Antonio Di Giovanni

Appare ormai evidente che dietro alla disperazione dei cinque sopravvissuti alla strage del canale di Sicilia, si nasconda uno dei più grandi drammi di questo secolo. L’immigrazione è oggi uno dei fenomeni sociali più problematici e controversi, sia dal punto di vista delle cause, sia da quello delle conseguenze. Per quanto riguarda i Paesi destinatari dei fenomeni migratori (principalmente le nazioni cosiddette sviluppate), i problemi che si pongono riguardano, come d’altronde è sotto gli occhi di tutti, la regolamentazione, il controllo dei flussi migratori in ingresso e nella permanenza degli immigrati. In Italia, l’immigrazione è particolarmente eterogenea (sono circa 186 le nazionalità presenti sul territorio*) rispetto agli altri Paesi europei come Francia, Germania e Gran Bretagna. Quindi, non si può non dar ragione a chi dice, come il Ministro degli Esteri, Franco  Frattini, che anche gli altri Paesi debbano contribuire a gestire il fenomeno. Tuttavia, bisogna anche dire che non è mai stato elaborato un vero è proprio piano sociale adeguato e globale. Il rapido incremento degli immigrati negli ultimi anni ha messo in luce il problema dell’accoglienza poiché gli amministratori, sia quelli locali che nazionali, invece di operare interventi mirati ad una vera soluzione del problema, hanno adottato, nei confronti dell’immigrazione, la vecchia, consumata tecnica della gestione ‘emergenziale’, priva di qualsiasi disegno politico, del resto costosissima nei suoi risvolti di generalizzato e indiscriminato assistenzialismo. Ripercorriamone sinteticamente le ‘tappe’, per meglio capire come i governi che si sono succeduti non abbiano mai preso in considerazione né il problema ‘immigrato’ dal punto di vista dei diritti umani, né tutelato i diritti e i doveri del cittadino membro del Paese ospitante.  Il 1973 è l’anno dell’inizio dell’immigrazione straniera: il declino delle produzioni industriali a causa dei continui aumenti del prezzo del petrolio, segnarono infatti l’inizio di una politica di chiusura delle frontiere per tener fuori immigrati e rifugiati. Fino alla metà degli anni 80 non fu mai attivata, da nessun governo, una specifica normativa sugli stranieri, tant’e che venivano considerati solo un problema di polizia. La prima vera norma fu approvata nel 1986 e prevedeva una regolamentazione sull’inserimento del lavoratore e del trattamento dello straniero in Italia, (Legge n. 943/86), che però, essendo attinente, in gran parte, solo ed esclusivamente alla trattazione di aspetti lavorativi, non ebbe mai risultati ampiamente apprezzati, tenuto conto anche del ridotto numero di immigrati beneficiari e della scarsa efficacia delle circolari ministeriali soggette alla discrezionalità della burocrazia. Successivamente, la famosa ‘legge Martelli’, (L. n. 39/1990) meglio conosciuta come “legge sanatoria”, introdusse disposizioni riguardanti il permesso di soggiorno stabilendo che non era necessario aver svolto o svolgere un attività nel nostro territorio, ma di dimostrare semplicemente la propria presenza, anche per motivi diversi. Fondamentalmente, la L. n. 39 del 1990, basata su principi solidaristici nei confronti degli stranieri, incrementò l’irregolarità e la clandestinità sul nostro territorio, spalancando tuttavia numerose opportunità di lavoro in alcuni settori come il lavoro autonomo e quello cooperativo. Le successive norme emanate, come ad esempio le ‘maxisanatorie’ eseguite attraverso la ‘Turco/Napolitano’ (Legge n. 40 del 1998) e la ‘Bossi/Fini’, introdussero nuove regole sul lavoro e sui ricongiungimenti, ma non portarono ad una vera è propria regolamentazione dei flussi, entrando nel merito dei diritti e dei doveri. Comunque, l’Italia, dalla seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso ad oggi, in qualche modo ha regolarizzato circa un milione e 450 mila stranieri*, cifre nettamente superiori a quelle degli altri Paesi europei. Attualmente, nel nostro Paese la relazione tra immigrazione e insicurezza percepita dai cittadini è diventato uno dei temi più delicati del dibattito corrente proprio per l’alto numero di cittadini immigrati: sia i ‘media’ che i politici, pur avendo la responsabilità di gestione effettiva di tale problematica, con i propri allarmismi finiscono con l’ottenere l’effetto opposto, ovvero con l’alimentare ingiustificatamente il senso di insicurezza collettiva creando addirittura dei fenomeni di psicosi di massa. Con ciò non intendo dire che non ci siano criminalità o forme di microcriminalità esclusivamente di matrice straniera, bensì che l’incidenza degli stranieri denunciati o arrestati sia, in verità, strettamente correlata al tipo di reati commessi e ai loro Paesi di provenienza. Va anche detto, infatti, che pur essendo decisamente accertato che l’Italia sia il Paese dell’accoglienza, è anche vero che molti imprenditori non si siano fatti scrupolo alcuno nello sfruttare le ‘braccia’ degli immigrati con stipendi da ‘fame’. Così come non si sono fatti scrupolo i proprietari di appartamenti a ‘stipare’ come ‘bestie’ stranieri di ogni nazionalità e provenienza con contratti d’affitto costosissimi. Ma tutti hanno poi sempre assunto il comune atteggiamento di indignazione, di stupore o di moralismo e antirazzismo ascoltando con attenzione i fatti di cronaca e di criminalità legata al fenomeno degli immigrati. Fino a scoprire che noi italiani siamo sempre pronti a vedere i difetti altrui, senza mai riuscire a vedere o ad accettare i nostri.




* dati relativi a fonte EURISPES 2008

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