Valentina Corsaletti

La decisione è presa: da venerdì entrerà in vigore il ‘motu proprio’ di Papa Benedetto XVI – il ‘Sommorum Pontificum’ - mediante il quale troverà applicazione concreta l’antica liturgia della Santa Messa celebrata in latino, secondo il rito di San Pio V. In sintesi, sin dai prossimi giorni le Chiese di tutto il mondo potranno scegliere se celebrare la Messa seguendo il rito ‘tridentino’. La decisione è stata assunta dal Papa nonostante le numerose polemiche e i dibattiti interni alla Chiesa cattolica che tale decisione ha suscitato. Il testo del documento pontificio di ‘liberalizzazione’ era stato diffuso sin dallo scorso 7 luglio. Ed esso dichiara, sin dal suo primissimo articolo, che “il Messale Romano promulgato da Paolo VI è l’espressione ordinaria della ‘lex orandi’ di rito latino. Tuttavia, il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal beato Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa ‘lex orandi’ e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico”. Queste due espressioni della ‘lex orandi’ della Chiesa non porteranno in alcun modo ad una divisione nella ‘lex credendi’ della Chiesa: sono infatti due usi dell’unico rito romano”. Il ‘motu proprio’ del Pontefice nel complesso si compone di 12 articoli, i quali regolano l’uso dell’antico Messale nella versione riveduta da Giovanni XXIII nel 1962. Il testo è preceduto da una breve introduzione storica, un excursus che spiega le ragioni essenziali del ritorno all'uso del messale tridentino - sia pure in forma straordinaria - accanto a quello di Paolo VI, segnato dalla riforma conciliare. Benedetto XVI ha poi deciso di scrivere una lettera ai Vescovi di tutto il mondo per chiarire alcuni punti controversi sul tema. In particolare, il Pontefice ha voluto rassicurare che nella storia liturgica della Chiesa “c’é crescita e progresso, ma nessuna rottura”. Tuttavia, forte rimane il sospetto che la ‘manovra’ in atto sia volta a superare una divisione che, invece, esiste da tempo all’interno della Chiesa e che spiega ampiamente le motivazioni politiche che caratterizzano il sensibile ‘ripiegamento’ del cattolicesimo romano su posizioni fortemente conservatrici. Lo sforzo è chiaramente indirizzato al recupero dell’arcivescovo Marcel Lefebvre, al fine di far rientrare nel seno della Chiesa quelle comunità che lo hanno seguito, nei decenni scorsi, nelle sue velleità ‘scismatiche’. Il problema, tuttavia, non è di così semplice soluzione: la ‘mossa’ del Papa, che in una certa misura cerca di ‘svuotare’ uno degli argomenti più forti dei ‘lefebvriani’, ovvero quello di un ritorno alla liturgia antica in opposizione alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II, in realtà ‘odora di tatticismo’, poiché l’antico rito viene recuperato solo per quei fedeli che ne faranno richiesta. Ma gli argomenti di dissidenza degli ‘scismatici’ sono anche altri: un rifiuto complessivo del Concilio Vaticano II, una fortissima critica nei confronti dell’ecumenismo, una ritrosia sconfortante verso ogni forma di dialogo interreligioso ed ogni principio di collegialità. Proprio in base all’irricevibilità di simili obiezioni si è tra l’altro verificata, in questi ultimi mesi, una forte opposizione ‘di riflesso’ di una parte dell’episcopato avverso al ‘motu proprio’, controversie che il Papa ha cercato di dirimere spiegando punto per punto la propria decisione, al fine di rassicurare tutte quelle Chiese che hanno espresso riserve rispetto alla liberalizzazione della messa in latino: quelle francesi in primo luogo, ma anche quelle nord - americane, quelle tedesche e, più in generale, dell’Europa settentrionale.


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Lucia - Roma - Mail - giovedi 13 settembre 2007 13.33
Siete bravissimi!!!!


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