Alessandro Lozzi

Dunque, la manifestazione alla fine si farà. Visto che c’è chi non si vergogna di sostenere che in Italia la libertà di stampa fa difetto, vale la pena approfondire la questione. Abbiamo passato gli ultimi mesi a leggere sui giornali (essenzialmente ‘Repubblica’ e ‘l’Unità’) ogni presunto, quanto contraddittorio, particolare intimo dei rapporti sessuali del premier, dalle mancate erezioni ai rapporti durati tutta la notte, dalle iniezioni nei corpi cavernosi ai rapporti anali, e molto altro. Tutti articoli che per i manifestanti costituiscono, evidentemente, la prova di un grave pericolo per la libertà di stampa, mentre per altri, probabilmente meno intuitivi, rappresentano invece l’abbandono del minimo livello di civiltà. I rappresentanti della stampa oppressa forse non conoscono l’origine del termine privacy, che nacque a Boston nel 1890, quando un avvocato di successo, stanco di vedere quasi ogni giorno la moglie ‘raccontata’ dai giornali locali scrisse, insieme ad un giudice suo amico, “The right of privacy” che venne pubblicato su Harvard Law Review. Ai giornalisti oppressi, pur senza coltivare troppe speranze, bisognerà pur spiegare che la libertà di stampa, che è un diritto collettivo, nega se stessa se non trova la sua misura nel rispetto della privacy, che è un diritto individuale. Perché, come insegnava già San Tommaso, non si dà società al di fuori del rispetto degli individui. In Italia, accanto ai principi generali previsti nella Costituzione, il diritto al rispetto della vita privata di ciascuno ha una tutela corporativa, i codici di autoregolazione dei giornalisti, ed una burocratica, il Garante sulla privacy. Ma non ha una effettiva tutela legislativa. E il mondo della cronaca giudiziaria ne è la manifestazione lampante. Facciamo qualche esempio: noi viviamo in un Paese nel quale un cittadino può apprendere dai giornali che è indagato, oppure leggere articoli di stampa ‘giudiziari’ in cui i nomi degli indagati non compaiono, altri in cui compaiono solo le iniziali, altri in cui compaiono per esteso le generalità, altri ancora in cui, oltre al nome e il cognome, compaiono anche le foto e l’indirizzo di casa, numero civico compreso. Chi lo decide tutto questo? Il singolo giornalista? E con quale diritto? Il bello è che mentre questa lotteria va avanti, il Garante, per difendere la privacy (sic!) dispone che i fascicoli degli uffici debbono essere anonimi, non sia mai che un cliente di un avvocato possa venire a conoscere il nome di altri clienti dello studio. Oppure (è accaduto anche questo) emette un provvedimento che illustra le condizioni necessarie per inviare, senza il consenso degli interessati, sms in caso di disastri e calamità naturali. Siamo oltre il ridicolo. In parlamento è in arrivo la legge sulle intercettazioni telefoniche, che sono forse la parte più scottante della faccenda, ma non sono tutto. Un’occasione per sperimentare un ‘lodo privacy’ bipartisan.


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