Vittorio Lussana

Il laicismo si distingue nettamente dal materialismo e dal relativismo. Innanzitutto, il termine stesso viene utilizzato erroneamente in quanto distorsione anticlericalista della laicità, mentre in realtà vuole descrivere quegli ambiti dottrinari entro i quali la laicità stessa si realizza. Inoltre, il laicismo non è affatto paragonabile né ad una filosofia materialista, né ad una forma di nuovo relativismo, poiché rappresenta una nobilissima etica idealistica della convinzione. Per un laico, tutta la realtà è spirito sotto forma di ‘idea’. Il laicismo è dunque un idealismo dell’immanenza assoluta in quanto, al di fuori dello spirito, nulla esiste realmente. La stessa filosofia non è altro che la vivente autoconsapevolezza dello spirito insito nell’idea del singolo. In base a ciò, la storia finisce con l’identificarsi con la filosofia, mentre volontà e sentimenti si sovrappongono perfettamente all’idea. Di conseguenza, il complesso delle norme logiche, giuridiche e morali, così come lo spazio, il tempo e il mondo fisico, divengono ‘astrazioni’ che acquistano realtà e concretezza in quanto perennemente riassunti nello spirito che muove l’idea. Il protagonista di questo spiritualismo idealista è l’Io ‘trascendente’, di cui i singoli individui non sono che incarnazioni contingenti, astrazioni anch’essi che si fanno realtà in quanto riassorbiti e risolti nella concretezza dell’unico Io. L’Io è la sintesi di una tensione dialettica incessantemente superata e superabile, in cui il momento della pura soggettività, l’arte, si oppone al momento della pura oggettività: la religione. Arte e religione, dunque, sono anch’esse astrazioni che si realizzano praticamente solo nella concretezza dello spirito, il quale si manifesta sempre attraverso l’idea. Tale visione della spiritualità laica possiede una serie di interessanti risvolti pedagogici che riducono l’educazione a semplice ‘autoeducazione’ parificando ‘democraticamente’ il momento della docenza con quello dell’apprendimento, mentre sul fronte politico essa può considerarsi essenzialmente una dottrina liberale in senso puro - né autoritaria, né tantomeno conservatrice - idealisticamente persuasa dell’inveramento della società civile nello Stato, inteso, quest’ultimo, in quanto ente che si realizza nell’interiorità dell’uomo. Ciò, tuttavia, non porta come conseguenza al superamento di ogni distinzione fra pubblico e privato, ma più semplicemente ad una propensione per lo ‘Stato forte’ storicamente più collimante con le evidenti esigenze storiche, politiche e culturali del nostro Paese.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale '7 giorni di cattivi pensieri', pubblicata sul sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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