleare, dopo che gli italiani hanno espresso un parere contrario addirittura attraverso un referendum?
“Il referendum abrogativo del 1987, ai sensi dell’articolo 75 della nostra Costituzione, non poteva essere considerato pro o contro il nucleare. La nostra Costituzione, infatti, vieta referendum abrogativi per leggi tributarie e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. E l’Italia, trenta anni prima, con gli Atti di Roma aveva preso il solenne impegno a “sviluppare una potente industria nucleare”. Quel referendum, in verità, riguardava l’abrogazione di alcune disposizioni legislative, votate a grande maggioranza dal Parlamento, che facilitavano la identificazione dei siti per gli insediamenti delle grandi centrali elettriche nucleari e a carbone. Il referendum, fra l’altro, fu approvato unicamente perché una esigua minoranza di contrari riuscì a far raggiungere il necessario quorum del 50% e i voti favorevoli, nei tre distinti quesiti, raggiunsero solo il 41 - 44% dei consensi complessivi. Su quel responso varrebbe la pena di citare quanto scriveva, 70 anni fa, Paul Valery nel suo Saggio “Sguardi sul mondo attuale”: “La politica fu, in primo luogo, l’arte di impedire alla gente di immischiarsi in ciò che la riguarda. In un’epoca successiva si aggiunse l’arte di costringerla a decidere su ciò che non capisce…”.

Va bene, supponiamo allora che l'Italia decida, improvvisamente, di tornare al nucleare: quali rischi potremmo correre in termini di impatto ambientale? E sotto il profilo della sicurezza?
“Di tutte le fonti energetiche, quella nucleare ha il minor impatto sull'ambiente, perché non emette gas ad effetto serra né polveri sottili, evita la formazione di ozono, previene la formazione di piogge acide e contribuisce a mantenere pulita l'atmosfera, a differenza di quanto fanno le altre fonti energetiche. Per quanto riguarda la sicurezza, va ricordato che, a fronte dei 48 morti per effetto del disastro di Chernobyl, in 60 anni di vita di energia nucleare, negli altri settori energetici, secondo Lester Turow, muoiono 55 persone al giorno. Ricordiamo, infatti, che nei gravi incidenti convenzionali, avvenuti nel 1984 per l'esplosione di serbatoi di gas liquido a Ixhuatepec, nei pressi di Città del Messico, morirono 550 persone, 7000 furono feriti e 300.000 gli evacuati (135.000 furono, invece, gli evacuati a Chernobyl), nell'impianto chimico di Bophal morirono 2500 persone e nella recente alluvione in Cina 10 milioni di persone sono a rischio per la inondazione del lago Dongting, nella provincia dello Hunan. Infine, un importante passo in avanti è stato raggiunto alla XXIII Conferenza Generale IAEA del Settembre 1989 con il passaggio da una precedente posizione probabilistica (un incidente non può accadere prima di un numero ‘n’ di migliaia di anni) ad una nuova impostazione deterministica: “The final goal is to limit the radioactivity release, even in case of the most severe accident, to a level so low that no evacuation be necessary outside the nuclear plant site boundary”.

E' vero che, se esplodesse una centrale nucleare francese, il nostro Paese correrebbe pericoli sostanzialmente equivalenti a quelli di un incidente verificatosi in territorio italiano?
“Gli effetti, in Italia, sarebbero "analoghi" a quelli del disastro di Chernobyl, ma le centrali nucleari francesi sono ben diverse da quelle russe o delle repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Inoltre, Chernobyl fu un caso molto particolare, unico nel suo genere: si trattò di un reattore nucleare derivato da progetti militari. L'irraggiamento medio del combustibile allo scarico corrispondeva alla metà di quello dei reattori ad acqua leggera che hanno lo scopo di aumentare la produzione di plutonio. Era instabile, dunque pericoloso: la mancanza di acqua refrigerante aumentò la reazione nucleare e la potenza, diversamente da quanto può accadere nei reattori "occidentali", che la spengono. Era, insomma, un congegno che funziona a temperature troppo elevate, superiori alle soglie di reazione chimica, con possibilità, come infatti avvenne, di produrre gas esplosivi. Ulteriore aggravante, quell’impianto era privo di un adeguato sistema di contenimento. E il reattore era alloggiato in un edificio con tetto a capriata, come le nostre chiese medioevali, gestito da burocrati di partito in violazione delle più elementari norme di sicurezza”.

Cosa pensa delle fonti alternative di energia? E quali sarebbero più adatte per l'Italia?
“E’ opinione diffusa, tra i massimi esperti internazionali, che le nuove energie rinnovabili del vento e del sole, per il loro costo elevato e per la loro intermittente natura, non potranno fornire, per molti decenni, che modesti contributi al crescente fabbisogno energetico mondiale. Queste forme di energia sono adatte per piccole produzioni, per casi particolari, piccole isole o località remote non collegate a reti elettriche o per produrre acqua calda, ma non possono servire a fornire, con continuità e in abbondanza, l’energia elettrica di base necessaria a garantire lo sviluppo economico e sociale. Ricordava l’ing. Corbellini, l’ex Presidente dell’Enel, che la centrale solare a “torre e specchi” di Adrano, costruita dall’Enel in Sicilia con finanziamento dell’Unione Europea, aveva prodotto meno energia elettrica di quella che era stata necessaria a far ruotare gli specchi per seguire il movimento relativo del Sole rispetto alla Terra. Venti anni or sono, l’allora Presidente di Lega Ambiente, Chicco Testa, sosteneva che l’energia eolica, in Italia, avrebbe potuto contribuire, già nel 1995, per il 10% della produzione di energia elettrica. Arrivò il 1995. E il contributo della energia eolica nel nostro Paese non fu del 10%, non dell’1% e neppure dell’1 per mille: fu del 4 per centomila! Ciò non ha impedito al Dott. Chicco Testa di diventare, in seguito, Presidente dell’Enel. E ciò non ha impedito, poi, alla graziosa leader dei Verdi, Maria Grazia Francescano, di affermare che le energie rinnovabili possono contribuire alla produzione di elettricità per il 20%. L’attuale Presidente di Lega Ambiente, Ermete Realacci, poco realistico, ma molto ermetico, azzarda addirittura un improbabile 50%! Ma il Professor Carlo Rubbia, Presidente dell’Enea e Premio Nobel, vola ancora più alto: in una recente nota della Agenzia Adnkronos ha dichiarato: “Energia solare? Deve diventare politica dello Stato: uno ‘specchio’ di 50 km per 50 per colmare il deficit. Se vogliamo dotarci di risorse endogene, con il solo solare potremmo colmare tutte le nostre necessità”. Cinquanta chilometri quadrati moltiplicati per se stessi, ovvero duemila e cinquecento kmq, quasi 40 mila volte la superficie occupata dalla centrale solare Enel di Serre (SA), più della metà della regione Molise! E Mario Silvestri, nel suo splendido saggio “Il futuro dell’energia”, a pagina 163 scrive : “Il tempo di ritorno exergetico,cioè il tempo necessario, non già per ricuperare il capitale, ma per ricuperare l’energia pregiata, cioè l’energia richiesta per ricostruire l’impianto (una volta defunto dopo 30 anni di esercizio), è per lo meno pari a 30 anni”.

Tempo fa, infatti, sorse una polemica intorno alla questione della costruzione, in Italia, su raccomandazione del parlamento europeo, di numerose centrali eoliche? Lei cosa ne pensa? Non le pare un po' assurdo, per il 'Paese del sole' per eccellenza?
“L'eolico deturpa il paesaggio, é rumoroso e altera l'ambiente eliminando, ad esempio, la presenza di volatili. Con la conseguenza di far proliferare i vermi nei prati circostanti. Il costo é superiore di 5 o 6 volte quello delle centrali a carbone o nucleari”.

Sottoponendo la questione nucleare sul piano della politica internazionale, cosa ne pensa del pericolo che l'Iran possa cominciare una serie di esperimenti? Non crede che ciò possa rappresentare una deriva pericolosa per l'intera umanità?
“In questo, sono d'accordo: sono anch’io preoccupato per l’iniziativa dell’Iran di dotarsi di impianti di arricchimento dell'uranio. E, soprattutto, sono preoccupato dalle intenzioni della Corea del Nord, la quale sta cercando di costruire armi atomiche. Vorrei, però, anche sottolineare che un programma nucleare civile per la produzione di energia elettrica non rappresenta la strada obbligata e più rapida per intraprendere un programma militare: molti Paesi che hanno la bomba atomica non necessariamente hanno sviluppato anche un programma nucleare civile”.

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