Gian Maria Fara

L’Eurispes ha stimato che l’economia sommersa nel nostro Paese ha generato nel 2007 almeno 549 miliardi di euro. Si tratta di un’altra economia che va ad integrare i redditi delle famiglie che, in seguito alla perdita del potere d’acquisto e alla forte inflazione che hanno caratterizzato l’economia italiana negli ultimi anni, si mantengono su livelli ben al di sotto della media europea e non tengono il passo con l’aumento del costo della vita. Dal 2001-2005 infatti l’Eurispes ha calcolato una crescita complessiva dell’inflazione del 23,7%. Dopo una fase di stasi, l’inflazione ha ripreso a crescere nel corso del 2006 e 2007 ad una media del 5% e ha registrato negli ultimi mesi del 2007 e in questi primi mesi del 2008 una nuova fiammata fino all’8%. In considerazione di questo andamento, la perdita media del potere d’acquisto tra le diverse categorie si è ormai attestata intorno al 35%. Attraverso una simulazione, l’Eurispes ha riscontrato infatti la presenza di una sorta di “buco” nei redditi familiari, rappresentato dalla differenza tra il reddito netto disponibile e le esigenze basilari per condurre una vita dignitosa. In genere, una famiglia italiana deve poter disporre di un reddito superiore a quello effettivamente posseduto, anche solo per affrontare le spese minime necessarie. Vi sono moltissime coppie, specie quelle più giovani, che “per arrivare a fine mese” si fanno ancora aiutare dalle rispettive famiglie di origine. Ma anche queste possibilità vanno oramai assottigliandosi (diminuisce la propensione al risparmio e aumenta il credito al consumo) e alle famiglie di origine non rimane altro che diventare “erogatori di servizi” per i propri figli, offrendo ad esempio lavoro di cura per i nipotini, facendo la spesa e così via. In molti altri casi, invece, il marito o la moglie saranno costretti a trovare un secondo lavoro per far fronte alle esigenze familiari. Secondo i nostri calcoli il reddito delle famiglie viene integrato ogni mese con 1.330 euro “in nero”, necessari affinché si possano far quadrare i conti. Gli italiani insomma sono sempre più costretti ad essere stakanovisti per sopravvivere. Le famiglie, per far quadrare i conti, per pagare le rate per il mutuo, per far fronte alle spese di affitto, luce, gas e riscaldamento, sono costrette ad un difficile gioco d’equilibrio. E infatti abbiamo rilevato all’inizio di quest’anno come solo poco più di un terzo delle famiglie italiane riesce ad arrivare alla fine del mese. In parallelo, l’aumento del credito al consumo nel nostro Paese non è dovuto ad un dinamismo economico, ma solo dettato dalla necessità. Un italiano su quattro ricorre al credito al consumo per arrivare alla fine del mese. A ciò si aggiunga che gli stipendi italiani sono tra i più bassi d’Europa. Questo perché essi non sono stati adeguati alla crescita dell’inflazione reale. In pratica i lavoratori sono pagati in lire, ma comprano in euro. Nel nostro Paese oltre 20 milioni di lavoratori sono sottopagati e, coeteris paribus, i salari sono inferiori del 10% rispetto a quelli nella Germania, del 20% rispetto al Regno Unito e del 25% rispetto alla Francia. Tra il 2000 e il 2005 mentre si è registrata una crescita media del salario a livello europeo del 18%, nel nostro Paese i lavoratori dell’industria e dei servizi (con esclusione della Pubblica amministrazione) hanno visto la propria busta paga crescere solo del 13,7%. Nel 2004 e nel 2005 le retribuzioni nette dei lavoratori italiani sono state superiori solo a quelle greche ed appena inferiori a quelle dei colleghi spagnoli, mentre nel 2006 il trend negativo si è ulteriormente accentuato occupando la penultima posizione in Europa, superiore solo al Portogallo. La ragione di questa perdita di posizioni è rintracciabile indubbiamente nella crescita dei salari in Europa del 15% in tre anni. In Italia il salario netto annuo è passato da 15.597 euro del 2004 a 16.242 euro del 2006, con una crescita del 4,1%; in Gran Bretagna, dove la crescita percentuale è stata del 33,3%, i salari sono aumentati di quasi 7mila euro passando da 21.015 euro del 2004 a 28.007 del 2006. Sono aumentati anche i salari della Grecia (+34,5%), dell’Olanda (+19,2%), del Portogallo (+52,1%, con uno salario netto annuo passato da 8.634 euro del 2004 a 13.136 euro del 2006), della Finlandia (+14,3%), della Germania (+14,1%), della Danimarca (11,2%), dell’Irlanda (+11%) e della Spagna (+10,4%). Perdita del potere d’acquisto, dunque, salari tra i più bassi d’Europa, aumento vertiginoso dei prezzi dei beni, anche quelli di prima necessità, ricorso al credito al consumo come forma di integrazione al reddito. Non è un caso se, rispetto alle rilevazioni effettuate lo scorso anno dall’Eurispes, gli italiani sono sempre più pessimisti: il 69,5% nel 2008 contro il 51,9% nel 2007, con un incremento di ben 17 punti percentuali, esprime infatti pareri negativi in merito al quadro economico nazionale. Questo scenario delinea la società dei tre terzi della quale l’Eurispes ha sempre parlato, dove un terzo vive all’interno di una zona di sicuro disagio sociale e indigenza economica, un terzo appare assolutamente garantito e la fascia centrale (i ceti medi) vive in una condizione di instabilità e di precarietà. Per primi lanciammo un segnale d’allarme nell’agosto del 2002, denunciando un’inflazione galoppante. Subimmo per questo dure critiche e contestazioni. Ma le nostre rilevazioni si sono rivelate esatte. Nel luglio del 2007 siamo tornati a segnalare come l’inflazione, dopo un periodo di stasi, stesse tornando a crescere più di quanto indicato dalle statistiche ufficiali. La sola via d’uscita è avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Una situazione grave come quella che stiamo vivendo dovrebbe indurre le forze politiche, una volta superata la fase elettorale e indipendentemente dal risultato, a fare fronte comune per gestire un’emergenza che rischia di trascinare il Paese verso un irrecuperabile declino.




Presidente dell'Eurispes
(articolo tratto dal sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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robert mccurion - torino/italia - Mail - lunedi 10 marzo 2008 15.8
COME FARANNO A RIDURRE LE TASSE QUANDO IL 95% E' DI PARTE CORRENTE, CIOE' DI FATTO VINCOLATO, SALVO UNA RIVOLUZIONE SOCIALE E SOLO IL 5% IN CONTO CAPITALE ? ALLORA GLI FANNO COMODO I NO-TAV ETC CHE NON VOGLIONO OPERE PUBBLICHE! SOLO COSI' RIMANGONO FONDI DA DESTINARE AI REDDITI PIU' BASSI, CHE NON SONO QUELLI DELLE FAMIGLIE, MA DEGLI ANZIANI!


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