Chiara Scattone

È notizia di qualche giorno fa che il presidente della Camera, On. Gianfranco Fini, ormai l’unico esponente politico in Italia che difende l’istituzione democratica che rappresenta, ha dato il via all’attuazione di un programma per debellare definitivamente il problema dei ‘pianisti’, sul quale aveva già riflettuto, a suo tempo, anche Nilde Iotti, segno che il gene dei brogli è nel nostro DNA da lungo tempo. Che fossimo dei ‘furbetti’ lo sapevamo già. E che i primi ad esserlo fossero proprio i rappresentanti del popolo era cosa ormai nota da tempo. Ma la consacrazione istituzionale del nostro esserlo è un qualcosa di incredibile e di raccapricciante. Tutti i nostri rappresentanti alla Camera dovranno pertanto lasciare le proprie impronte digitali, indice e medio di entrambe le mani, esattamente come i delinquenti comuni. Ecco quello che in una democrazia malata come la nostra si è costretti a fare: prendere le impronte ai parlamentari per costringerli a svolgere onestamente il compito per il quale sono stati chiamati e di cui godono numerosi privilegi. Sembra una magra soddisfazione immaginarsi i nostri impostati e arroganti rappresentanti del popolo (che gli elettori non hanno nemmeno scelto direttamente) appoggiare le dita su un modernissimo scanner per farsi catturare ciò che forse l’uomo ha di più intimo e personale dopo il Dna: le proprie impronte. Archiviate e conservate, esse serviranno a far sì che finalmente le votazioni delle leggi e dei provvedimenti che influiscono sulla vita di tutti i cittadini avvengano in maniera lecita e corretta, senza frodi o brogli. Perché solo di brogli si può parlare quando si vede un deputato di un qualsiasi schieramento allungare il braccio al seggio vuoto del vicino e spingere la pulsantiera che determinerà così il voto, contrario o favorevole, al disegno in discussione. Finalmente, forse avremo delle votazioni “oneste”, forzatamente oneste, e delle leggi votate esclusivamente da chi è presente sul proprio luogo di lavoro. Perché spesso lo dimentichiamo, ma fare il rappresentante del popolo è un mestiere, un lavoro come fare il benzinaio o l’operaio in una fabbrica, certamente con qualche responsabilità in più e una retribuzione che sarebbe in grado di coprire lo stipendio di quasi una decina di operai. Ed è proprio per questo che il deputato non dovrebbe mai dimenticarsi di essere un lavoratore come tanti altri, di avere delle responsabilità, di godere di diritti e privilegi e di essere gravato, come tutti noi, da doveri imprescindibili, il primo dei quali è probabilmente quello di svolgere il proprio mestiere nel migliore dei modi possibili. Sfido qualunque lavoratore, di una ditta privata come di una pubblica, a non presentarsi un giorno dopo l’altro in ufficio senza giustificazione o a non essere presente durante una riunione con il capo o il direttore generale. Dubito che quel lavoratore sarebbe in grado di mantenere il proprio posto di lavoro per lungo tempo. Ma ai nostri parlamentari fino ad oggi è stato concesso anche questo: l’assenteismo sul posto di lavoro e il mantenimento dei propri privilegi e dei propri diritti. Che il provvedimento voluto da Fini possa essere il primo segno di un cambiamento del modus operandi della politica e dei politici italiani, lo speriamo tutti. Certo è che non sembra essere sufficiente. Noi tutti, per ora, ci accontentiamo, apprezzando soprattutto il gesto e la buona volontà del presidente della Camera.


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Riccardo Biffoli - Firenze / Italia - Mail - giovedi 12 marzo 2009 14.15
Sono un dipendente dell'amministrazione comunale fiorentina. Condivido tutto l'articolo, compreso il tono di rammarico per essere dovuti giungere a tanto. Comunque, se veramente i parlamentari vanno considerato come dei dipendenti pubblici bisognerebbe che anche loro, in caso di malattia, dovessero essere messi agli arresti domiciliari, come il ministro Brunetta ha messo noi pubblici dipendenti dal luglio 2008, con l'obbligo di reperibilità per visita fiscale al domicilio dalle 8.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 20.00. Fregandosene bellamente della convalescenza che ha bisogno di lente e progressive uscite dall'abitazione, e di tutte le necessità assolute come di chi vive da solo o ha bambini o anziani da accudire.


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