Maria Chiara D'Apote
Senza addentrarci nell’estetica di un film (che ci porterebbe ad analizzare scelte metodologiche, più o meno etiche), chiediamoci semplicemente se sia necessario che si consumino veri atti di natura coercitiva su un set cinematografico. Qualunque sia l’intento dell’autore che inserisce sequenze cruente per renderle di forte impatto emotivo, chiediamoci, da spettatori, se ne abbiamo veramente bisogno. Nell'era digitale per eccellenza, sempre più sequenze di film vengono realizzate in studio e modificate in post-produzione, attraverso l’uso della tecnica Cgi (Computer Generated Imagery). Ciò al fine di realizzare scene di grande effetto (come figure umane sospese sopra un precipizio o giganteschi cataclismi) con ben altri costi di produzione e senza dover mettere in pericolo nessuno. Che sia finalmente possibile liberare anche gli animali dal fardello di essere, loro malgrado, protagonisti di eventi delittuosi?

Crudeltà e cinema: la morte degli animali per esigenze di ripresa
Negli ultimi decenni, è comparsa sullo schermo la scritta: “Durante la lavorazione, nessun animale è stato maltrattato”. Ma non sempre è stato così. E non sempre avviene tutt’ora. Guardando un western, un war movie o scene di antichi sacrifici rituali, quante volte ci siamo chiesti se quegli animali siano stati trattati crudelmente o meno?

Storia dei maltrattamenti: grandi cineasti e la crudeltà
Fin dalle prime produzioni dei cosiddetti kolossal, un leone che moriva in un’arena veniva realmente soffocato o decapitato. In 'Ben Hur' (1959), durante la famosa scena della 'corsa delle bighe', molti cavalli morirono dopo le cadute. E nei film di Tarzan, i rinoceronti venivano abbattuti realmente. Nel film 'Andrej Rublev' (1966) del grande regista Andrei Tarkovsky, un cavallo venne colpito al collo e spinto giù per una rampa di scale, infilzandosi in una picca. Venne poi ucciso con un colpo di fucile alla testa, per non farlo soffrire. In 'Week-end' (1967) di Jean-Luc Godard fu sgozzato un suino. E nel film di Sam Peckinpahn, dal titolo 'Pat Garret e Billy the Kid' (1973) vennero decapitati dei polli. Il più celebre caso, per quanto riguarda il cinema italiano, si verificò nel film 'Novecento' (1976) di Bernardo Bertolucci, dove un gatto viene terrorizzato e schiacciato contro il muro (anche se poi fu dichiarato che non rimase ucciso, ndr). Per girare il film 'Le avventure di Milo e Otis' (1989) di Koneko Monogatari, un gatto viene fatto precipitare da una scogliera. Infine, nel finale di 'Apocalypse Now' (1979) di Francis Ford Coppola, viene decapitato un bue, così come in 'Baarìa' (2009) di Giuseppe Tornatore viene macellato un bovino (il regista siciliano si è poi difeso, affermando che si trattò di una ripresa effettuata proprio davanti a una macelleria, ndr). Nel recente caso del controverso regista Lars Von Trier, in una scena del film 'The house that Jack built' (2018) un bambino taglia le zampe a un anatroccolo: subito è intervenuta l'organizzazione animalista 'Peta', che ha assicurato che l'animale non è stato ferito: è stato utilizzato un trucco. Speriamo...

Giurisprudenza e cinema

Nel 'The Cinematograph Films Animals Act', del 1937, fu emanata in Gran Bretagna una delle prime leggi che vietavano la proiezione o la distribuzione di pellicole cinematografiche in relazione alla cui produzione potrebbero essere state causate sofferenze agli animali o per finalità a esso connesse. I primi due articoli dichiarano: 1) “Nessuno può esporre al pubblico, o fornire a nessuno per l'esposizione pubblica (sia da parte sua che di un'altra persona), qualsiasi pellicola cinematografica (sia prodotta in Gran Bretagna che altrove) se in connessione con la produzione del film qualsiasi scena rappresentata nel film è stata organizzata o diretta in modo tale da comportare la crudele inflizione di dolore o terrore a qualsiasi animale o la crudele incitamento di qualsiasi animale alla furia”; 2) in qualsiasi procedimento avviato ai sensi della presente legge in relazione a qualsiasi film, il tribunale può (senza pregiudizio di qualsiasi altra modalità di prova) dedurre dal film come esposto al pubblico o fornito per l'esposizione al pubblico, a seconda dei casi, che una scena rappresentata nel film così come presentato o fornito è stata organizzata o diretta in modo tale da implicare la crudele inflizione di dolore o terrore a un animale o la crudele incitamento di un animale alla furia, ma (se la corte lo ritiene un'inferenza o meno) costituirà una difesa per l'imputato dimostrare di aver creduto, e di avere ragionevoli motivi per credere, che nessuna scena così rappresentata fosse stata così organizzata o diretta)”.

E negli altri Paesi?
Nel 1940 nacque un’organizzazione animalista americana, la 'American Humane Association', che tutt’oggi supervisiona, a livello internazionale, i set dei film, per verificare che non vi siano abusi sugli animali. Per ora, non vi è una legge specifica riguardo il cinema, ma ci sia appella agli articoli della legge ordinaria, che in Italia sarebbero gli articoli 544 e 272 del Codice penale.

Oggi sul set: il tassidermista
Durante una ripresa di un film, ci può essere una sequenza di un animale morto o che deve essere ucciso: si sappia che anche addormentare un animale con anestesia è vietato. Inoltre, non possono essere utilizzate carcasse di animali per motivi di igiene. Superando i vezzi ‘iperrealistici’, lo scenografo (talvolta e a seconda delle produzioni) si affida a un tassidermista, cioè a un imbalsamatore, che è in grado di ricostruire, con trucchi scenografici, la forma e l'aspetto dell’animale, come se fosse vivo.

Animatronics: una soluzione
Le immagini generate da un computer sono frutto di una ricostruzione antropomorfa, che evita l'utilizzo fisico degli animali anche per la difficoltà e la complessità di un film (si pensi a quanto sia stato utile nell'opera 'Noah' del 2014, ndr). Se proprio abbiamo bisogno di vedere delle morti di massa, ben venga la frase “si vede che è finto”, affiché nessun essere vivente venga più sacrificato.





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