Vittorio LussanaPer le prossime elezioni europee, si consiglia vivamente di votare per i Partiti europeisti. Più che un consiglio, tale indicazione dovrebbe diventare una parola d’ordine, categorica e tassativa per tutti, perché i danni che stanno producendo i 'populisti' non sono valutabili solamente in termini di svalutazione delle forme e delle istituzioni democratiche, ma sono anche e soprattutto economici. Il quotidiano tedesco 'Frankfurter Allgemeine Zeitung' di recente ha pubblicato un ottimo approfondimento degli economisti Manuel Funke, Moritz Schularick e Christoph Trebesch, i quali hanno analizzato i dati legati a 51 presidenti e primi ministri 'populisti' che hanno guidato i loro rispettivi Paesi dal 1900 al 2020, evidenziando come il 'populismo' abbia prodotto costi elevatissimi. “In genere”, riassumono i 3 studiosi, “dopo quindici anni, il Pil pro capite risulta inferiore del 10 per cento, a confronto di un Paese governato da un leader non populista”. Tutto questo avviene per un approccio autodistruttivo e antimeritocratico, che genera un forte peggioramento della stabilità interna. Un disegno che si basa su una sorta di 'presa della Bastiglia' alla rovescia, in cui l’abbassamento qualitativo e la più totale assenza di aspettative (che in economia contano molto) in ogni settore o comparto di produzione - compreso quello dell’informazione - risulta pressocché evidente. I dati elencati dimostrano che non peggiorano soltanto la crescita e i consumi, ma anche le disuguaglianze sociali. E le disparità tra ricchi e poveri aumentano, in particolare quando governano i 'populisti' di destra. Le politiche nazionaliste e razziste disincentivano le assunzioni del personale proveniente dall’estero, in una sorta di ripiegamento nichilista assai poco comprensibile. Ma questa chiusura dei singoli Paesi agli apporti esterni, impedisce alle aziende di crescere, soprattutto in tempi di globalizzazione. Si tratta di un errore macroeconomico marchiano, di un vero e proprio tentativo di fermare il mondo tramite una serie di ideologie schematiche o reazionarie. Questo fenomeno di declino comprende anche l’Italia: dai tempi della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi fino a oggi, nei nostri governi si sono succedute varie formazioni 'populiste': dalla Lega di Matteo Salvini al Movimento cinque stelle, fino a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. E i danni economici sono sotto gli occhi di tutti: siamo di fronte a una degenerazione che, dagli anni ‘90 del secolo scorso in qua, ha solamente avuto qualche fase di rallentamento o periodo di arresto. La stessa analisi vale anche per la Francia, la Germania e la Svizzera. Per non parlare del Regno Unito, dove il 'populismo' è stato il principale motore propulsivo della 'Brexit', cioè l’uscita del Paese britannico dall’Unione europea. E gli Stati Uniti di Donald Trump o il Brasile di Jair Bolsonaro non fanno eccezione: tutti gli indicatori delle loro amministrazioni presentano dati negativi. A tutto questo bisognerebbe dare una risposta politica in tutta Europa, poiché è proprio la politica, più che la Ue, a risultare in prognosi riservata. Rispondere sostenendo l’antipolitica è sempre sbagliato: lo abbiamo detto e scritto in tutti i modi e in svariate forme. Eppure, si continua a sbagliare, tentando d’imporre soluzioni obsolete o inattuali, totalmente al di fuori della realtà: perché? Perché non vogliamo guardare in faccia la realtà: il mondo cambia, molto spesso per conto proprio. E il declino delle istituzioni scolastiche e la mancanza di una vera cultura scientifica hanno solamente prodotto un’unica soluzione: la rimozione di tutto ciò che non riusciamo a comprendere o che non ci piace. Come tanti bambini viziati.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!', pubblicata su www.gaiaitalia.com)

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