Vittorio LussanaTutto si è compiuto: il Partito democratico è riuscito a regalare il Paese ad una destra autoritaria, arretrata e ‘bacchettona’, totalmente avviluppata in contraddizioni che la rendono prigioniera di moralismi ipocriti conditi ad egoismi inconfessabili. La più classica delle contraddizioni italiane, insomma. Ma le nostre destre, sia quella leghista, sia quella di derivazione nazionalista, ormai le conosciamo bene: esse mantengono una matrice popolare che, comunque, bisogna analizzare per una serie di ragioni sociologiche che, spesso, vengono colpevolmente sottovalutate. La cultura della destra italiana non la potrò mai condividere. Tuttavia, oggi la conosco assai meglio di un tempo. Dunque, per commentare la squillante vittoria della coalizione guidata da Silvio Berlusconi, questa volta voglio proporre un esempio personale. Mi è capitato, infatti, nell’arco di questo ultimi dieci anni, di conoscere numerose ragazze militanti della destra, le quali hanno dimostrato, debbo ammettere, di volermi un gran bene. Spesso mi sono chiesto come mai io goda di un simile ascendente su di loro. E la risposta fornitami a tale quesito è stata la seguente: “Noi ti leggiamo sempre per due motivi: in primo luogo, perché anche se esprimi delle idee che condividiamo solo in parte, esse muovono, tuttavia, da convinzioni profonde, sincere, in buona fede, che non si basano mai su motivazioni o finalità puramente strumentali. In sostanza, il tuo razionalismo mantiene degli elementi di spontaneità che ti avvicinano, anche non volendo, al nostro modo di vedere le cose. In secondo luogo, sei un ragazzo carino e, per noi donne di destra, un certo risvolto ‘estetico’ ha sempre avuto un ‘peso’ nei giudizi, ben più di altre cose”. Come si può notare, in questo genere di argomentazioni appare visibile quell’antico ‘nocciolo gentiliano’ che non rappresenta affatto il sintomo di una cultura prettamente fascista, bensì una sorta di liberalismo autoritario costretto ad innestarsi in un contesto sociale sostanzialmente cattolico e a confrontarsi con schiettezza con le questioni imposte dalla modernità. Sin qui, però, si rimane su versanti puramente accademici del ragionamento. Ciò che proprio non si riesce a far comprendere di questo tipo di cultura è il fatto che la traduzione concreta dei suoi presupposti idealistici, quando non sorretti da elementi di moderazione, preludono a veri e propri disastri, oppure finiscono col congelare dualismi e contraddizioni che, alla lunga, rivelano conseguenze nefaste, poiché derivanti da un irrazionalismo che muove da umori ed esigenze psicologiche di ‘pancia’, anziché di testa. Questo punto della ‘pancia’ e della ‘testa’ rimane un elemento che continua ad essere sottostimato da tutti. Eppure rappresenta, per quanto appaia un elemento a prima vista semplicistico, il vero ‘snodo’ di una riflessione che dovrebbe farci comprendere come il popolo italiano sia alla ricerca disperata di una propria identità in grado di renderlo, ad un tempo, lungimirante e concreto. Cercherò di spiegarmi ulteriormente con un altro esempio molto ‘terra terra’: la cultura di destra, in teoria formula un’idea di società imperniata sulla famiglia, sulla Patria, sulla religione, sull’ordine e sulla legalità, tranne poi concedere ampie deroghe ‘estemporanee’ – qualcuno le definirebbe ‘relativiste’… - a tali impostazioni di principio arrivando sostanzialmente a considerare, ad esempio, l’adulterio maschile come una mera forma di ‘sfogo’ psicologico rispetto alla impegnativa natura sociale del matrimonio. Tuttavia, tale esempio descrive abbastanza bene la contraddizione di una cultura che, rispetto al razionalismo filosofico progressista, tende a non voler affrontare determinate questioni, non si preoccupa di rielaborare comportamenti coerenti e si accontenta di lasciar sfogare le proprie istintualità attraverso complessi meccanismi psicologici di ‘surrogazione’. Ecco come si spiega, ad esempio, il successo dei reality televisivi, che permettono a tanti italiani di dare un sostanziale ‘via libera’ ad un preciso voyeurismo di ‘pancia’. Sintetizzando molto, alcuni amici di destra la questione la riassumono così: “Non saranno molto raffinate, non saranno nemmeno del tutto coerenti e, forse, neanche tanto edificanti nel loro realizzarsi, ma le culture di destra forniscono un’idea di felicità concreta, di godimento tangibile, di piacere estetico anche quando effimero. Insomma, a destra ci si diverte, mentre la concezione della vita che si professa a sinistra appare noiosa e impegnativa”. Che siffatti modi di ragionare trovino incredibili affinità con le visioni più estreme del materialismo storico di estrema sinistra, ovvero con il marxismo più rivoluzionario e le sue velleità di felicità possibili, è l’elemento che ha sempre mandato in sollucchero i palati più sofisticati di intere schiere di pensatori, intellettuali e sociologi. Tuttavia, il dato filosoficamente più reale è che all’interno di simili impostazioni di principio continuano a venire a mancare una serie di elementi che sono la causa stessa dell’instabilità psicologica teorizzata e diffusa dalle culture di destra: a) una concezione temporale in grado di rispondere non solamente ad obiettivi immediati, ma anche di raggiungere traguardi di maggiore difficoltà e, dunque, di più solida soddisfazione materiale e psicologica; b) una sostanziale rinuncia a forme di sperimentazione ‘artistica’ o più propriamente ‘creativa’ in grado di dare risposte originali alle questioni del presente evitando ogni genere di conformismo. In sostanza, parafrasando Ghandi, i difetti degli uomini appaiono più affascinanti delle loro virtù. Ciò significa che siffatte forme di edonismo di massa generano solamente una sorta di ‘domino degenerativo’, ovvero una serie di reazioni a catena che non elevano affatto il grado di maturità ‘spirituale’ di una collettività, né le singole capacità individuali dei cittadini nell’affrontare sfide più complesse. E si finisce col vivere vite già vissute, anche se sotto forme o secondo stili di vita apparentemente differenti, abdicando ad una mediocrità che ripropone percorsi generazionali che distanziano di molto il singolo individuo da una più gratificante presa di coscienza circa le proprie capacità più originali e distintive. La conclusione di un simile ragionamento non è una rivendicazione di matrice moralista, bensì, e molto più semplicemente, una constatazione inequivocabilmente filosofica: le culture di destra non elevano le masse, né materialmente, né spiritualmente, bensì le costringono nei consueti ‘recinti’ del più grigio conformismo e del più banale squallore piccolo-borghese. Ma proprio il successo di simili culture rappresenta la più profonda ed autentica sconfitta della sinistra italiana, assai più grave di ogni sbarramento non superato e di qualsiasi risultato elettorale negativo di qualsivoglia partito o cartello elettorale. Il capolavoro in negativo dell’operazione Pd si è dunque definitivamente materializzato. Complimenti vivissimi agli On. Veltroni e Franceschini: di peggio, proprio non si poteva fare.


(articolo tratto dalla rubrica settimanale '7 giorni di cattivi pensieri', pubblicata sul sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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