Vittorio Lussana

Un giornalista afghano che lavorava come corrispondente locale per la Bbc è stato rapito e, in seguito, ucciso, nella provincia di Helmand. L’uomo era stato catturato da un commando armato ma, qualche giorno fa, l’associazione afghana dei giornalisti indipendenti ha annunciato di aver avuto “l’agghiacciante notizia”, confermata da una fonte della Bbc a Kabul, della sua uccisione. Napoleone Bonaparte era solito affermare che “quattro giornali ostili sono da temere più di mille baionette”. Sarà per questo motivo che il mestiere del giornalista è così temuto e disprezzato: temuto, perché un vero giornalista non può accontentarsi mai delle verità ‘ufficiali’; disprezzato, poiché nel perseguire la verità, spesso egli scopre fatti o aspetti tali da poter danneggiare seriamente la reputazione di un ente, di un personaggio politico o di intere istituzioni. Tuttavia, è anche opportuno non alimentare una visione apologetica di questa professione, poiché in essa è comunque necessario operare una distinzione, a mio parere sacrosanta, tra un giornalismo ‘buono’ e uno ‘cattivo’. Ambedue tali generi non si pongono limiti ed entrambi possono parlare qualsiasi linguaggio: per ogni giornalista che indaga onestamente, ne esiste un altro che contesta l’ipocrisia delle notizie messe in circolazione; per ogni redattore che riporta fedelmente le menzogne di un governo, ne esiste un altro che rischia la morte per raccontare la verità; per ogni giornale che tende a deformare la realtà dei fatti, ve n’è sempre un altro che cerca di penetrare tra le ‘maglie’ delle fonti ufficiali. Dunque, è sbagliato distinguere tra un giornalismo di destra e uno di sinistra, uno progressista ed uno reazionario, uno governativo ed uno antisistema: esistono soltanto un giornalismo ‘buono’ ed uno ‘cattivo’ e tutti e due sono, oggi, ‘globalizzati’: alcuni colleghi lavorano in posti dove il controllo della stampa da parte dello Stato è una dura realtà quotidiana, mentre altri esercitano la propria professione in luoghi in cui le informazioni affluiscono liberamente e direttamente da organizzazioni e autorità. Ma come si caratterizza, deontologicamente parlando, il buon giornalismo? In linea di principio, esso è quello intelligente, basato sui fatti, onesto nelle sue intenzioni e nei suoi effetti, che non serve altra causa se non quella della verità accertabile, che viene esposto in modo comprensibile per tutti i lettori. E da cosa si riconosce, invece, il giornalismo ‘cattivo’? Quest’ultimo è, in generale, quello che si affanna in una continua espressione di giudizi, che si preoccupa maggiormente di delineare il narcisismo di chi redige un articolo anziché rispettare il reale interesse e la curiosità più autentica dei lettori, che considera l’accuratezza solamente un di più e l’esagerazione uno strumento. In pratica, il giornalismo ‘cattivo’ è quello che lancia accuse vaghe riempiendo le pagine dei giornali di commenti senza fornire notizie effettive, quello di chi preferisce la ‘pappa pronta’ e la superficialità rispetto al duro e misconosciuto lavoro di riuscire ad avvicinarsi il più possibile alla verità. Tornando al genere di giornalismo che ho definito ‘buono’, a mio parere esso possiede dei compiti precisi che, in questi miei primi 13 anni di esperienza, ho più o meno riassunto nel seguente decalogo. Il buon giornalista deve: 1) scoprire e pubblicare informazioni che vadano a sostituire o a chiarire voci e illazioni; 2) resistere ai controlli governativi o, addirittura, eluderli; 3) informare i lettori; 4) analizzare ciò che tutti i governi, i rappresentanti eletti e, più in generale, i servizi pubblici fanno o non fanno; 5) studiare le attività imprenditoriali, il trattamento da queste riservato a lavoratori e consumatori e la qualità dei loro prodotti; 6) rassicurare chi soffre e infastidire chi fa la ‘bella vita’ dando voce a chi, di solito, non riesce a far sentire la propria; 7) porre la società di fronte a uno specchio che ne rifletta vizi e virtù; 8) sfatare falsi miti o rielaborare verità controverse; 9) assicurarsi che, in determinati casi di cronaca, giustizia sia fatta, che lo si sappia ‘in giro’ o che, in caso contrario, si indaghi; 10) promuovere il libero scambio delle idee dando soprattutto spazio a coloro la cui filosofia è diversa rispetto a quelle dominanti. Se un giornalista cercherà di raggiungere gli obiettivi che ho poc’anzi elencato, egli avrà servito la società meglio, molto meglio, di un qualsiasi funzionario pubblico, anche quello più zelante, poiché così facendo egli non avrà fatto gli interessi dello Stato, bensì del cittadino: informando, infatti, il giornalista conferisce potere. Ed è per questo motivo che interi governi e numerosi uomini ricchi e potenti cercano sempre di mettergli i ‘bastoni tra le ruote’ o, addirittura, di tacitarlo tacciandolo come sovversivo: il bravo giornalista è veramente un sovversivo, poiché il suo lavoro è appunto quello di ‘sovvertire’ coloro la cui autorità poggia, il più delle volte, sulla scarsità di informazioni pubbliche. E’ a causa di ciò che, ogni anno, migliaia di giornalisti vengono arrestati, imprigionati o uccisi: si chiama ‘censura della morte’ ed è in continuo aumento. Nel corso del 1982 furono assassinati, nel mondo, 9 giornalisti. L’anno dopo, i morti erano già saliti a 14. Nel 1990, i giornalisti uccisi furono 32. E nel 1991 addirittura 65, ovvero più del doppio rispetto all’anno precedente. I veri giornalisti sono quelli che sfidano le convenzioni, che hanno idee proprie, che mettono in discussione i metodi tradizionali per provarne sempre dei nuovi. Essi sono coloro che cercano argomenti che, di solito, i giornali non desiderano trattare o che mostrano inquietudine allorquando si sentono dire frasi del tipo: “Di solito, si fa così”, oppure: “La prassi è questa”. Essi non accettano la distinzione tra notizie e servizi, consacrata soprattutto dagli editori; odiano gli articoli imperniati attorno a schemi di narrazione ‘fissa’; rifiutano di netto il presupposto che i lettori possano “non capire una notizia”. Per un vero giornalista, il proprio mestiere rappresenta un qualcosa di universale, in ogni senso. E ciò riguarda anche le distinte competenze del proprio lavoro: il vero giornalista deve essere versatile, deve essere cioè in grado di scrivere ogni tipo di ‘pezzo’, deve saper divertire oltreché informare, deve apprendere come si impagina e anche come si stampa un quotidiano. Infine, egli deve imparare a scegliere le immagini più efficaci, comprendere come usare le innovazioni tecnologiche, creare e vendere sempre nuovi giornali, poiché anche la miglior storia da raccontare è solamente materia ‘grezza’ se essa non viene combinata con titoli, immagini e altro materiale. I veri giornalisti debbono avere una gamma di competenze che permettano loro di operare in un ogni settore del proprio giornale, poiché l’informazione è un’industria divenuta sempre più globale, sia dal punto di vista della proprietà, sia da quello delle nuove tecnologie e delle nuove fonti di informazione. Tutto questo potrà anche apparire come una forma di idealismo romantico o un vero e proprio innamoramento nei riguardi di questo mestiere. Tuttavia, ciò non dipende dalla vivace passionalità caratteriale del sottoscritto, quanto dal fatto che non esiste nessun vero giornalista che non sia un romantico e un idealista perdutamente innamorato della propria professione. Soprattutto, se si ritrova assediato dai nemici della libertà di espressione o da chi ne tradisce i suoi princìpi basilari.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale '7 giorni di cattivi pensieri', pubblicata sul sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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